Trieste, la coupé che pareva levigata dalla bora

Trieste, la coupé che pareva levigata dalla bora

Se il nome di Giovanni Bucci non vi dice nulla, a meno che non vi spacciate per un esperto storico dell’automobile potete stare sereni, perché in pochissimi conoscono la sua storia. Classe ’35, italiano di nascita ma americano d’adozione, Bucci trascorre l’infanzia tra l’Italia e la Jugoslavia in tempi difficili, per le popolazioni dell’Istria.

SOGNO AMERICANO. Il ragazzo studia con passione l’elettrotecnica e, dopo aver ottenuto diversi diplomi, si laurea in ingegneria elettrica all’università di Trieste. Nel 1959 va a cercare fortuna in America e trova lavoro come ingegnere a Chicago. Il suo sogno nel cassetto? Progettare la “sua” auto sportiva. La sua ambizione? Progettare soluzioni così innovative da essere adottate dai grandi costruttori.

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PRODUZIONE PROPRIA. Uno dei primi frutti degli studi di Bucci è la Shabba, una baby spider costruita nel 1961, appoggiata su un telaio Fiat e mossa da un pimpante motore Abarth di 750 cc. Qulla piccola sportiva fece parlare di sé all’Esposizione Internazionale di New York del ’64 per il look “spaziale” e per lo sterzo retrattile e collassabile. Nel 1966, cavalcando con la fantasia l’onda del successo di auto da sogno come le Alfa Romeo Giulia 1600 Sport Pininfarina e Giulia TZ2 di Zagato, Bucci dà vita alla Trieste, che rimarrà la sua auto più famosa. Si tratta di una coupé alta un niente da terra, con una silhouette “stiracchiata” e meccanica di derivazione Porsche 356. La monoscocca è in fibra di vetro, per l’epoca e per gli standard americani, era una vera chicca.

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SI CHIAMA COME LA CITTÀ DEL VENTO. La carrozzeria della Trieste ha uno stile alquanto stravagante, con quegli altissimi e ondulati parafanghi che avvolgono le ruote anteriori, l’abitacolo molto arretrato e la parte posteriore che ricorda le forme della Ferrari Breadvan. La coda tronca è un risultato della moda dell’epoca, che per la prima volta cercava di andare incontro a precise esigenze aerodinamiche. L’auto è molto aerodinamica, di quelle, come spesso si sente dire in giro, sembrano disegnate dal vento. Non è un caso, forse, allora, che questa coupé si chiami Trieste, la città in cui soffia la bora e in cui Bucci ha vissuto a lungo, prima di trasferirsi, guarda caso, in un’altra città famosa per essere molto ventosa, Chicago, the windy city

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TESTIMONIANZA DI UN SOGNATORE. Bucci costruì due esemplari della Trieste. Con la prima, di colore giallo, partecipò a numerosi eventi dimostrativi in Europa (l’esemplare è ritratto in alcune foto anche a Roma e Milano). La seconda, con il passo allungato, era un modello statico in scala 1:1: fu rubato più volte e mai ritrovato. Giovanni Bucci tenne con sé la Trieste I per tutta la sua vita. Quando morì, l’auto fu acquistata da conoscenti del designer che la fecero restaurare.

Immagini: Undiscovered Classics

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