Un giorno ti disegnerò: la Katana e Rodolfo Frascoli
Le patate esistono anche nel mondo del design industriale. E vengono servite bollenti, con un contorno di fregature saltate in padella. Già perché di solito, al malcapitato di turno, gli rifilano questo piatto quando bisogna rimettere mano a un grande classico. Un’icona intoccabile come la 911 o la Vespa… Del resto non è una novità che il design sia come l’architettura: un conto è fare una casetta a schiera nella periferia di chissà dove, un altro rimettere mano al Colosseo. Morale, la pressione è enorme. Nel caso di macchine e moto, poi, non lo è solo per le aspettative dei cultori. Di quelli che in garage hanno l’originale. No, il pressing più difficile da gestire te lo mette addosso chi la sognava e non l’ha potuta avere per questioni anagrafiche o perché allora il portafoglio aveva altre priorità. Già, ci vuole coraggio per ridisegnare i sogni della gente.
LA KATANA 3.0. Ciononostante di fronte alle patate bollenti ci sono ancora quelli che accorrono in massa, convinti di poter essere all’altezza della sfida. Sentendosi già pronti a entrare nella storia del design dalla porta principale. Ovviamente non mancano anche quelli che si defilano con la prima scusa che trovano. E poi, se sei fortunato, spuntano i temerari come Rodolfo Frascoli, che le patate bollenti se le vanno a cercare (come era già successo nel 2003 con la Vespa Granturismo). Sì perché prima che il designer lombardo ci mettesse mano con un manipolo di impavidi compagni (da quelli della storica rivista Motociclismo a quelli della Engines Engineering), alla Suzuki manco gli era venuto in mente di riprovarci. Con la Katana. Finché al Salone di Milano (2018) il prototipo della Katana 3.0 ha mostrato al mondo intero tutte le potenzialità di un modello di quarant’anni prima. Ma perché proprio la Katana? Mi domando io, e Frascoli risponde: “Quando uscì ero un ragazzino che sognava i motorini. E il suo design estremo mi turbò. Profondamente. È allora che ho deciso che da grande avrei disegnato moto“. Katana compresa. Ovviamente.
LA LINEA. “Fino alla Katana del 1981 le moto erano orizzontali” fa notare Frascoli. Ovvero, fanale, serbatoio e sella erano su una stessa linea. Poi arriva questa rivoluzione e nella moto ci si cala come in una supercar. La nuova Suzuki Katana (qui la nostra prova) accentua questo aspetto estetico, chiudendo il disegno con una scultura a forma di codone.
PIÙ GRANDE, MA NON SI VEDE. Telaio e motore (oggi la Katana è raffreddata a liquido, mentre al tempo era ancora ad aria, mentre il telaio a doppia trave preso in prestito dalla GSX1000 F era il doppia culla della GSX1100) hanno ingombri molto diversi. Per fortuna che c’è il nero che sfila. Anche in meccanica.
IL LATO B. Dicevamo il codone. “È uno dei pezzi che preferisco”, ammette Frascoli. Sospeso, scolpito, bello anche di notte, quando si tinge di rosso.
OTTIMA TRADUZIONE. “La 3.0 aveva i semimanubri come l’originale”. Si sa, dal prototipo alla serie si perde sempre qualcosa. È come nelle traduzioni dei libri: non bisogna essere letterali, ma far passare il concetto.
IL BUON DESIGN VINCE SEMPRE. “Il serbatoio che scende a V stretta è stata un’impresa“. Con la sua scritta Suzuki formato gigante era una delle cifre anche della Katana originale. Ma nel frattempo l’airbox è lievitato, costringendo Frascoli a rinunciare a qualcosa. Capacità o design? Guarda qui e poi mi dici.
PROTOTIPO A CHI? “Volevamo che la 3.0 entrasse in produzione. E per far capire che era un progetto fattibile il nostro doveva essere più di un semplice prototipo“. Per questo sembra addirittura una preserie. Tant’è che alla moto esposta all’EICMA per andare bastava solo farle il pieno…