Vecchia Panda fa buon brodo. Anzi, buon cous cous…
DALLA SPAGNA A MARRAKESH. C’è chi la tratta come un feticcio, tirandola a lucido ed esibendola, magari con fare un po’ snob, sulle strade di St. Moritz o Courmayeur. Ma c’è anche chi non vede l’ora di sporcarla macinando chilometri e chilometri di sabbia, ghiaia, sudore e fatica. A questa seconda categoria appartengono le centinaia di equipaggi che, da quattordici anni a questa parte, si tuffano nell’avventura del Panda Raid a bordo delle loro vecchie Fiat Panda 4×4. All’odissea di circa 2000 chilometri, che porta dalla Spagna a Marrakesh, attraversando tutto il deserto del Marocco, sono ammessi esclusivamente gli esemplari costruiti fino al 2003, ed è davvero un test impegnativo per le piccole integrali torinesi, che ogni anno vengono portate in gara non solo da team provenienti da tutto il Vecchio Continente, ma anche da paesi extra-europei.
DA TORINO CON FURORE. L’edizione di quest’anno si è svolta dal 21 al 29 ottobre scorsi, regalando uno spettacolo unico: uno “sciame” di Panda a caccia d’avventura, in lotta contro il cronometro in sette prove speciali – una per ciascuna tappa – e contro le mille insidie del deserto. A raccontarcela, direttamente dall’abitacolo della loro “Pandina” a trazione integrale, sono i torinesi Walter e Daniele Bottallo, padre e figlio, che all’attivo hanno già cinque partecipazioni a questo evento e che nell’ultima edizione si sono classificati undicesimi su 286 equipaggi partiti. E lo scorso maggio hanno anche vinto la Baja 800: una “mini” maratona di 800 km, una sorta di evento preparatorio al Panda Raid, che va in scena in Spagna, sulle piste sterrate più ostili nelle zone di Soria, Saragozza e Teruel.
Per voi non è stata la prima volta, ma l’emozione è sempre la stessa. Che cosa significa il Panda Raid?
WALTER: “È un’esperienza indimenticabile, vissuta nella totalità del deserto, che toglie tutto il superfluo e amplifica fatica e difficoltà. È una continua scoperta dei propri limiti, ma anche della grande solidarietà tra gli equipaggi. Con i quali, spesso, nascono amicizie che dai rally si trasferiscono nella vita di tutt’i giorni”.
DANIELE: “Il Panda Raid è un’avventura meravigliosa, che dura sette giorni ma che ti porti nel cuore per tutta la vita. Racchiude un ventaglio di emozioni infinite. La più grande, per me, è naturalmente correre con papà. È un raro connubio di passione per il motorsport, avventura, sfida e amicizia. È una corsa dura e ad alto tasso d’adrenalina, un po’ come la vita, che ti obbliga a tirare fuori il meglio di te e dare il massimo sempre. Questa almeno è la nostra filosofia”.
Walter, tu guidi. Daniele, tu navighi. Come incide il rapporto padre-figlio in quello tra pilota e copilota in un raid così lungo e stressante?
WALTER: “Innanzitutto tengo a precisare che guidiamo entrambi, dato che la suddivisione “fissa” tra i ruoli di pilota e navigatore vale solo nelle prove speciali. Diciamo che nei tratti cronometrati guido io per “continuità” dalle prime prove del primo anno, che vincemmo. E poi devo dire che Daniele è molto più bravo di me nella navigazione, al punto che quando guida lui, continua a tenere anche un occhio sul road-book che ho in mano io. In ogni caso, comunque, nei rally il rapporto pilota-navigatore si basa su una totale reciproca fiducia. E quale fiducia potrebbe essere più grande di quella che lega padre e figlio?”.
DANIELE: “Ho la fortuna di avere un papà meraviglioso con cui ho un ottimo rapporto. Credo questo sia di enorme aiuto nella nostra quotidianità ma anche nel gestire situazioni difficili come gli imprevisti, che al Panda Raid sono all’ordine del giorno. Francamente non ricordo “incazzature” o divergenze d’opinioni degne di nota. A volte ci punzecchiamo, anche per allentare la tensione, ma sempre in modo scherzoso. L’affiatamento non viene mai a mancare e il nostro legame e la stima reciproca – come papà e figlio, come team, come amici – non sono mai messi in discussione”.
Com’è nata la vostra passione per i motori?
WALTER: “Da ragazzo, negli anni ’60, ho corso con un’Abarth 595 e con una Mini Cooper. Poi un amico di vecchia data, Gian Maria Aghem, pilota anche lui e plurivincitore nelle gare di regolarità per auto storiche, mi ha parlato del Panda Raid. Così qualche anno fa ho deciso di rimettermi in pista…”.
DANIELE: “Me l’ha trasmessa papà, attraverso i suoi racconti e portandomi in auto con lui, insegnandomi i trucchi della guida veloce e l’importanza della sicurezza. La prima volta che ho stretto un volante tra le mani ero seduto sulle sue gambe, non arrivavo nemmeno ai pedali. A mio padre devo quasi tutto quel che ho imparato dopo sulla guida veloce e sulla sicurezza. Il rombo dei motori mi ha sempre fatto impazzire, sin da bambino. A partire dalla fine degli anni ’80 ho avuto il privilegio di assistere a diversi GP di Formula 1 a Monza, dove ho conosciuto Nannini e Piquet, Schumacher, Senna, Alboreto e tanti altri piloti: io gli regalavo i miei disegni e in cambio ottenevo un autografo sul mio quadernetto, che conservo ancora oggi gelosamente insieme a moltissime foto”.
