Nel ’77 dei “folli” tedeschi misero il V8 all’Alfetta GT

Nel ’77 dei “folli” tedeschi misero il V8 all’Alfetta GT

Dici Alfa Romeo Alfetta GT e in automatico pensi al quattro cilindri bialbero. Solo i conoscitori più profondi del marchio, infatti, ricorderanno l’auto di cui stiamo per parlarvi: l’Alfetta GT V8. L’idea di infilare nel cofano basso e spiovente della coupé disegnata da Giorgetto Giugiaro il motore delle 33 da corsa aveva stuzzicato i tecnici della casa milanese, ma non si superò mai la fase di sperimentazione. Finché, nel 1977, all’Autodelta arrivò una richiesta da parte di Horst Reiff, rivenditore Alfa Romeo di Aquisgrana, che propose alla casa madre di allestire una versione ad alte prestazioni dell’Alfetta GT.

FATTA IN CASA (IN GERMANIA). Il gioco valeva la candela? Secondo l’Alfa Romeo, no, ma la prospettiva di un’Alfetta in grado di “bastonare” le Porsche sulle Autobahn tedesche per Reiff ormai era diventata un’ossessione. Con strenua e teutonica ostinazione, si rifiutò di abbandonare la sua “folle” idea e bussò alle porte della Delta Autotecnik, nota officina di elaborazioni tedesca alla quale si presentò con sottobraccio il 2.6 V8 da 200 CV dell’Alfa Romeo Montreal.

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L’Alfa Romeo Montreal e, sopra, il suo motore 2.0 V8 a iniezione meccanica

L’Alfa Romeo Montreal e, sopra, il suo motore 2.0 V8 a iniezione meccanica

TRAPIANTO BEN RIUSCITO. Rimodellando il cofano, il V8 andò al suo posto senza grossi problemi, con tanto di radiatori e sistema di lubrificazione maggiorati. Data la maggior “sete” dell’otto cilindri, fu montato anche un serbatoio della benzina più grande. Il look, del tutto simile a quello di una normale Alfetta GT, differiva giusto per qualche particolare, come i paraurti più sporgenti, lo specchietto esterno in tinta con la carrozzeria, i cerchi con piccole aperture triangolari e la mostrina 2.6 sui parafanghi anteriori.

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A distinguere l’Alfetta GT V8 dalle versioni con quattro pistoni in meno erano anche la scritta 2600 sul portellone e i due terminali di scarico

A distinguere l’Alfetta GT V8 dalle versioni con quattro pistoni in meno erano anche la scritta 2600 sul portellone e i due terminali di scarico

VOLEVANO FARNE UN CENTINAIO… Presentata al salone di Francoforte del 1977 con il tacito placet dell’Alfa Romeo, che dal progetto di un’Alfetta GT con motore V8 si era chiamata fuori immediatamente (lasciando tuttavia campo libero a Reiff), la coupé preparata dalla Delta Autotecnik s’inseriva a gamba tesa nel settore delle gran turismo ad alte prestazioni, in Germania presidiato dalla Porsche 928. Il prezzo di lancio di 50.000 marchi, però, scoraggiò persino i pochi che un’auto del genere potevano permettersela, ma resta un fatto inequivocabile: gli oltre 220 km/h di velocità massima rilevati in un test da una rivista specializzata tedesca attestavano prestazioni in linea con quelle di una Porsche 911 SC. Reiff, nel frattempo, aveva mosso mari e monti per avviare una produzione di un centinaio di esemplari, e deprezzò l’auto di 10.000 marchi.

… MA NON ANDÒ COME PREVISTO. Gli sforzi di Reiff non furono tuttavia sufficienti: il programma dell’Alfetta GT V8 non decollò mai. Non solo continuava a costare un po’ troppo; c’erano anche noie meccaniche non trascurabili e una carenza di ricambi e componenti dovuti alla cessazione della produzione della prima serie dell’Alfetta GT su cui si basava l’auto allestita dalla Delta Autotecnik. Qualcuno mise in giro la voce che ne erano state costruite una ventina, prima che l’officina chiudesse i battenti, ma fonti autorevoli assicurano che esistano due, al massimo tre vetture, incluso il primo prototipo.

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