Storia di Frank, l’uomo che si scoprì Williams

Storia di Frank, l’uomo che si scoprì Williams

Frank nasce a South Shields, nell’Inghilterra del nord. Il padre, pilota della RAF, la madre, maestra di scuola. I due si separano e lui viene tirato su dagli zii. Frank, a quel punto, avrebbe potuto lavorare in un pub. O magari aprirne addirittura uno suo. In quei posti, questi sono i lavori che finisci per fare. Se non ti capita la fortuna che un amico ti passa a prendere per portarti via. Ecco, ma il punto non è il dove ti porta. Ma il come. A Frank è successo che fosse addirittura una Jaguar XK150: un colpo di fulmine a quattro ruote, che lo trasforma. E gli fa tirar fuori il Williams che c’è in lui. Già perché è proprio quel viaggio lì che fa innamorare il giovane studente del St. Joseph’s College della velocità. E dei mezzi che te la fanno provare. Per cominciare prova a fare il pilota. Ma capisce subito che per lui l’emozione delle corse non è solo quella del controllo di un mezzo, ma di tutto quello che ci sta dietro. E sopra. E così, nel 1969 apre la propria scuderia. 

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IL PRIMO TEAM NON SI SCORDA MAI. Gli inizi sembrano la trama di un film. Roba da tenerti incollato alla poltrona del cinema per vedere cosa succede dopo. Dentro c’è tutto: passione, dramma, colpi di scena. L’avventura in F1, cominciata con un telaio Brabham, prosegue con un pilota, bravo ma sfortunato, e con l’immancabile zampino di un italiano (anche argentino). Sì perché allora la massima serie dell’automobilismo faceva ancora rima con Italia, anzi, con Emilia. È qui che Williams trova Alejandro de Tomaso, l’eroe dei due mondi, che lo aiuta a far correre Piers Courage (calando un giovanissimo asso, Gian Paolo Dallara). Sembra una storia a lieto fine. Invece succede il patatrac, una sospensione si rompe, e il pilota inglese muore. Quel 21 giugno, in Olanda, Frank impara qualcosa che lo cambierà per sempre: in pista non c’è posto per le emozioni. 

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LA SVOLTA. Dopo essersi ritrovato a gestire la squadra da una cabina telefonica (perché era rimasto al verde), Williams capisce che per vincere non basta il manico. Ci vuole anche il portafogli. Per questo, insieme al suo nuovo compagno di avventura Patrick Head, decide di battere la pista mediorientale. E così, come per magia, dal ’77 in poi la storia della scuderia inglese è tutta un crescendo (la FW07, una delle icone della F1, arriva proprio allora). Coronato dalla vittoria nel mondiale dell’australiano Alan Jones (1980). Gli anni che seguono sono quelli del turbo, del passaggio da Renault a Honda e dell’incidente che gli costò la spina dorsale (1986). La dinamica ha dell’incredibile. Siamo nel sud della Francia e Williams sta andando all’aeroporto su una Sierra a nolo. Che riesce a tirarsi in testa. Mentre la macchina capitombola più volte, Frank pensa tra sé e sé, “…eppure finire a gambe all’aria non dovrebbe fare così tanto male”. È così che l’uomo che si era messo sul tetto altre “sei o sette volte”, rimane paralizzato per sempre su una sedia a rotelle. Come se non bastasse, i dottori non sono ottimisti. E gli danno 10 anni di vita, ma non sanno chi hanno davanti: Frank ha 43 anni e giura a sé stesso di non mollare (a conti fatti, la promessa è stata mantenuta). Torna operativo nel 1987, viene accolto coi fuochi d’artificio della funambolica coppia Piquet-Mansell. Gli anni ’90 dimostrano che è vero che la storia si ripete. Anche al contrario. Sì perché la Williams questa volta perde i motori Honda per torna ai Renault. E il risultato non cambia: i mondiali ’92 e ’93 sono ancora firmati Williams. 

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TUTTI I SEGRETI DI FRANK. In realtà Williams non ne ha. Visto che non ha mai fatto mistero che per vincere bisogna essere i numeri uno. E i numeri sono quelli che rischiano. Innovando. Ecco perché le squadre di Frank sono servite da vivaio per alcuni dei campioni più forti della Formula 1. E no, non sto parlando dei piloti. Ma di quelli che i bolidi li hanno progettati. O gestiti. Come Adrian Newey, l’uomo macchina delle Williams degli Anni ’90, quelle con le sospensioni attive, che poi, passando dalla McLaren, dal 2010 al 2014 detta legge con le sue Red Bull (vincendo quattro mondiali di fila). O Ross Brown. Che alla massima serie entra proprio dalle porte dei box Williams. E che poi firmerà l’era di Schumacher in Ferrari. 

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IL SOGNO INFRANTO. Nel 1983 succede qualcosa. Frank Williams sente parlare di un pilota. E lo vuole mettere alla prova. Il ragazzo è veloce. Anche molto dotato, questo va detto. Ma non va bene per la Williams, pensa Frank. Non ancora, almeno. Lui è Ayrton Senna e nella scuderia inglese ci finirà un decennio dopo, in quel maledetto 1994. Il resto è storia, una triste storia. L’incidente di Imola, la scomparsa di un mito, il processo a Williams e alla Formula 1. Tutte cose che segnano Williams. Per sempre. Anche se assolto dai giudici, il team manager che c’era in Frank non si è mai perdonato di non essere stato all’altezza del compito. “Abbiamo avuto una grandissima responsabilità, quella di dare la macchina a un campione. E non ci siamo dimostrati all’altezza del compito”. Chissà, lassù, cosa si staranno dicendo. 

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  • 2020 - Renault 43 years in Formula One
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