Museo Nicolis, 12 prime volte: Bianchi Tipo C
Nato a Milano nel 1865, Edoardo Bianchi fondò a soli 20 anni, nel 1885, l’azienda che ancora oggi porta il suo nome. All’iniziale produzione di carrozzelle per malati, strumenti di precisione e soprattutto, biciclette – fu il primo in Italia ad adottare le ‘gomme pneumatiche’ – Bianchi affiancò alla fine del Diciannovesimo Secolo anche la produzione di automobili, utilizzando motori De Dion. Nel 1955, la Casa entrò in compartecipazione con Fiat e Pirelli, dando origine al celebre marchio Autobianchi, ma già molti anni prima, siamo nel 1909, la Bianchi con la Tipo C 20-30 HP si era distinta per le diverse innovazioni delle sue vetture, a partire dal primo impianto elettrico per l’illuminazione interna: era alimentato da una batteria costituita di vasetti in vetro colmi di acqua distillata e acido solforico. Da segnalare i fanali originali a carburo, l’avviamento a manovella e il posto di guida per l’autista separato dall’abitacolo per i passeggeri.
LA STORIA DI QUESTO ESEMPLARE. Luciano Nicolis, affezionato a questo modello, raccontava: “Questa è una Bianchi che ho comprato parecchi anni fa quando non c’era la moda della auto d’epoca. Mi dissero che era appartenuta ai Conti Lada di Cremona, si trovava sotto il portico e tutti credevano che fosse una vecchia carrozza, invece si trattava di una macchina da signori. Durante la guerra del 1915-18 tutte le macchine venivano requisite: credo che proprio allora qualcuno avesse staccato il motore e per poi abbandonarla sul granaio. La cabina era stata nascosta dietro altre carrozze, in modo che nessuno potesse scorgerla. Dicevano fosse fuori uso, avevano persino rotto il cambio e dato una martellata per dimostrare che non poteva funzionare. Forse, finita la guerra l’hanno tirata fuori, ma ormai era una macchina passata di moda ed è stata abbandonata come una cosa vecchia. Anche perché poi costruirono le auto moderne, quelle col motorino di avviamento. Questa Bianchi, aveva una carrozzeria di lusso, d’estate si poteva infatti togliere la capote e agganciarne una di tela che la rendeva una torpedo, le portiere erano come quelle dei treni con le tendine ed i vetri in cristallo molato. Inoltre, nell’abitacolo, c’era anche l’avvisatore acustico per l’autista che prendeva tutti gli ordini dai passeggeri”.
NIENTE È LASCIATO AL CASO. “Già nel 1909 aveva la batteria per l’illuminazione interna, una grande novità; il carburo poteva infatti creare odore all’interno dell’abitacolo, mentre con la corrente questo non avveniva. Un’innovazione che era espressione di grande tecnologia e modernità. Il motore aveva già l‘aspirazione dal tubo di scarico ovvero si aspirava aria calda dal collettore, come si fa oggi coi motori turbo. Questi tubicini sono i distributori dell’olio: la pompa dell’olio, che è qui davanti, mandava gocce di olio in tutti i punti più vitali della macchina. Vicino al piantone del volante è inoltre disposta una pompa per pompare la benzina necessaria all’avvio. Quando il motore è in funzione questa pompa recupera vapore — che si forma tramite una strettoia del tubo di scarico — dalla boccia del tubo di scarico tramite un pulsometro; in tal modo si crea pressione nel serbatoio della benzina e di conseguenza arriva la benzina la carburatore; all’interno del pulsometro si infine trova una rete in ottone che serve ad evitare che qualche carboncino entri nel serbatoio della benzina provocando degli scoppi e poi prendere fuoco”.