#museumpills: storie di specchietti retrovisori
Il quinto di questi approfondimenti è dedicato allo specchietto retrovisore. Lo troviamo sempre allo stesso posto da oltre un secolo e non ha mai cambiato forma fino a pochi anni fa quando è iniziata la sua rivoluzione digitale fatta di schermi e fotocamere. Agli arbori del motorismo, Dorothy Levitt, pilota e giornalista inglese, scriveva: “Una donna al volante non dovrebbe mai fare a meno di un piccolo specchietto per guardarsi alle spalle”. Cosi facendo, infatti, con questo piccolo strumento, si poteva guidare con maggior sicurezza controllando anche la situazione dietro al proprio veicolo. E aggiungeva: “Che sia abbastanza grande e preferibilmente dotato di un manico, perché solo così potrà assolvere egregiamente la sua funzione”. Questa chicca, insieme a molte altre, erano contenute nel libro ‘The Woman and the Car: A Chatty Little Handbook for All Women Who Motor or Who Want to Motor’ pubblicato dalla Levitt nel 1909; lei, classe 1882, è stata una delle prime donne a cimentarsi dietro ad un volante in gara: era il 1903 e da lì in poi il suo talento l’avrebbe condotta a svariati eventi in giro per il Vecchio Continente, molti dei quali conclusi sul gradino più alto del podio.
PRIMA IN GARA, POI IN STRADA. Con l’aumentare del traffico per le strade, cresceva anche la necessità di avere uno specchio retrovisore che fosse davvero funzionale e la tendenza fu quella d’installarne uno fisso, appena sopra la testa del guidatore, leggermente spostato di lato per migliorare l’angolo di visuale. Nel 1911, Ray Harroun vinse la prima 500 Miglia di Indianapolis e la sua vettura fu la prima auto da corsa della storia ad essere dotata di questo indispensabile strumento (nell’immagine di copertina). Grazie al retrovisore, era l’unico pilota del gruppo a poter correre senza un navigatore al proprio fianco — che in questi anni, più che indicare la strada come si fa oggi nei rally, raccontavano al pilota ciò che succedeva alle loro spalle. Dopo la prima guerra mondiale, questo accessorio si diffuse a macchia d’olio sulla maggior parte dei modelli prodotti dalle Case costruttrici: veniva posizionato sia all’interno, sia all’esterno, sui fianchi, a ridosso dell’apertura delle portiere o sopra i passaruota anteriori. Sulla Mercedes-Benz 300 SL Gullwing del 1954 lo specchietto interno era montato sul cruscotto anziché sul cielo, proprio come si usava sulle W194 da gara negli anni prima; sulle W111 e W112, top di gamma tra il 1959 e il 1968, erano presenti sia i retrovisori esterni che quello interno centrale.
ARRIVA LA TECNOLOGIA. Specchietti, ma anche sensori: nel 1995 il sistema Parktronic – in grado di misurare la distanza tra la Mercedes su cui era montato e i veicoli accanto a questa in fase di parcheggio — s’aggiunge allo specchietto retrovisore tradizionale allo scopo di fornire al conducente uno strumento addizionale utile nelle manovre più strette; la prima a montarlo fu la Classe S (W140). L’anno successivo, sulla concept F200 Imagination, Mercedes-Benz guarda al futuro, immaginando schermi LCD in sostituzione degli specchietti tradizionali, esterni ed interni. A partire dalla Classe S del 1998 (W220), poi, nei retrovisori esterni vengono integrati gli indicatori di direzione Led, visibili di fronte e di lato. Nel 2005, invece, arriva la prima telecamera posteriore: l’immagine viene proiettata direttamente su uno schermo posto nella console centrale; tecnologia diventata obbligatoria su ogni veicolo passeggeri immatricolato negli Stati Uniti e in Canada già nel 2018.