Otto volante: granturismo otto cilindri non convenzionali

Otto volante: granturismo otto cilindri non convenzionali

Tutti hanno utilizzato l’otto cilindri: in ordine alfabetico e senza contare i marchi americani ci sono AC, Alfa Romeo, Aston Martin, Audi, Bentley, Bucciali, Bugatti… L’otto cilindri è un buon compromesso in termini di potenza, forze e consumi. Sovralimentazione a parte, un dodici cilindri ha tanti cavalli ma consuma molto. Un sei cilindri offre migliori risultati per consumo ma la potenza è inferiore. L’otto cilindri può essere in linea – in questo caso è necessario utilizzare un albero motore molto robusto –  o a V, poco più ampio di un quattro cilindri in linea. L’angolo di banco della V è irrilevante, perché anche in alcuni motori con cilindri orizzontali e opposti, due bielle si collegano a un perno di manovella comune. I motori come quello della Porsche 917 sono quindi raggruppati non con i boxer ma con i motori a V anche se l’angolo è di 180°. Ecco un ‘doppio tris’ di iconiche e originali otto cilindri che animato il motorismo.

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BUGATTI TYPE 41 ROYALE COUPÉ NAPOLEON 1930. Il più sfarzoso oggetto su quattro ruote mai prodotto, la Bugatti Type 41 Royale, rispondeva al preciso desiderio del geniale Ettore Bugatti (oggi il quesito è ancora aperto: più straordinario lui o Enzo Ferrari?) che volle ideare una macchina monarchica. Il progetto iniziò nel 1927, complesso all’inverosimile. In un telaio con circa 430 cm di passo fu progettata l’installazione di un gigantesco motore 8 cilindri con oltre 12mila di cilindrata (350 chilogrammi di peso!) ottenuto da un 16 cilindri per aerei. Questo sontuoso propulsore di derivazione aeronautica rifletteva l’esperienza Bugatti in questo tipo di attività, grazie anche alla committenza: nientemeno che il Governo francese. L’imprenditore italo-francese ipotizzò una produzione di circa venticinque esemplari. Va da sé che ogni Royale sarebbe stata configurata in base ai desideri del cliente, che avrebbe anche scelto il carrozziere. Il primo esemplare (o, volgarmente, il prototipo) recò il numero telaio 41100 (o 41110) e fu allestito nel 1927.  Il telaio da 169 pollici (429 cm), ospitò una versione dell’8 cilindri con una mostruosa cubatura di 15.000 cc. A soli 1700 giri sviluppava circa 300 cv abbinati a un cambio a tre marce. La prima configurazione di carrozzeria, sviluppata da una Packard, fu una lunga Tourer con quattro porte e ben sei metri di lunghezza. Bugatti pensò di venderla a Re Alfonso XIII° di Spagna ma questi rifiutò. Iniziarono, allora, trattative con Re Zog di Albania ma Bugatti, infine, decise di tenerla per sé. La prima Royale, successivamente, fu carrozzata dal parigino Weymann e fu seriamente danneggiata in un incidente dallo stesso Bugatti che si addormentò al ritorno in Alsazia da un viaggio a Parigi. Secondo le fonti (discordanti in verità) ricevette, in seguito, ulteriori restyling. Nei primi Anni ’60 fu venduta dalla famiglia Bugatti alla collezione Schlumph di Mulhouse. Oggi è qui conservata nella sua ultima configurazione: Coupé Napoleon.

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FERRARI 360 BARCHETTA 2000. Il 6 luglio del 2000 Luca Cordero di Montezemolo si sposa. Come si conviene a un Presidente il Numero uno di Maranello riceve uno straordinario regalo di nozze da Gianni Agnelli. L’Avvocato omaggia il suo pupillo fin dai tempi di Lauda con una 360 Modena molto speciale. Non una macchina personalizzata con abitacolo iper accessoriato o una vernice su campione. Il ‘Re d’Italia’ dei tempi moderni fa le cose in grande come è suo costume. Agnelli è un fan speciale delle fuoriserie Ferrari: dalla 166 MM Touring del ’49 alla 212 Inter del ’52, fino alla Testarossa Spider del 1986 lui sa come spiazzare chiunque con progetti geniali, unici e di un fascino senza pari. Sul telaio 120020 di una 360 Spider, Pininfarina prepara una barchetta unica, una Ferrari stradale mai vista prima. Si tratta di una stupefacente erede delle Sport da corsa di metà Anni ’50. È verniciata in grigio Alloy e ha gli interni in pelle chiara. Il telaio è la struttura spaceframe in alluminio di serie, la carrozzeria è quint’essenza di unicità: sono eliminati i piccoli rollbar dietro i sedili così come i vetri laterali e, soprattutto, parabrezza e montanti. Questi sono sostituiti da un basso vetro avvolgente che a malapena copre il cupolino della strumentazione. Sotto la grande superficie vetrata del cofano motore è installato il V8 di 3,6 litri F131 di serie. È un otto cilindri bialbero, cinque valvole, 400 cv a 8500 giri e 375 Nm a 4750 giri. Dopo alcuni anni trascorsi al Museo Ferrari oggi fa parte della collezione personale di Montezemolo.