E l’amore per la Panda?
WALTER: “Dirò una cosa che forse non dovrei dire, ma non è che prima del Panda Raid avessi mai preso in seria considerazione quest’auto. Naturalmente, tutto è cambiato quando abbiamo preso la 4×4 del 2002 con cui corriamo il rally e abbiamo vinto l’ultima edizione del Baja 800. È una vera roccia e va davvero dappertutto: come potrei non volerle bene?”.
DANIELE: “In realtà, prima di questa, era transitata un Panda 4×4 moderna in famiglia. La utilizzava soprattutto mia madre, che oggi ne possiede una nuova, acquistata qualche anno fa. Comunque direi che anche in me la passione per la Panda è nata con l’inizio della partecipazione al Panda Raid: chi l’avrebbe mai detto che da “auto della nonna” potesse trasformarsi in una vettura da competizione affidabile, inarrestabile e soprattutto in grado di regalare soddisfazioni così grandi?”.
Qual è l’insidia numero uno del Panda Raid? E la miglior dote della Panda?
WALTER: “All’inizio credevamo che fosse la sabbia, dato che in più di un’occasione ci siamo arenati. Poi abbiamo capito che, più che “domare” la sabbia, dovevamo imparare a conoscerla. Intuirne i segreti, la compattezza, e di conseguenza gestire l’auto. In ogni caso, è molto peggio la polvere. Gli arabi la chiamano fesh fesh: una sorta di nebbiolina di terra finissima che rimane sospesa nell’aria e riduce la visibilità praticamente a zero. Ogni scarto dalla pista è una vera incognita: stare dietro un’auto che precede è penalizzante, sorpassare è un rischio. Un incubo!”.
DANIELE: “Tra le maggiori insidie del Panda Raid metterei rocce, buche e sabbia. Ma la cosa più difficile è non perdere la rotta. Quando l’unico riferimento del road-book è il cap della bussola non è semplice seguire la giusta direzione. Certe decisioni vanno prese in fretta ed individuare la pista corretta è tutto tranne che scontato. Quanto alla Panda, oltre alla sua efficienza e alla sua semplicità, a sorprendere è la sua robustezza. Con le opportune modifiche strutturali e l’aggiunta di alcuni elementi a protezioni delle parti meccaniche più critiche diventa praticamente indistruttibile”.
Immaginate di dover riassumere il Panda Raid in due momenti: il più emozionante e il più difficile.
WALTER: “I momenti di grande emozione sono davvero tanti, non riuscirei a individuarne uno soltanto. Il ritrovare dopo un anno gli amici al campo, la partenza del primo giorno, l’arrivo al traguardo finale di Marrakech e guidare, guidare nel nulla del deserto… Lo stress più pesante, ogni giorno, è rappresentato dai cinque secondi del conto alla rovescia prima della partenza delle speciali: a volte paiono un battito di ciglia, altre sembrano interminabili. Poi c’è sempre la paura che si rompa qualcosa e che non si sia capaci di ripararlo, vanificando magari la preparazione e l’impegno di interi mesi. Ma per fortuna, finora, siamo riusciti a cavarcela in ogni imprevisto, senza doverci fermare”.
DANIELE: “In realtà il momento più emozionante è stato l’abbraccio con papà dopo la vittoria del Panda Raid Baja 800 in Spagna, lo scorso maggio scorso. Quell’abbraccio e lo sguardo che ci siamo scambiati sono stati il culmine di un’esplosione di emozioni che avevo dentro. Non lo dimenticherò mai. A livello sportivo, è unica la scarica di adrenalina che dà una prova speciale. Così come la tensione prima del conto alla rovescia: ripasso il road-book, controllo che tutta la strumentazione funzioni. Poi scatta il via e nella testa c’è solo la gara”.
Ci sono nuovi raid all’orizzonte, magari in coppia?
WALTER: “Ci sono tante avventure sportive che potremmo tentare nel tempo. Da sognatore dico tutte le prossime edizioni del Panda Raid, naturalmente solo ed esclusivamente accanto a Daniele. Poi mi sveglio, apro gli occhi, leggo la mia data di nascita sulla patente e “mi ridimensiono” alle prossime tre o quattro. Giusto il tempo per lasciare il posto a mio nipote, che ora ha 15 anni e sono certo formerà una nuova stupenda coppia con mio figlio”.
DANIELE: “Ad aprile io e papà correremo la prossima edizione del Panda Raid in Marocco, la nostra sesta insieme. A gennaio, invece, parteciperò alla Dakar Classic come navigatore a bordo di una Toyota BJ71 del 1988, questa volta al fianco non di mio padre ma dell’amico Paolo Bedeschi. Colgo l’occasione per questa opportunità unica. Sarà una gara dura e impegnativa, ma per me è innanzitutto la realizzazione di un sogno”.