Un sogno possibile: le coupé Anni ’70 e ’80 pt.2
Negli Anni ’70 e ’80 i sogni a quattro ruote erano le Porsche 911 e 928, l’Aston Martin V8, Ferrari BB e 308, la Jaguar XJS, la Lamborghini Countach, la Maserati Merak, l’Alfa Romeo Montreal… E negli strati più bassi? Anche qui le auto sentivano l’esigenza di produrre emozioni, sentire l’ebbrezza di un tetto basso sopra la testa, una posizione di guida vicino a terra, il parabrezza inclinato e il motore dietro la schiena… Naturalmente il bello era poter ottenere tutto questo anche con un budget più ‘umano’. In due puntate ecco le ‘nostre’ sportive veloci a listino tra gli Anni ’70 e ’80 e che ancora oggi fanno girare la testa.
RENAULT FUEGO 1980. I tempi geometrici di Renault 15 e 17 si concludono nel 1980 con l’ingresso in società della nuova Fuego, nome caliente per una coupé da famiglia passionale: tre porte ma quatto posti comodi. La Fuego ‘infiamma’ il Salone di Ginevra con un design tutto curve (c’è chi non le perdona la sua cintura di plastica nera che avvolge tutto il corpo vettura). Il design scaturisce dalla matita di Michel Jardin e Robert Opron, già designer di Citroën SM, GS, CX e, nell’84, della Renault 25. È una audace ‘tutta-curve’ in un ambiente in cui gli spigoli fanno da padroni. Il pianale è quello della Renault 18, la carrozzeria ha un ottimo cx, inferiore a 0,35, e un ampio baule che parte da 300 litri ma raggiunge quota 1000 abbattendo lo schienale posteriore. Entra in commercio con due motori: 1.4 da 64 cv e 1.7 con 96 cv (entrambi quattro marce) per sfidare l’Opel Manta e la Ford Capri. Ma già nell’81 ecco la Fuego TX e GTX con propulsore 2 litri da 112 cv per 180 orari. Nell’82 la Fuego GTL adotta il cambio a 5 marce e nasce la Fuego Turbodiesel dotata di un generoso motore da quasi 90 cv. La gamma prodotto raggiunge il picco nell’83: oltre a un restyling di metà periodo arriva la Fuego Turbo. Questa dispone del 1.6 sovralimentato della Renault 18 e può scattare da 0 a 100 orari in 8″9 con una punta di ben 200 km/h. Dall’84 la Renault Fuego sbarca oltre l’Atlantico: la versione americana monta un motore 2.2. Nell’87 si conclude la produzione in Europa per continuare in Sud America. La Renault Fuego cessa definitivamente la produzione nel ’92: oltre 265mila gli esemplari prodotti.
ALFA ROMEO ALFASUD SPRINT. All’inizio dell’autunno ’76 il Biscione di Pomigliano sfodera la sua inclinazione alla sportività con la versione coupé, denominata Sprint e che si affianca alla Giulia GT Junior. Il nome è una dichiarazione d’intenti, che rivolge sguardo verso l’iconica Giulietta di metà Anni ’50: il design è di Giugiaro, il posizionamento a fianco della Alfasud berlina, sotto l’Alfetta GTV e la bombastica Montreal. Con la Alfasud berlina condivide piattaforma e passo ma è più lunga di 11 cm (392 cm in totale), più larga e bassa. Da non trascurare, inoltre, il portellone posteriore (più carino dello sportello in dotazione alla sorella maggiore). Debutta con il 4 cilindri boxer con 76 cv (a essere sinceri l’Alfista si attendeva più emozioni) ma purtroppo la trazione è anteriore, lontano dalle sensazioni magiche della Giulietta dei tempi che furono. Nel ’78 il primo aggiornamento rinnova design, potenza (79 cv da un nuovo 1350 cc) e aggiunge un nuovo motore 1.5 da 85 cv. L’anno successivo ecco l’Alfasud Sprint Veloce: 86 cv per la 1.3, 95 per la 1.5. Nell’83 la II serie è un modello molto rinnovato: si chiama Alfa Romeo Sprint e ha design aggiornato con nuovi fascioni, nuova calandra, nuove luci (davanti e dietro), nuovi interni (materiali, grafiche e colori) e qualità costruttiva migliorata: più robusta, più solida, più protetta contro la ruggine. La 1.3 conserva 95 cv mentre la 1.5, la nuova Quadrifoglio verde, eroga 105 cv ed è più caratterizzata che mai: spoiler davanti e dietro, particolari in verde, cerchi in lega con design appariscente. L’ultimo anno di commercializzazione della Sprint è l’88, a fianco della nuova 33: la 1.3 ha un allestimento semplificato, la Quadrifoglio Verde sfrutta il nuovo motore 1.7 della 33 e sfiora 200 km/h.
ANADOL STC-16 1972. Nel ’72 la turca Anadol dà inizio allo sviluppo di un modello sportivo, la prima auto emozionale dell’industria turca. Questo modello è, inoltre, la seconda progettata al 100 percento in Turchia dopo la Devrim del ‘61. L’obbiettivo è spingere verso l’alto il gradimento della Casa, trasformarla in un brand di successo. Servono, perciò, anche attività collaterali per il rafforzamento dell’immagine. Tra queste le corse, una sicura leva di Marketing. Il design è affidato a Eralp Noyan giovane designer laureato all’Accademia di Belle Arti in Belgio. Questi si ispira alle sportive del periodo: Datsun 240 Z, Saab Sonett, Triumph Spitfire, Marcos e Ginetta. Ma, soprattutto, ai caccia da guerra del secondo conflitto Mondiale. La vettura utilizza un telaio accorciato rispetto alle berline Anadol, nel quale viene alloggiato un quattro cilindri 1.6 Ford Kent da oltre 80 cv con trasmissione della Ford Cortina. Nel ’72 inizia la progettazione e a fine anno sono pronti i prototipi per i test dinamici; questi sono condotti sia in Turchia, sia in Inghilterra al M.I.R.A.. Nell’aprile del ’73 parte la commercializzazione. È denominata STC-16 cioè ‘Sport Turkish Car 1600’ o, sul mercato internazionale, Sport Touring Coupé. In Turchia è nota come ‘Süper Türk Canavarı’ (Super Mostro Turco). Già in quell’anno, tuttavia, esplode la crisi del petrolio e diventa improvvisamente costosa: sia per il prezzo del carburante sia per l’elevato costo di produzione della carrozzeria in vetroresina (un prodotto dell’industria petrolchimica). In quel periodo diventa famosa anche nei rally: la versione corsa si basa su un telaio più raffinato e motore con potenza quasi doppia. Fino al ’75 sono prodotti, prototipi compresi, circa 180 esemplari, la maggior parte in colore giallo Alanya.