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ALFA ROMEO 8C TZ3 CORSA 2010. Il progetto TZ3 è stato lanciato nel 2010 da Zagato in occasione del centenario dell’Alfa Romeo. Secondo la tradizione del brand milanese, seguita fin dalla fondazione (1919), la carrozzeria di un’automobile deve avere un design di stampo razionalista e funzionalista. Le carrozzerie Zagato perseguono da sempre il paradigma della pura forma per raggiungere, attraverso massima aerodinamicità e leggerezza, le caratteristiche ideali per vincere in gara. Per questo i modelli Zagato, coupé e spider due posti prima della seconda Guerra Mondiale, Gran Turismo dal ’48 in poi, hanno avuto successo. Il valore aggiunto di una Zagato negli Anni ’60 è sempre stato la possibilità di circolare normalmente su strada in settimana e di correre (e trionfare) nelle competizioni solo con l’aggiunta del numero di gara sulle fiancate. L’8C TZ3 Corsa riprende la tradizione delle Alfa Romeo da corsa dei primi Anni ’60. È una leggera coupé (circa 1000 kg) con carrozzeria in alluminio battuto a mano, basata su un telaio monoscocca in fibra di carbonio e sospensioni a doppi triangoli con ammortizzatori regolabili. La trazione è posteriore con cambio semi-automatico a sei marce e niente elettronica. Monta un motore V8 di 4,2 litri con centralina programmabile e circa 390 cv. Non è omologata stradale ma è un’auto da pista per il puro divertimento libero da regole.

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MERCEDES 300 SLR COUPÉ 1955. Nel 1955 la lotta al vertice del Mondiale Sport è tra Italia (Ferrari e Maserati), Germania (Porsche e Mercedes-Benz) e Inghilterra (Jaguar e Aston Martin). La Ferrari 375 Plus vince la Mille Km di Buenos Aires, la Jaguar D-Type domina la 12 Ore di Sebring e alla Mille Miglia scende in campo la nuova Mercedes 300 SLR spider. Stirling Moss e Denis Jenkinson prevalgono stabilendo il nuovo record di media sul percorso Brescia – Roma – Brescia: 157,650 km/h. A Stoccarda l’ingegner Rudolf Uhlenhaut del Reparto Corse sviluppa una versione coupé per la stagione ’56. La barchetta tedesca viene vestita con una carrozzeria Gullwing e due maestose porte ad ali di gabbiano. Il layout è favoloso: telaio in alluminio e carrozzeria in elektron. Il suo motore da 2982 cc è la versione più potente dell’otto cilindri in linea della W 196 R monoposto ed eroga 296 cv a 7400 giri. Il regime di rotazione, la potenza e le dimensioni del serbatoio cambiano a seconda della corsa, da un evento ‘sprint’ come il Nurburgring a una maratona come Le Mans. Il concetto di base: i due blocchi di quattro cilindri ciascuno sono realizzati in silumin, una lega leggera di alluminio ad alta resistenza, invece dell’acciaio della W196R. Caratterizzato da 235 kg di peso, questo motore ha un’elevata robustezza. Un esemplare è stato torturato sul dinamometro a regimi da gara per trentadue ore e 9800 chilometri. Solo i raschiaolio, dopo quasi seimila chilometri, sono stati sostituiti. Inclinato a destra con un angolo di 57 gradi, è installato nel telaio con quattro gradi vicino all’orizzontale anche se l’altezza da terra è più alta di quella della monoposto in vista delle corse su strada pubblica. È alimentato con una miscela di 75 percento di benzina commerciale, 15 percento di metanolo e 10 percento di benzene. Il cambio a cinque marce permette solo scalate di rapporti una di seguito all’altra per evitare errori fatali (non è possibile, ad esempio, eseguire un 5ª – 2 ª). La velocità massima potenziale è di almeno 300 km/h. I sogni di gloria della 300 SLR Coupé si infrangono alla 24 Ore di Le Mans a causa dell’incidente di Levegh. La Mercedes vince la stagione ma si ritira dalle corse. I due esemplari costruiti della 300 SLR Coupé non vengono mai utilizzati in gara. Uhlenhaut utilizza a lungo uno di questi come auto per tutti i giorni. 

