Viaggio entusiasmante tra dieci capolavori di Mauro Forghieri
GENIO COMPRESO. Con Mauro Forghieri se ne va uno dei testimoni più importanti dell’epoca d’oro della F1 e delle corse in generale. Tra i progettisti più geniali che la storia delle competizioni automobilistiche abbia conosciuto, l’ingegnere modenese era, come hanno ricordato alcuni suoi illustri colleghi, tra i quali il quasi coetaneo Gian Paolo Dallara, tra i pochissimi davvero in grado di progettare un’automobile dalla A alla Z. Per un quarto di secolo, dal 1959 al 1984, Forghieri ha vestito i colori della Ferrari, contribuendo a regalare alla casa di Maranello e ai suoi tantissimi tifosi sparsi in giro per il mondo vetture e trionfi indimenticabili, tra i quali 11 titoli mondiali di F1 (4 Piloti e 7 Costruttori). Ma il suo instancabile lavoro al tavolo da disegno, fatto di brillanti intuizioni e di una sensibilità rara nel “leggere” il comportamento delle vetture in pista, l’ha portato a realizzare progetti straordinari anche dopo i suoi lunghi trascorsi alla corte di Enzo Ferrari, prima con la Lamborghini e la Bugatti e poi con la sua Oral Engineering. Ne abbiamo selezionati dieci, per ricordare il tecnico e l’uomo e per celebrarlo come esempio di passione, tenacia, intelligenza e calore umano. Mauro Forghieri vivrà per sempre nei cuori degli appassionati.
FERRARI 250 GTO. Forghieri entrò in Ferrari nel 1959, ventiquattrenne e fresco di laurea in ingegneria meccanica. Il suo primo grande lavoro alla corte del Drake, che nel 1961 gli aveva consegnato le chiavi dell’intero reparto per le vetture da corsa, fu la messa a punto finale della 250 GTO, per la quale studiò una modifica al ponte posteriore al fine di migliorarne la stabilità nei curvoni veloci. La vettura, che è diventata una delle auto storiche più quotate di sempre, montava un V12 di 3 litri da 300 CV e raggiungeva i 280 km/h: una velocità elevatissima per l’epoca.
FERRARI 158. È indimenticabile la monoposto con cui la scuderia di Maranello nel 1964 conquistò il suo primo Campionato del mondo di F1 dell’era Forghieri. Ispirata alla rivoluzionaria Lotus 25, la Ferrari 158, portata al trionfo dal pilota britannico John Surtees, ne riproponeva il raffinato telaio a traliccio in tubi d’acciaio e la collocazione laterale e davanti all’abitacolo dei serbatoi, soluzione che permise di ottenere una sezione frontale molto ridotta, migliorando l’efficienza aerodinamica. Il motore 1.5 V8 alimentato a carburatori svolgeva anche una funzione strutturale e poteva contare su una potenza di 190 CV, che salirono a 210 con l’arrivo di un più moderno impianto di iniezione fornito dalla tedesca Bosch.
FERRARI 330 P4. Daytona Beach, 6 febbraio 1967: un luogo e una data scolpiti nella memoria ferrarista. La casa di Maranello s’impone nella mitica 24 Ore di Daytona e spazza via l’acerrima rivale Ford piazzando quattro auto ai primi quattro posti. L’arma capace di battere la feroce concorrenza della GT40, che l’anno prima aveva trionfato a Le Mans regalando alla casa americana il primato di primo costruttore statunitense a imporsi sul celebre Circuit de la Sarthe, è la 330 P4. Nonostante una cilindrata di tre litri inferiore rispetto alla Ford, il 4.0 V12 messo a punto da Forghieri e dai suoi uomini, prelevato dalla monoposto di F1 con cui Ludovico Scarfiotti vinse a Monza nel 1966, era in grado di sprigionare una potenza massima di 450 CV e si rivelò affidabile nell’arco delle 24 ore della corsa.
FERRARI 312 F1. Tra le intuizioni più brillanti di Forghieri, quella degli alettoni in F1 ha fornito un contributo enorme allo sviluppo delle sofisticate monoposto che conosciamo oggi. L’ingegnere modenese convinse Enzo Ferrari a sperimentare anche nel Grande Circus l’idea del collega siciliano Giacomo Caliri, esperto di aerodinamica, che aveva cominciato a studiare le prime ali con effetto deportante alla fine del 1967. Il “Grande Vecchio” di Maranello non era affatto convinto dell’opportunità di inserire appendici così vistose sulle sue belle monoposto, ma la soluzione, introdotta nel 1968 in occasione del Gran Premio del Belgio sulla Ferrari di Chris Amon, si rivelò vincente già a partire dal GP di Francia di quell’anno, vinto da Jackie Ickx, il più veloce di tutti sulla sua imprendibile e “alata” 312 F1. Da quel momento in avanti, con l’eccezione dei Gran Premi d’Italia del 1968 e 1969, nessuna monoposto priva di alettoni riuscì a vincere una gara di F1.
