Scia luminosa/1: le concept che anticipavano il futuro
Oggi le luci formate da un’unica striscia luminosa che percorre il frontale o la coda sono una scelta piuttosto normale ma negli Anni ’70 e ’80 non si andava oltre la concept da Salone. Era una forte provocazione, un balzo nel futuro. Ecco una lista di concept che sembrano astronavi e hanno questo layout.
FIAT-ABARTH 2000 COUPE’ SPECIALE PININFARINA 1969. La fine degli Anni ’60 è un periodo di cambiamento: inizia l’abbandono delle favolose rotondità che hanno dominato la decade ed esplode il fascino degli spigoli, con il “cuneo” a chiamare a sé tutto l’interesse e l’attenzione. Pininfarina ha già stupito con la Ferrari 512S (di un magico colore giallo) e l’ancora più sconvolgente Modulo. Per incoraggiare la nuova corrente stilistica che porta in trionfo questa forma aspra e ruvida, l’azienda di Grugliasco presenta al Salone di Bruxelles del gennaio ’69 un concept su meccanica Abarth (proviene da un esemplare da corsa con telaio SE030). La denominazione è ricavata dalla cilndrata del motore, il propulsore tipo 236 di 1946 cc con 220 cavalli. Battezzata Fiat-Abarth 2000 Speciale è una delle prime a utilizzare il linguaggio formale spigoloso e decostruito che avrebbe sostituito le linee fluide della decade che sta finendo e influenzato capolavori come la Lamborghini Countach.
Disegnata da Filippo Sapino celebra il fascino di un telaio da corsa ri-vestito con un abito sconcertante e “attillato” per esaltarne volumi e proporzioni. Motore e cambio si trovano “quasi nudi” nella parte posteriore mentre il frontale porta con sé un eccezionale dettaglio stilistico. Il comparto luci è organizzato su una larga fila di 6 fari (ruotabili verso l’alto) che costituiscono un unico occhio ciclopico e ne aumentano l’immagine poderosa (ma va osservato che le dimensioni sono minute). Mancano le portiere perciò l’ingresso in abitacolo è possibile sollevando la grande porta integrata con il parabrezza. Guardando questa piccola scultura moderna nella parte frontale si possono notare alcuni dettagli che rimandano al logo dello Scorpione: gli ingressi d’aria sui bordi del musetto richiamano le chele, i parafanghi anteriori rimandano alle zampe e il grande parabrezza il corpo dell’animale. La coda del piccolo e velenoso artropode è simboleggiata dal gigantesco terminale di scarico. La 2000 Pininfarina Speciale ha trascorso buona parte di vita nella collezione della Carrozzeria. In epoca moderna un grande collezionista giapponese di Abarth ha proposto all’azienda di poterla acquistare. La Casa Madre ha posto una condizione: l’appassionato avrebbe dovuto impegnarsi a “creare un museo Abarth” nel suo Paese. E questi ha accettato! L’auto, che nel frattempo è stata resa marciante, qualche anno fa è tornata brevemente in Italia per partecipare al concorso d’Eleganza Villa d’Este.
LANCIA STRATOS ZERO 1970. Quando pensiamo a quel possente “scricciolo” con soli 218 cm di passo e un magnifico 6 cilindri dietro i sedili siamo stupefatti nel pensare da dove venga quel nome così altisonante che ha risuonato con possanza tra neve e sterrati. La Strato’s Zero è stata un’astronave con le ruote. Bertone ha stupito l’Universo con quel prototipo così avanzato ed etereo e ogni dettaglio di lei toglie il respiro. Tra le tante sue particolarità stilistiche, infatti, stupisce come il carrozziere torinese ha deciso di organizzare, davanti, l’impianto di illuminazione. Sul frontale Marcello Gandini ha disegnato una sottile striscia illuminata che percorre l’affilato musetto da lato a lato e rende il design ancora più… spaziale!
