Tom Morey: l’uomo che tagliava le tavole (da surf)
Ci sono le volte che un bel taglio netto può cambiarti la vita. In meglio. Perché la storia si trascinava troppo, perché la questione si era fatta noiosa, perché le cose che vanno per il lungo non sempre sono le più divertenti. Come ci hanno insegnato gli sci quando hanno tirato fuori i cortissimi carving. O le auto con Mini e 500. Ecco, ma pensa che questo approccio qua l’aveva avuto anche Tom Morey, ma con le tavole da surf.
L’IMPORTANTE È DIVERTIRSI. Come tutte le rivoluzioni americane, anche questa comincia in un garage. Siamo a Kona, Hawaii. Da dentro viene un rumore come se uno stesse tagliando un pezzo di polietilene con un coltello. Nell’aria c’è anche un vago senso di bruciato, quello che farebbe un ferro da stiro sulla plastica. Non occorre andare a vedere cosa sta succedendo, perché tutto dura poco, pochissimo, che già si vede spuntare un ragazzone sorridente con la sua tavola mozza sotto braccio. Del resto, il destino di Morey era scritto nelle onde. Nato a Detroit nel 1935, cresce a Laguna Beach, in California. E qui se non sei un surfista, lo diventi per forza. Gente liberamente ispirata alle canzoni dei Beach Boys, che cavalca onde con tavole chilometriche. Stabili sui cavalloni, certo, ma maneggevoli come transatlantici. E divertenti come pontili galleggianti. Per questo Tom non è mica convinto che questo sia l’unico modo possibile. E così si chiude in garage con il ferro da stiro preso in prestito dalla vicina. La sua trovata, quella tavola corta corta e coi giornali sopra (la soluzione più comoda per non stirare direttamente la plastica), è un successo. Planetario e immediato: ne vende subito una ancora prima di arrivare in spiaggia. Dieci dollari in contanti e il resto è la storia di un best seller mancato, almeno per lui. Perché se è vero che la tavola Morey ha spopolato (quattro anni dopo la prima aveva già evaso 80MILA ordini), nel 1978 Tom vende marchio, società e brevetto alla Boogie Board di San Francisco. E questo succede molto prima che il progetto prenda il largo. Intanto lui fa una sfilza di figli, e i nomi che sceglie la dicono lunga sulla sua scala di valori: Sol, Moon, Sky… Per questo alla domanda ‘rimpianti?’ non sorprende che risponda “macché, non esser diventato miliardario è come non essere uscito con quella biondina, o non aver pescato quel pesce. La vita continua alla stessa maniera. E anche ricco sfondato sarei comunque rimasto in costume da bagno tutto il giorno e avrei continuato a mangiare quanto mangio oggi. Non un grammo di più”. È in queste parole che viene fuori la filosofia del surfista, quel movimento oceanico che predica l’attesa dell’onda giusta per il solo gusto di cavalcarla. E divertirsi un po’. Tutto il resto, successo compreso, è noia.