FERRARI 312 T. Tra i progetti più fortunati dell’ingegner Forghieri spiccano anche le velocissime vetture di F1 della serie 312, che portarono alla Ferrari il titolo Costruttori nelle stagioni 1975, 1976, 1977 e 1979. Capostipite di questa famiglia di bolidi è la 312 T, tra le monoposto più vincenti nella storia del Cavallino Rampante con sei successi conquistati nel 1975 (cinque a firma di Niki Lauda, che quell’anno vinse il primo dei suoi tre titoli mondiali, e uno di Clay Regazzoni) e tre nelle prime tre gare dell’anno successivo. Spinta da un V12 “piatto” da 495 CV accoppiato a un cambio a cinque marce disposto per la prima volta in senso trasversale, poggiava su un telaio in tubi più semplice ma meno costoso e più facile da riparare rispetto alla struttura monoscocca su cui si reggevano le precedenti 312 B3 d B3-74. Dimostratasi vincente, questa soluzione fu abbandonata solo nel 1982.
FERRARI 312 T2. Naturale evoluzione della 312 T, la 312 T2 gareggiò nelle stagioni di F1 1976 e 1977 e nelle prime due gare del 1978, collezionando otto vittorie che valsero il secondo titolo Piloti a Niki Lauda (1977) e due coppe Costruttori (1976,1977). Il suo motore piatto a dodici cilindri, ereditato dalla 312 T, non aveva rivali in termini di potenza e si dimostrò molto affidabile: a raffreddarlo contribuivano due ampie prese d’aria ricavate sui fianchi proprio davanti all’abitacolo, soluzione che rende la 312 T2 immediatamente riconoscibile e unica tra le monoposto della sua epoca. Un’altra importante novità riguardava l’alettone, posizionato più in alto rispetto al precedente modello.
FERRARI 312 T4. Alcuni la descrivono come una delle Ferrari di F1 più brutte della storia, ma mai come in questo caso vale il famoso detto “l’abito non fa il monaco”. Pilotata nella stagione 1979 da Gilles Villeneuve e Jody Scheckter, la 312 T4 regalò al pilota sudafricano il suo primo e unico titolo mondiale e, grazie al secondo posto finale ottenuto dal compagno di squadra, il sesto titolo Costruttori alla scuderia di Maranello. Negli anni successivi la coppa riservata ai team arrivò nel 1982, 1983 e 1999, ma ce ne vollero ben undici per rivedere un pilota del Cavallino Rampante sul tetto del mondo, con Michael Schumacher campione per la terza volta in carriera (la prima coi colori della Ferrari) nel 2000 ai danni delle McLaren di Mika Hakkinen e David Coulthard.
FERRARI 126 CK. Sono nate sotto la direzione tecnica di Forghieri anche tutte le monoposto Ferrari con motore sovralimentato mediante turbocompressore della serie 126, contraddistinte dalle sigle di progetto CK, C2, C3 e C4 e che alla casa di Maranello hanno regalato il titolo Costruttori nelle stagioni 1982 e 1983. In particolare, oltre che per il motore turbo (una novità che la Renault aveva introdotto già nella stagione 1977, rivoluzionando per sempre le corse), la 126 C è famosa per le enormi minigonne che la rendono a tutti gli effetti la prima vera Ferrari di F1 a effetto suolo.
FERRARI 408 4RM. Nel 1987, quando aveva ormai lasciato la direzione del reparto corse della Ferrari da tre anni, in seno all’ufficio Ricerche e studi avanzati della casa di Maranello Forghieri avviò e portò avanti lo sviluppo del prototipo 408 4RM, la prima vettura del Cavallino Rampante a quattro ruote motrici. Dell’auto, spinta da un motore V8 da circa quattro litri di cilindrata, la casa di Maranello realizzò purtroppo solo un paio di esemplari, uno dei quali, dipinto di giallo, fa oggi parte della collezione del museo aziendale.
MOTORE LAMBORGHINI LE3512. Terminata la sua esperienza in Ferrari, nel 1987 Forghieri si unì al team Lamborghini Engineering, divisone sportiva creata per tentare l’avventura della F1 da Lee Iacocca, numero uno della Chrysler, all’epoca proprietaria della casa emiliana. Sotto il segno del Toro, l’ingegnere modenese firmò il motore 3.5 V12 aspirato da oltre 700 CV che equipaggiò in esclusiva la monoposto del team Lola-Larousse nella stagione 1989. Potente ma afflitto da alcuni problemi di gioventù, soprattutto a livello di affidabilità, il dodici cilindri Lamborghini fu successivamente adottato anche dalle squadre Lotus, Modena Team, Minardi, Ligier e McLaren. La scuderia britannica, in particolare, nel 1993 lo montò su una monoposto per una sessione di test con Ayrton Senna al volante, in vista di un’eventuale impiego nella stagione successiva. E il c ampione brasiliano ne rimase molto ben impressionato. Ma a Woking preferirono affidarsi alla Peugeot, che oltre alla fornitura gratuita dei motori metteva sul piatto una sponsorizzazione miliardaria.