Veloce intervista: Rauno Aaltonen

Veloce intervista: Rauno Aaltonen

Nato a Turku, in Finlandia, il 7 gennaio del 1938, Rauno Aaltonen è stato uno dei migliori piloti da rally dagli Anni ’60 agli Anni ’80, portando anche al successo la Mini Cooper S al Rallye Monte-Carlo del 1967. Ha debuttato in gara nel 1956 e ha corso per le squadre ufficiali di Mercedes-Benz, Saab, BMC, Lancia, Fiat, Datsun e Opel. Al Safari è giunto per sei volte secondo tra il 1971 e il 1984, diventando per la sua esperienza un vero e proprio consulente-pilota per la Datsun prima e per la Opel in seguito. È stato campione finlandese di motociclismo con la JAP 350 nel 1958, anno in cui si è anche classificato secondo alla 24 Ore di Spa, con Hubert Hahne su BMW, campione finlandese rally nel 1961, anno in cui vinse il Rally dei 1000 Laghi e il Rally di Polonia e campione europeo rally nel 1965. Specialista delle gare di lunga durata, ha vinto la Spa-Sofia-Liegi nel 1961 su Austin Healey 3000 nel 1964 e la Londra-Mexico City su Ford Escort Mexico nel 1970. La sua ultima apparizione nel Mondiale Rally è avvenuta nel 1987, al Safari Rally disputato con una Opel Kadett GSI gruppo A ufficiale, con cui si è classificato nono assoluto.

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Come sono cambiati i rally dai tuoi tempi a oggi?
Moltissimo, per tipologia di auto, di percorsi, di regolamenti, di gomme. In peggio secondo me, ma è la mia opinione personale. Il primo e più importante cambiamento lo si è registrato con il passaggio dei rally da gare di regolarità a competizioni di velocità con l’introduzione delle prove speciali. Questo ha determinato lo sviluppo di vetture ad alte prestazioni derivate dalla serie per vincere: le Porsche 911, le Alpine Renault A 110, le Ford Escort RS e le piccole Mini Cooper S e Lancia Fulvia HF, entrambe a trazione anteriore.

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Quando hai debuttato in gara?
Era il 1961 e partecipai al Rally del Sole di Mezzanotte con la Mercedes-Benz 220 SEb di mio padre. Le avevo cambiato solo lo scarico e migliorato l’iniezione meccanica; in più le avevo irrobustito le sospensioni e usato un robusto paracoppa, due elementi fondamentali per sopravvivere ai salti di quella gara. E per riportare l’auto intatta a mio padre. La mia era rossa, le 220 SEb ufficiali erano grige. Nella prima prova su un brutto sterrato di 10 km ho rifilato un minuto alle Mercedes-Benz ufficiali. Due settimane dopo la gara mi chiamò Karl Kling, responsabile sportivo della casa di Stoccarda, che mi propose di correre di lì in avanti per la squadra ufficiale in coppia con Klaus Boehringer. Portai anche la mia esperienza al team, per esempio nella gestione delle gomme in gare lunghe come la Spa-Sofia-Liegi, 10mila chilometri con una sola ora di sosta nella capitale bulgara prima di tornare in Belgio. Ne 1961 e nel 1965 ho vinto il campionato finlandese rally, nel 1961 anche il Rally dei 1000 Laghi, senza note e senza ricognizioni: fu l’ultima volta che questa gara fu vinta da un’auto di grandi dimensioni. Ma vorrei ricordare che io avevo iniziato a correre molto prima con le barche e con le moto.

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Il grande pubblico ha iniziato a conoscerti per aver corso sulle Mini Cooper però…
Vero: nel 1962 partecipai al Monte-Carlo su una Cooper S ufficiale da 1000 cc con guida a destra, l’altra era per Pat Moss. Ebbi un incidente nell’ultima prova speciale, capottai e l’auto andò bruciata con me dentro in stato d’incoscienza. Mi salvarono e mi risvegliai in ospedale a Monaco. Qui conobbi la segretaria dell’East African Safari Rally, Diana Howard Williams, che mi propose un’iscrizione-invito alla gara che si sarebbe disputata di lì a qualche mese. L’importatore keniota della Mercedes-Benz, la D.T.Dobie, mi offrì una 220 SEb con un navigatore locale, Peter Good, e la relativa assistenza e io dovetti solo pagarmi il volo da Turku, in Finlandia, dove vivevo, a Nairobi. Provammo solo due o tre giorni, qualche centinaio di chilometri, ma lui aveva paura, sbagliava le indicazioni del road-book e non fu di grande aiuto in gara. Lì però nacque il mio personale “mal d’Africa”, tanto che corsi il Safari fino al 1987, gli ultimi anni con le Opel Ascona 400, Manta 400 e Kadett GSi gruppo A.

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Una storia d’amore non corrisposta quella con il Safari…
Sono arrivato secondo in sei occasioni nella gara africana considerata una delle più difficili. Nel 1985, ero in testa con due ore di vantaggio quando il motore della mia Manta 400 si ruppe prima degli ultimi controlli orari prima dell’arrivo a Nairobi.

Come giudichi il nuovo formato del Safari?
È diventata una gara di velocità, di breve durata, disputata per lo più nei parchi, mentre in passato si correva per giorni, su migliaia di chilometri, su strade aperte al traffico e su un percorso molto più probante. Lo capisco dal punto di vista degli organizzatori: è meno costoso questo format, è fatto per i team europei che non devono adattare più di tanto le auto per questo evento, mentre in passato occorrevano vetture preparate ad hoc per finire un Safari. Del resto, io adoro le gare di resistenza, come la Londra-Sydney o la Londra-Mexico City, cui ho partecipato all’epoca.

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Le Rally1 di oggi non sarebbero adeguate al Safari dei “bei tempi”?
Beh, andrebbero profondamente adattate. Certo, nella configurazione del Monte-Carlo o del Sardegna sarebbero troppo fragili per resistere 5-6 giorni e 4000 km…

Si parlava di gomme, all’inizio…
Anche qui i rally hanno portato una rivoluzione. La più evidente? Il passaggio dalle catene ai pneumatici invernali e a quelli chiodati, molto diffusi in Scandinavia. La marca Hakkapelitta fu la prima a svilupparle, anche per le competizioni. In Finlandia l’80% della popolazione impiega le gomme chiodate d’inverno e in tutta Europa le coperture cosiddette termiche sono altrettanto diffuse. Ho vinto il Monte-Carlo 1967 grazie alle gomme chiodate, il team BMC aveva portato 1200 gomme chiodate di diverso tipo per questa gara!

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Hai corso con tante squadre ufficiali; con quale o quali ti sei trovato meglio?
Prima dell’istituzione del Mondiale Rally, nel 1973, ho avuto un ottimo rapporto con gli inglesi della BMC: per loro ho corso non solo con le Mini Cooper S ma anche con l’Austin Healey 3000, gran macchina. Nell’era della serie iridata ricordo con grande piacere i tempi della Opel, team per il quale sono stato sia pilota, sia team-manager a fine carriera, nel 1988 e 1989. Invece la Datsun ha rappresentato una bellissima avventura: ho aiutato i Giapponesi a fare della 240 Z un’auto vincente o quasi: quinto nel 1971, terzo nel 1972. E 18esimo nel 1973. Con loro ho poi corso tanti Safari con la berlina Violet, finendo tre volte secondo.

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