#sparafangaweek/2: le curvy a quattro ruote

#sparafangaweek/2: le curvy a quattro ruote

La #sparafangaweek è dedicata a tutte le auto che hanno fatto dell’esagerazione nel trattamento dei parafanghi il loro tratto distintivo. E, sopratutto, è dedicata a tutti voi che le amate. La narrativa di questa ‘specialità’ automobilistica è sterminata e vale la pena ricordare che la genesi di questi fianchi larghi è sempre da attribuire alla sinuosità di certe forme o alla necessità di coprire l’eccesso, l’oversize, una qualche forma di esagerazione. E tutto questo è sexy, certo. Eccoci alla seconda della #sparafangaweek.  

ALFA ROMEO GIULIA GT Am. L’Alfa Romeo Giulia GTA vince l’Europeo Turismo nel ’66, nel ’67, e nel ’69; oltre all’Europeo della Montagna nel 1967. Ma nel ’69 si rende necessaria un’evoluzione. Si parte dalla Giulia GT 1750 Veloce America dotata dell’iniezione Spica (obbligatoria per gli USA). Sotto le cure dell’Autodelta e del geniale Carlo Chiti, il motore riceve una nuova testata con doppia accensione e cilindrata portata a due litri, il telaio viene modificato e alleggerito, la carrozzeria viene aggiornata con componenti in vetroresina, vetrature in plexiglas e ruote in elektron. Stilisticamente è una belva, una furia con quattro occhi furiosi e fianchi larghi, molto: irriconoscibile ma di una bellezza (sportiva!) davvero notevole. Dall’1 gennaio 1970 l’omologazione è attiva e la nuova Giulia 1750 GT Am si rivela da subito una fuoriclasse. Toine Hezemans vince sei gare su nove del campionato Europeo Turismo e si aggiudica il titolo. È una superiorità talmente schiacciante da sollevare vive proteste. Nel ’71 la 1750 evolve in 2000 GT Am (stesso motore ma più potente), ma i regolamenti diventano sfavorevoli e la nuova Ford Capri 2600 è un Toro. La GT Am vince comunque il titolo costruttori 1971 e 1972.

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AUDI RS6 C8 (2019). Tra marzo ’94 e luglio ’95 l’Audi RS2 sconvolge il segmento delle berline da famiglia. Il secondo shock arriva l’anno successivo: l’S6 Plus con 326 Cv, (giugno ’96-ottobre ’97) è un’A6 boriosa ma sa ancora darsi un contegno. Nel luglio 2002 ecco la prima RS6 (progetto C5): è una bestia con V8 4.2 biturbo da 450 cv (utilizzato anche sulla Gumpert Apollo da 650) e 0-100 in 4″7 sec (4″9 l’Avant). Si riconosce per gli scudi paraurti rigonfi e i fianchi generosi. Siamo ora arrivati alla generazione C8 (presentata lo scorso ottobre). L’attuale Audi RS6 è diventata uno squalo tigre largo 195 cm (oltre 7 centimetri in più di un’A6 senza considerare gli specchi laterali) e con due fianchi extralarge che ti sembra non riesca a infilarsi in un casello. Del resto è stra-che-gonfia davanti e dietro: il frontale ha due bocche laterali enormi, in coda le cornici degli scarichi ovali sembrano il grafico di un’accelerazione cardiaca. Il ‘solito’ otto cilindri a V biturbo quattro litri ha raggiunto 600 cv e 800 Nm a dosaggio costante tra 2000 e 4.500 giri. Ha un sistema mild hybrid per recuperare 0,8 litri di carburante ogni 100 km a detta della casa, trazione integrale, cambio automatico con covertitore di coppia a otto marce e sospensioni attive. Vola da 0 a 100 km/h in 3″6, da 0 a 200 in 12”. Tocca 250 km/h limitati o 305 km/h con il pacchetto Dynamic Plus.

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FIAT-ABARTH OT 2000 BERLINA ‘MOSTRO’ (1964/65). LA Fiat 850 viene presentata nella primavera ’64. In poche settimane l’Abarth sviluppa il suo kit. La Fiat-Abarth OT 850 (Omologata Turismo) sviluppa 42 cv e raggiunge 130 km/h. I clienti, tuttavia, restano insoddisfatti: prezzo elevato e preparazione non abbastanza ‘spinta’. Carlo Abarth (qui la storia completa della sua vita a quattro ruote) corre ai ripari e al Salone di Torino ’64, oltre a OT 850/Oltre 130, OT 850/Oltre 150 e OT 1000, ecco la bomba: la Fiat-Abarth OT 1600 è un missile con motore bialbero a doppia accensione, carburatori Weber da 45, oltre 150 cavalli (contro i circa 35 di una 850 normale) e scocca irrigidita. Il design riceve una forte caratterizzazione, esaltata dai larghi passaruota. Viene anche creato un grande spoiler posteriore per schiacciare la coda al suolo. Le prestazioni sono sconvolgenti: 220 km/h a fronte di meno di 800 kg di peso. Ma Carlo Abarth (che ha in testa le corse e punta allo scontro con l’Alfa Romeo Giulia in classe Turismo) va ancora oltre e installa il motore due litri creando la mostruosa Fiat-Abarth OT duemila con 185 cavalli per 240 km/h. La Fiat, però non dimostra interesse verso il ‘Mostro’ (peraltro allestito anche in versione coupé) e Abarth non ha le forze per produrne abbastanza per l’omologazione. Così il progetto Fiat-Abarth OT 2000 duemila viene chiuso dopo un manipolo di esemplari (ignoto il numero preciso).

