Motorino a chi? Quando le mini erano maxi

Motorino a chi? Quando le mini erano maxi

Se guardi solo la cilindrata non capisci niente. Perché non sono mica motorini, quelli che faceva la Itom. L’azienda piemontese inventata da un distinto avvocato, in realtà era una fabbrica di sogni. In scala (almeno per la cubatura del motore). Nata nel 1948 (la Vespa arrivava due anni prima, la Ferrari uno), era l’ennesima risposta a quell’arsura che aveva preso tutto il Paese. Una sete bestiale di muoversi, di uscire di casa, di andare e lasciarsi tutto alle spalle. Ti dice niente? Be’, in quegli anni si usciva dalla distruzione e c’era tutto da reinventare. Ma mentre il coetaneo Cucciolo, servì alla Ducati solo come trampolino di lancio per le moto che verranno, i cinquantini torinesi non avevano il complesso della cilindrata. Anzi. Anche la Itom comincia coi motori aggiuntivi per bici, da mettere sopra la ruota anteriore, dietro, o sotto i pedali. Una soluzione economica per sognare la velocità e scansare la fatica. Poi arriva un ciclomotore che sa di cinema, a cominciare dal nome: Esperia. Ed è tutto un altro film, telaio monoscocca e due marce.

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‘PICCOLO’ SOGNO. Ma l’astro nascente, ops, volevo dire l’Astor, arriva nel ’54. Alla versione Sport a tre marce seguono poi quelle Super Sport e Competizione. Ecco, sono questi i motorini che turbano i sonni dei ragazzini. Ma nei loro sogni non ci sono tanto quei 75 km/h promessi dalle réclame (negli anni ’60, le ultime versioni superavano i 110), quanto la fantomatica cassettina di trasformazione in stile Abarth. E, con testa ribassata, cilindro riportato, carburatore Dell’Orto da 20 e espansione, l’Astor diventava una vera bomba. La sella allungata col codino racing e il manubrio spiovente emozionano ancora oggi. Mentre altri due dettagli sono proprio figli dei tempi: l’inguardabile parafango anteriore, che deve la sua noiosa forma a semicerchio al suo destino di para-fango e quei pedali da bici, sexy come i bigodini della nonna, ma obbligatori per legge (che per fortuna dal 1959 scompaiono).

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DA CORSA. Ma è negli anni ’60 che il cinquantino Itom diventa la moto dei campioni: con l’Astor 4M. Quattro marce, cambio a pedale, carburatore da 18,6 cavalli e i 100km/h (sfiorati), ma soprattutto, 10mila fantasmagorici giri. Da comprare rigorosamente giallo corsa. Ma l’Astor non era solo perfetto per i vari gran premi della montagna di casa nostra, no, andava alla grande anche all’estero. Manici come Mike Hailwood (il Mike The Bike che passò alla storia per le sue imprese sulle rosse di Borgo Panigale), cominciò la sua carriera proprio su questa Itom qui. Per non parlare di Jean-Pierre Beltoise, che partito col cinquantino piemontese e arriva alla Formula 1. E che dire della gentildonna britannica Beryl Swain, che ne ruba uno al marito (che li importava in Inghilterra) per andarci a correre il Tourist Trophy del 1962 (prima donna a compiere l’impresa). Purtroppo la Itom ha chiuso i battenti 45 anni fa, ma qualcosa si trova ancora (soprattutto in Olanda). E se nei tuoi giri tra rottami e ferro vecchio trovassi mai un compressore Itom, compralo subito. Portalo a casa e smontalo. E poi dimmi se ti aspettavi di trovarci dentro un motore rotativo.

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