ASTON MARTIN BULLDOG 1979. È considerata la prima hypercar della storia, inquietante oltre ogni più logica aspettativa. A metà Anni ’70 l’azienda ha problemi di bilancio e deve rinverdire il catalogo. Nel ’76 presenta la berlina di lusso Lagonda, antagonista di Ferrari 365 GT4 2+2, Lamborghini Espada e Maserati Khamsin. Ma non basta: al designer William Towns è sollecitata una coupé con motore posteriore. La Ferrari 512 S e l’Alfa Romeo Carabo sono superate e, del resto, erano esercizi di puro design; ora serve un fulmine, funzionante e vendibile. Il “Progetto K9” (dal nome del cane della serie televisiva Dr. Who) è varato nel 1977. Il responsabile Mike Loasby elabora un telaio tubolare nel quale è installato, dietro gli occupanti, il V8 5.3 di serie. Ma le sue dimissioni (per passare alla Delorean) e le complicazioni nello sviluppo della grande berlina di lusso bloccano i lavori; nel frattempo sono già stati costruiti parte del telaio e alcuni pannelli di carrozzeria. Nel ’79 parte la produzione della Lagonda così anche il progetto K9, grazie alla ritrovata tranquillità, riceve nuova linfa. Towns ha di fronte un obbiettivo di 12 mesi per realizzare la macchina e affida al giovane Keith Martin il completamento del telaio. Questi è un ingegnere giovane e inesperto tuttavia ha molto talento e questo è un buon carburante.
Nell’autunno ’79 la carrozzeria è completa così come gli interni: l’auto è un “bestione” lungo 483 cm e dotato di enormi porte ad ala di gabbiano con apertura elettrica; davanti al parabrezza, nascosto da una copertura automatica, è presente una larga fila di fari per la visione della strada. Il motore è giudicato “lezioso” perciò serve una cura rinvigorente: sono così installati due turbo Garrett da cui eruttano 700 cavalli. Il gigante, denominato Bulldog come l’aereo del boss Alan Curtis, è presentato nel novembre ’79 con grande successo di pubblico: grande, spigolosa, estrema e ben costruita. Si ipotizza una produzione di circa venticinque esemplari così lo sviluppo prosegue a gonfie vele e si valuta possa superare 380 km/h di punta massima. Un primo test al MIRA porta un risultato di 309 km/h ma si punta al circuito dell’Ehra Lessien in Germania: qui potrebbe superare 320 orari e diventare la supercar più veloce del mondo. Senonché la situazione dell’azienda precipita e il nuovo proprietario Victor Gauntlett cancella definitivamente il programma. Negli anni la Bulldog viene continuamente sviluppata e migliorata senza fretta così nel 2023 riesce a raggiungere il suo obbiettivo: il pilota Darren Turner, più volte vincitore a Le Mans, tocca 322 km/h.
BUICK QUESTOR 1983. Gli Anni ’80 sono l’epoca della crescita dell’elettronica e del suo arrivo nelle case della famiglia media. Il fenomeno è tanto più importante negli Stati Uniti, la culla di Windows, di Internet e del Commodore VIC-20 (e del Commodore 64). Nel 1983 Buick lancia il prototipo Questor, un primo serio approccio tecnologico nello sviluppo di prototipi. È una sinuosa e particolare spider “tipo Targa” con forme iper-moderne e un design che potrebbe ricordare la Ferrari Daytona all’anteriore e la Autech Gavia di Zagato in coda. L’idea alla base è rivoluzionaria. Solo gli interni richiedono 5 mesi per essere completati, poiché si tratta di un sistema informatico avanzato (per il 1983) che racchiude tutta la tecnologia disponibile in un’unica automobile. Per cominciare, il cruscotto non ha indicatori o quadranti tradizionali bensì il volante ospita tutti i comandi più importanti. Anche in questo caso, per il 1983, si tratta di un sistema straordinario che compare in anteprima su un’automobile.