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BMW M8 E31 (1989). Sul finire degli Anni ’80 la concorrenza tra le hypercar è ancora blanda. Al Salone di Francoforte 1989 debutta la BMW Serie 8 E31 e in segreto parte il progetto della versione M, una 850 super estrema. Paul Rosche della divisione M Motorsport progetta il motore S70, un V12 da 6,1 litri, bialbero, 48 valvole, 12 corpi farfallati, 550 cavalli. Nel frattempo si bada a telaio e stile: nuovo paraurti anteriore con prese d’aria per radiatori e freni, fianchi anteriori e posteriori maggiorati: questi ultimi sono davvero superlativi e con ampi ingressi d’aria verso i freni, cerchi neri e gomme ancora più larghe. L’M8 presenta anche assetto più rigido, largo uso di fibra di carbonio in abitacolo (non per un vezzo ma per togliere chili alle 1,8 tonnellate di una 850i). Nel pieno dello sviluppo il progetto salta: recessione economica, probabile prezzo troppo elevato e mancanza di una vera e propria nicchia in cui prosperare convincono a chiudere tutto. Il lavoro fatto non viene sprecato: il motore viene riutilizzato, sia per l’850 CSI (unità S70B56 da 380 cv) sia per la McLaren F1.

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EXOTIC AUTO RESTORATIONS COBRA DAYTONA LE MANS EDITION (2009). Nel ’64 Carroll Shelby ‘chiude’ la carrozzeria della sua favolosa Cobra 427 e crea la Cobra Daytona Coupé. Il missile di Shelby vince il Mondiale GT del ’65 e diventa un pezzo di storia americana (il 15 agosto 2009 un esemplare dei sei costruiti viene venduto all’asta per 7,25 milioni di dollari). Nel mondo i costruttori di repliche più o meno originali si sprecano ma nel 2009 nasce una versione oggi ‘ghiotta’ per la #sparafangaweek. Exotic Auto Restorations di Costa Mesa sviluppa la Cobra Daytona costruita da Superformance di Irvine e nasce la Cobra Daytona Le Mans Edition. In un telaio tubolare viene installato un V8 Rousch a carter secco portato a sette litri con 560 cavalli di potenza (l’alimentazione prevede vari programmi). Le sospensioni sono a doppi triangoli con molle H&R e ammortizzatori Bilstein. Ci sono anche quattro dischi senza ABS (gli anteriori da 330 mm di diametro con pinze a sei pompanti). La trazione posteriore (senza controlli) è abbinata a cambio manuale Tremec a 6 marce. Il peso è di circa mille kg. L’abitacolo, con gabbia rollbar integrale, è arredato con sedili da corsa e climatizzatore. Exotic Auto Restorations pianifica una produzione di sei esemplari. Oggi non si sa quanti ne esistono.

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LAMBORGHINI MIURA JOTA (1970). Ferruccio Lamborghini non volle mai affrontare il capitolo delle competizioni, almeno ufficialmente. Di tutt’altro parere era il suo collaudatore Bob Wallace. Nel 1970 fece prelevare il telaio 5084 dalla produzione Miura e mise in piedi (si racconta allo scuro dello stesso Lamborghini) un progetto per renderla da corsa. Il V12 trasversale fu modificato e potenziato fino a 440 cavalli, il telaio fu irrobustito e irrigidito utilizzato avional, un metallo aeronautico. Per equilibrare i pesi spostò i serbatoi sui lati e sistemò la ruota di scorta in coda. Furono modificate anche le sospensioni. La carrozzeria della Miura da Corsa, la Jota (J era la lettera della parte di regolamento sportivo a lei riferito) era un trionfo di larghezza e mostruosità: Wallace fece allargare a dismisura i fianchi causando la nascita di passaruota pazzeschi e fece ricavare un vistoso spoiler anteriore. Furono potenziati anche freni e adottati nuove ruote (in magnesio) e gomme. Durante i primi test Wallace, si narra, copriva lo scatto da 0 a 100 orari in circa 3″5 anche grazie al peso inferiore ai 900 kg. Ma il progetto non ebbe sbocchi; nel ’72 il prototipo fu ceduto a un concessionario di Brescia che rivendette la Jota a una cifra folle. Ma dopo poco il nuovo proprietario la distrusse in un incendio.

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