Storie di corse, al Mauto l’epopea della Formula 1

Storie di corse, al Mauto l’epopea della Formula 1

C’è stato un tempo in cui i paddock dei circuiti di Formula 1 erano semplici spiazzi d’asfalto con chiazze d’erba bruciata dal sole. I meccanici non lavoravano in tuta, ma in pantaloncini, a torso nudo, e coi piloti, a patto di saperci fare, ci si poteva anche parlare, perché a scortarli, a differenza di oggi, non c’era nessuno stuolo di ‘angeli custodi’. Era il Circus di Bernie Ecclestone, che fino al 2016, prima di venderlo agli americani di Liberty Media, ne è stato il vulcanico, potente, visionario proprietario, trasformando la classe regina dello sport automobilistico in un fenomeno di portata mondiale. Era anche la Formula 1 della grande ‘alleanza’ inglese: Colin Chapman, Teddy Mayer, Max Mosley, Ken Tyrrel e Frank Williams, riuniti nel 1974 proprio da Mister E nella Formula One Constructors’ Association, una sorta di clan nato con l’obiettivo di tutelare gli interessi dei piccoli team privati d’oltremanica e fare gruppo contro i colossi Renault, Alfa Romeo e, naturalmente, Ferrari. E in qualche modo era pure una ‘creatura’ del Commendatore, quella Formula 1, perché il grande vecchio di Maranello, nel 1950, aveva contribuito a farla nascere, e da allora la scuderia del Cavallino Rampante è l’unica a non aver saltato neppure un campionato, vincendone più di ogni altra squadra.

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TRA STORIA E LEGGENDA. Una storia lunga più di settant’anni, ricca d’avventure, successi e gioie, ma anche di dolori e tragedie. A raccontarla, col sale di chi l’ha vissuta da dentro per cinquant’anni, Giorgio Piola, più di 800 gran premi all’attivo, celebre firma di Autosprint, Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport e fine disegnatore a mano libera dei segreti più nascosti delle monoposto di ieri e di oggi. Al suo fianco, nella bella conferenza ‘Storie di corse‘ organizzata lo scorso 9 febbraio dal Museo Nazionale dell’Automobile di Torino, Biagio Maglienti, giornalista sportivo e volto televisivo del Grande Circus sin dagli Anni ’90. Davanti a un pubblico coinvolto e appassionato, i due hanno scoperchiato una miniera di aneddoti straordinari, alcuni mai raccontati, raccolti e messi da parte una storia dopo l’altra, sapientemente conditi con quel pizzico di leggenda che rende la Formula 1 un rituale fiabesco da tramandare e rivivere ogni anno.

Bernie Ecclestone

Bernie Ecclestone

BERNIE A TUTTOTONDO. Il primo ritratto, tratteggiato con una dovizia di particolari tale da immaginarlo in sala, col suo celebre caschetto bianco, è quello del novantunenne Bernie Ecclestone. “Un uomo di grande carisma, divorato dalla passione per i motori, ma soprattutto un uomo che ha sempre visto più avanti di lui”, racconta Maglienti, che per spiegare il fiuto per gli affari innato dell’ex boss della Formula 1 cita un episodio fondamentale: il deposito dei diritti della Formula 1 presso la CVC Capital Partners. Bernie volò a Londra poco dopo l’incidente in cui, l’8 maggio del 1982, perse la vita Gilles Villeneuve: le tragiche immagini di Zandvoort furono trasmesse in tutto il mondo nel giro di poche ore – una cosa incredibile per l’epoca – ed Ecclestone intuì immediatamente l’enorme portata del business legato alla vendita dello spettacolo della Formula 1 alle tv. Fu sempre Mister E, nel 1997, a inventare la tv digitale, che non impiegò molto ad acquisire un peso specifico paragonabile a quello della televisione analogica. Un Ecclestone padrone e controllore, che all’inizio della sua gestione, quando i pass per accedere alle aree riservate dei circuiti erano facilmente falsificabili, “si divertiva a controllarli personalmente”, rivela Piola. Ma anche un Ecclestone più umano e disteso, almeno dietro le quinte, come quando, ricorda Maglienti, “giocava a poker con i piloti, e solo la moglie riusciva a frenarlo quando la fortuna non girava dalla sua parte”.

