Suzuki Katana: 40 anni fa la prima sciabolata

Suzuki Katana: 40 anni fa la prima sciabolata

Nel 1981 c’è un nuovo presidente alla Casa Bianca, l’attore Ronald Reagan, mentre in Vaticano c’è già il Papa polacco, Wojtila. L’auto dell’anno è la Ford Escort terza serie. Tra gli altri fatti degni di nota, l’apertura della boutique di Versace nella esclusivissima Coconut Grove, a Miami, l’arrivo nelle concessionarie della futuribile DeLorean e l’apertura della prima fabbrica di Coca Cola in Cina. E se a prima vista poteva sembrare un anno qualunque, be’, queste premesse ti fanno capire che qualcosa sta cambiando. Ecco, la Suzuki Katana nasce in questo momento storico qui, quando il futuro non è più una cosa che si sogna. Ma si vive. 

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RIPASSO VELOCE. C’è stato un tempo in cui le moto giapponesi si vendevano solo perché erano giapponesi: andavano bene (quando non correvano pure forte) e montavano motori pluricilindrici altrimenti inarrivabili. Gli Anni ’70 sono stati una manna, anche per quelle prodotte ad Hamamatsu. Ma i figli crescono, le mamme invecchiano e le mode cambiano. E il centauro, specie storicamente affamata di prestazioni e cavalli, nel frattempo si è evoluto. Adesso la sua bestia da soma non la vuole soltanto cattiva, ma anche bella. E così le case, un po’ tutte, si rendono conto che per fare una moto che piacesse non bastava più piazzare lì un faro, diciamo tondo, e un serbatoio, facciamo a goccia, sopra un motore anche se pluricilindrico. Intanto a Monaco, nel quartier generale delle moto più conservatrici di sempre, Hans Muth decide di dare scandalo. Ecco allora che da quando arriva lui le BMW sfoggiano cupolini cubisti, dettagli spigolosi, cose che trasformano i boxer del nonno in moto di design. Contemporaneo. 

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L’UOMO VENUTO DALL’OVEST. Per questo motivo quando Suzuki decide di puntare tutto su un nuovo modello, vuole che a disegnarla sia proprio lui. E così, quei dettagli ancora acerbi con cui si era cercato di attualizzare la R65 LS, ad Hamamatsu vengono portati alle estreme conseguenze: una moto rivoluzionaria nasce così. Anche nel nome, che come dice Muth, gli venne in mente perché la moto, alla fine, è proprio come la fantomatica Katana (l’affilatissima spada del samurai), uno strumento preciso che, se usato male, può diventare un’arma letale. Quando il designer tedesco spiega il perché di questo nome, i giapponesi lo guardano sconcertato. E nella sala riunioni cala il silenzio. Poi qualcuno ironizza con un “ci è andata bene, poteva chiamarla harakiri…”. E Katana fu. 

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LA PRIMA KATANA NON SI SCORDA MAI. Dopo la Katana il mondo delle moto non fu più lo stesso. Come nel prêt-à-porter, anche sulle passerelle dei concessionari si cominciò ad apprezzare il piacere di quel total look, dello stile coordinato. A guardarla oggi, questa Suzuki, porta ancora benissimo quel suo taglio originale, che unisce il cupolino a sella e coda, in un pezzo che sembra unico. Tenuto insieme da quel serbatoio affilato che sbuca nel becco davanti, che diventerà il biglietto da visita delle Suzuki più sexy (ogni riferimento alla DR Big non è puramente casuale). Niente è lasciato al caso, basta guardare la manopola integrata per tirare l’aria (sulla fiancata sinistra), che spicca in questo monoblocco scolpito nell’argento e che manda in soffitta le cromature preferendo il nero. Anche per le marmitte. Per non parlare di quella strumentazione che integra, sotto un unico vetro, contagiri (col rosso a 9000 giri) e contachilometri (con fondo scala a 240). Un cruscotto minimal rispetto ai televisori catodici delle altre. O il tappo del serbatoio decentrato. Del resto Muth e quelli della sua Target avevano già fatto vedere cosa sarebbero stati in grado di fare con una moto, se avessero avuto carta bianca. Era successo con la MV Prova. Di nome e di fatto. Con quel dettaglio che si chiamò flyline e che, nelle auto, equivale un po’ alla linea di cintura. Ma sotto quel design innovativo, niente. Almeno così dicevano i critici. Invece di roba ce n’era, a cominciare dal quattro cilindri in linea di 1074 cc, con 16 valvole e quell’infilata di carburatori Mikuni per un totale di 111 cavalli. Ma la verità è che le altre offrivano già il raffreddamento a liquido o telai più moderni. Ciononostante la Katana fece innamorare quelli che un decennio dopo avrebbero adorato le naked. Moto sportive, non pistaiole. In pratica compagne ideali per andarci al lavoro durante la settimana. E in montagna nel weekend. To be continued… (già perché una storia così non poteva finire 40 anni fa). 

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