Al centro del cruscotto è presente un monitor con una telecamera che mostra una visuale posteriore grandangolata. Il monitor fornisce anche un centro di navigazione centrale, come i moderni GPS. Poiché le maniglie esterne non ci sono per entrare nell’auto un sistema di chiavi laser emette un fascio di luce invisibile che attiva l’apertura delle portiere quando la chiave si trova a 15 centimetri di distanza. Una volta aperta la porta, tutti i sistemi si regolano automaticamente per il guidatore, compresa l’altezza dei pedali, la posizione dei sedili e le impostazioni dell’impianto entertainment. Anche in questo caso, si tratta di caratteristiche che solo di recente sono diventate comuni nelle automobili. C’è anche un telefono ad attivazione vocale e un sistema automatico di abbassamento del frontale (di un paio di centimetri quando il guidatore super le 25 miglia orarie) e per una maggiore stabilità il posteriore si sollevava di 3 pollici quando l’auto raggiunge la velocità di crociera in autostrada. In totale dispone di ben 14 centraline di bordo per il controllo di tutte queste funzioni, tutti funzionanti. Purtroppo, non è mai entrata in produzione: i costi, uniti alla mancanza di un’elettronica affidabile per le auto del 1983, la resero impraticabile e l’auto fu rottamata.
BUICK WILDCAT 1985. Oggi il S.E.M.A. SHOW di Las Vegas (Specialty Equipment Manufacturers Association) è una passerella per stravaganti creazioni in tema di tuning e custom ma negli Anni ’80 era un importante Salone per il debutto di prototipi innovativi su tecnologia e design. All’edizione del 1985 Buick presenta un prototipo sconvolgente rispetto alla sua tradizione. La Casa di Flint, Michigan, ha costruito auto sportive e da corsa ma la filosofia è sempre stata verso auto signorili e raffinate. La casa vuole cambiare immagine quindi maggiore attenzione a sportività e competizioni un ottimo modo per aggiornarsi e attirare i clienti più giovani. Buick perciò, inizia a interessarsi ai modelli IMSA GTP, alla serie Trans-AM e persino al campionato Indy e ai dragster. La Wildcat è uno strumento perfetto per dichiarare questo obbiettivo perché è fuori dalla (sua) realtà: bassa, con il tetto a bolla e tecnologia di alto livello. Al suo esordio viene definita “un’espressione di forme scultoree e muscolose e di una meccanica nuova ed entusiasmante“.
Pochi potrebbero dimenticare la forma sconvolgente della carrozzeria, il tetto in vetro e le impressionanti prese d’aria sui passaruota posteriori. Le proporzioni sono inconsuete, con il frontale più largo del posteriore. A seconda della prospettiva si può vedere in lei una goccia, uno squalo, un razzo e persino un fungo. Non presenta quasi alcuno spigolo e scatena tanta curiosità e aspettativa per via del motore esposto all’aria aperta. Incorpora trazione integrale e un propulsore di origine McLaren basato su un V6 3.8 con 230 Cv (è marciante ma non al 100% perciò non può raggiungere la sua prestazione massima). La parte superiore del propulsore è visibile attraverso un’apertura nel ponte posteriore e regala un’atmosfera tipica di una entusiasmante Serie sportiva per vetture monoposto. Anche i fari son innovativi: sotto il limite superiore della coda è ricavata una striscia luminosa a tutta larghezza che avvisa chi procede verso di noi. Oltre a un design aerodinamico insolito la Wildcat presenta innovazioni tecniche e di design per quanto riguarda l’unione delle parti trasparenti e solide della carrozzeria, allestita con fibra di carbonio e vetro. Non ha porte tradizionali: quando il tetto viene sollevato il volante si inclina in avanti per facilitare l’ingresso. Questa vettura, sviluppata in collaborazione con PPG Industries, ha ricevuto l’ambito premio per i progetti prototipo dalla Giuria Internazionale del Car Design Award al Salone di Torino del 1986.