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FORD GT40 MKIII 1967. Con il fallimento dell’accordo Ford-Ferrari l’Ovale lancia il suo progetto per le corse GT e Sport. A Slough, Inghilterra, nasce Ford Advanced Vehicles e, in collaborazone con Lola Cars, sviluppa la Ford GT40 MKI. Presentata nel ’64 affronta il suo primo anno di corse, affidata, alla John Wyer Engineering, con molti problemi perciò, con il coinvolgimento di Carroll Shelby, la GT40 ‘rinasce’ in America come ‘MKII’ e dopo un ’65 interlocutorio, nel ’66 diventa vincente. A Slough sono prodotti poco più di 80 esemplari della GT40 MK1dopodiché la società è sciolta. Subentra John Wyer che vara il progetto per una versione completamente stradale: la GT40 MKIII. Molti cambiamenti la distinguono: le norme di sicurezza impongono fari rialzati con l’installazione di luci circolari sigillate. Nella parte posteriore la carrozzeria è allungata per dare spazio a un porta-bagagli. Gli interni sono più rifiniti con l’uso di tappezzeria e anche di un sistema di ventilazione. Il motore è il più convenzionale otto cilindri Ford 289 (4,7 litri) utilizzato nella Mustang Shelby 350. Utilizza un carburatore quadricorpo Holley invece dei più spinti Weber e produce oltre 300 cv e 329 Nm di coppia. La trasmissione e la frizione, però, sono le stesse della versione da corsa. Le caratteristiche molto vicine al modello da competizione la rendono molto valida sul piano dinamico. La velocità massima dichiarata è di circa 260 km/h, con uno scatto da 0 a 100 km/h in circa 5″ a fronte di un peso di circa 1100 kg. Purtroppo però questa versione della GT non ebbe il successo sperato: la Ford non era preparata a spendere le risorse necessarie per affinare e commercializzare una simile e costosa supercar, mentre l’arrivo di più stringenti normative sulla sicurezza e l’inquinamento misero in fretta la parola fine alla sua produzione, che si fermò a soli sette/otto esemplari. (foto: salonpriveconcours.com)

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TVR CERBERA 4.0 1996. L’industriale chimico Peter Wheeler acquista il marchio TVR nel 1981 e lo porta da una produzione di trecento esemplari l’anno, un successone per una piccola azienda indipendente. Sotto la sua guida il nuovo corso dell’azienda Inizia con la 350i e si carica di una forte iniezione di passione. La chiave è la particolare interpretazione dello spirito britannico: prestazioni elevate su una meccanica convenzionale, senza necessità del primato tecnologico. Nel ’92 introduce la Griffith con motore otto cilindri Rover (in varie configurazioni da 4 a 5 litri), seguita dalla Chimaera. E nel ’93 il l’apoteosi sul tema della Gran Turismo: la Cerbera. È una sportiva tanto semplice quanto efficace, una supercar con prestazioni da Ferrari ma a metà prezzo. Il terzo modello dell’era Wheeler, la sua prima TVR con carrozzeria chiusa, è la quint’essenza della semplicità: telaio tubolare in acciaio, sospensioni con doppi triangoli, carrozzeria in vetroresina. Punto! Niente ABS, niente controllo di trazione, niente airbag. La parte più eccitante è il motore: un meraviglioso otto cilindri a V progettato da due esperti del settore – Al Melling e John Ravenscroft – con lo stesso Peter Wheeler. È quasi un’unità da corsa, con albero motore piatto, V aperta a 75°, 4185 cc, distribuzione bialbero con 2 valvole per cilindro. Produce 360 cv e quasi 450 Nm di coppia. La trasmissione posteriore non è coadiuvata da alcun dispositivo di sicurezza attiva, il cambio è un granitico cinque marce Borg Warner. A fronte di un peso di 1100 Kg dichiara solo 4″2 per lo 0-100 km/h, da 0 a 160 km/h in 9″9 e 290 km/h di punta massima. Insomma: una straordinaria palla di cannone. E poiché l’abitacolo è abbastanza spazioso anche per due bambini la Cerbera è una possente GT per famiglia.

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