L’IMPORTANZA DEL CAVALLINO. A Ecclestone va anche il merito d’aver compreso l’importanza della Ferrari e del suo fascino latino in una Formula 1 all’epoca di chiara matrice anglosassone. Se il Cavallino Rampante, dalla piccola Maranello, ha galoppato così veloce fino a conquistarsi l’immortalità, in parte lo si deve anche al rapporto privilegiato tra Mister E ed Enzo Ferrari. Del Drake, in collegamento telefonico, ha parlato anche Mauro Forghieri, l’ingegnere che sul finire del 1961, laureato da appena due anni, ricevette dal patron le chiavi della progettazione delle vetture da corsa: “Avevo 26 anni e dissi a Ferrari che non avevo nessuna esperienza. Mi disse di non farci caso, di fare le cose come avrei voluto farle, che lui sarebbe stato comunque contento”. Abile scopritore di talenti, Ferrari in Forghieri trovò un genio assoluto: dalla sua matita nacquero, tra le altre, la 312 T con il cambio montato trasversalmente davanti all’assale posteriore, una vera pietra miliare nella storia della Formula 1, e la 312 T4, fedele compagna di Jody Schekter nella cavalcata verso il titolo del 1979. 

Niki Lauda

Niki Lauda

IL RICORDO DI NIKI LAUDA. Nella stagione sportiva 1975 la 312 T riportò la Ferrari alla vittoria del campionato dopo dieci anni di astinenza: Niki Lauda si laureò campione del mondo, e grazie al contributo di Clay Regazzoni la squadra conquistò anche la coppa costruttori. Così il fuoriclasse austriaco rivive nel ricordo di Piola: “Lauda era un robot, all’inizio pensava solo alla macchina, non si concedeva nessuna distrazione. A cambiarlo per sempre fu l’incidente al Nürburgring: rimase concentratissimo sul suo lavoro, dimostrando un coraggio straordinario, ma al contempo divenne più umano e sorridente. Merito anche di Marlene Knaus, il suo vero grande amore: da quel momento presero a trascorrere sempre più tempo insieme nella loro villa di Ibiza”. Pensando a Lauda, nella mente di Maglienti affiora invece un divertente episodio di vita mondana: “Una sera ci siamo ritrovati a una festa di compleanno a Milano Marittima. Si fecero le tre del mattino e io sarei dovuto ripartire per Varese il mattino seguente, ma Niki si offrì di darmi un passaggio fino a casa con la sua Jaguar (nel 2002, per quattro mesi appena, da agosto a novembre, Lauda fu il direttore sportivo del team inglese, ndr). Guidava rilassato, nonostante stesse filando a 300 km/h: arrivammo a destinazione alle sei spaccate e prendemmo un caffè”. 

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COM’È CAMBIATO IL MONDO… Dietro le sue lenti scure, Ferrari celava sentimenti profondi e contrastanti. Tra i pochissimi che possono dire di essere riusciti a interpretare fino in fondo i moti del suo animo c’è proprio Forghieri: “Anche se incuteva rispetto e timore, non era come poteva sembrare. Non ti metteva mai in difficoltà e quando prendevamo la paga era il primo a tirare su il morale alla squadra, magari davanti a un bicchiere di Lambrusco. Ricordo quando gli comunicai che me ne sarei andato. Mi disse: ‘Fai bene, siamo alla fine’ (Forghieri lasciò la casa di Maranello nel 1987, Enzo Ferrari morì l’anno dopo, ndr). Nei rapporti con lui ho gustato tutto fino all’ultimo, nel bene e nel male, e di questo lo ringrazio”. L’ingegnere con la Ferrari nel cuore termina il suo intervento con un pensiero sulla Formula 1 moderna, che nel 2022 si prepara all’ennesima rivoluzione: “Il confronto con il passato è impossibile, sono due mondi diversissimi – premette Forghieri con l’umiltà che da sempre lo contraddistingue -. Una volta tiravamo la cinghia, ridevamo delle nostre mancanze. Oggi le disponibilità economiche delle squadre sono enormi, ma questo non significa necessariamente che sia tutto più facile. Non è la Formula 1 a essere cambiata, ma il mondo. Io ho vissuto l’era romantica di questo sport, mi ritengo fortunato. E se in qualche modo ho contribuito a far gioire qualche italiano, la domenica davanti alla tv, ne sono felice”.

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