Motori Minarelli: la storia del due tempi

Motori Minarelli: la storia del due tempi

Questa è la storia di un marchio costruttore fondato dagli ‘imprenditori di una volta’, che conquistò anche due titoli mondiali 125 cc con la leggenda Angel Nieto, e che ora, a 70 anni dalla sua fondazione, si trova ad affrontare con i suoi motori due tempi una nuova sfida: la transizione energetica. Rumore, odore e sfide del motociclismo rimaste negli annali: questo è il due tempi. Un’alimentazione da molti definita ormai morta. Ma nell’incantesimo fatto da pistoni e miscela, c’è una casa che ci crede ancora – e fino in fondo: Motori Minarelli. A EICMA 2021, il costruttore di Bologna ha presentato al pubblico il futuro di questo tipo di combustione. E lo ha fatto mostrando il suo nuovo 50 cc 2T, accompagnato da un concept da 300 cc per l’enduro, sempre due tempi, capaci entrambi di rispettare le più recenti norme Euro 5. L’occasione giusta per ripercorrere i settant’anni di questo marchio storico, innovatore e ritornato 100 percento made in Italy proprio nel 2021.

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GLI ALBORI. Era il 1951 quando, alle porte di Bologna, Vittorio Minarelli e Franco Morini, due imprenditori che oggi diremmo ‘di una volta’, decidevano di dare vita alla F.B.M. (Fabbrica Bolognese Motocicli). Un’azienda inizialmente contoterzista, che vendeva propulsori e telai per un unico cliente, la Guazzoni di Milano. La dipendenza da un solo partner commerciale non faceva, però, dormire sonni tranquilli alla coppia Minarelli-Morini: decisero quindi di diventare costruttori in proprio, lanciando nel 1952 la motoleggera ‘Gabbiano’. Si trattava del primo modello marcato F.B.M., una due ruote da 125 cc, con telaio tubolare monotrave e motore montato a sbalzo, moto successivamente affiancata dalla sorella maggiore da 200 cc (a quattro tempi): la Vampir. Ed è proprio dal sodalizio di Franco e Vittorio che parte la motorizzazione del Vecchio Continente, perché con il lancio del ‘Pettirosso’ (un motore 2T a due marce con comando a filo), prima, e dal P3 (la versione a tre marce) i propulsori F.B.M. diventano i più diffusi, installati in quasi tutti i ciclomotori del vecchio continente. 

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LA SPACCATURA. Si sa, alcune volte gli affari sono una ‘brutta bestia’: possono creare divergenze all’interno di famiglie e anche tra gli amici di vecchia data, cosa che nel 1956 toccò anche le vite di Franco e Vittorio. A seguito delle dissonanze, le strade professionali dei due si divisero, così come il loro mercato, con il primo a trasferirsi a Zola Predosa, fondando la Morini Franco Motori, mentre il secondo proseguì con l’azienda esistente, trasformandola in FB Minarelli. Sotto la guida del Commendator Minarelli, la Casa emiliana si focalizza solo nella produzione di motori due tempi per moto e ciclomotri, arrivando a produrre fino a 20mila propulsori all’anno distribuiti anche in Sudamerica. Fino alla svolta del 1967, l’azienda cambia ragione sociale in quella che tutti oggi noi conosciamo, la Motori Minarelli, inaugurando anche lo stabilimento di Lippo di Calderara di Reno, ancora oggi sede centrale del marchio.

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I RECORD. Contemporaneamente allo sviluppo del polo produttivo (con un media di 200mila unità all’anno prodotte negli anni ’70), il marchio emiliano cominciò ad affacciarsi al mondo delle competizioni. Prima in punta di piedi, nel 1966, inserendosi nel panorama delle corse nazionali: sia nelle gare in salita, che in pista, con la classe 60 cc del Trofeo Cadetti. Poi imponendosi nei primati mondiali di velocità, ben 18, nelle categorie 50 cc e 175 cc, partecipazioni che derivavano dalla volontà del Commendatore Minarelli di incrementare la visibilità del marchio a livello globale. Una sfilza di record, culminata nel 1969 con ben quattro primati di velocità conquistati da Arteno Venturi sui ‘siluri‘ (soprannome derivato dalla forma di queste particolari moto) grazie alla perfetta aerodinamica, al propulsore Minarelli e alle doti atletiche del pilota, capace di guidare semi sdraiato nella conformazione a triangolo del telaio in tubi a doppia culla.

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CAPITOLO MOTOMONDIALE. Arriviamo quindi al 1974: la regolazione della carburazione e la scelta del getto del carburatore comincia a farsi spazio nei box del motomondiale nelle categorie 50cc e 125cc, ma è nel 1978 che comincia la magica era ‘giallo-verde’, con la Casa emiliana a conquistare quattro titoli costruttori consecutivi, fino al 1981. Quasi un lustro, in cui la Minarelli si porta a casa anche due titoli piloti, nel 1979 e 1981, con la leggenda dalla ‘L maiuscola’ Angel Nieto, accompagnato dal fide scudiero Loris Reggiani.

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LA MOTO DELLA LEGGENDA. Passiamo ora a un piccolo paragrafo dedicato alla Minarelli 78, la GP che regalò i titoli del ’79 e dell’81 al campionissimo Angel Nieto. Una due ruote nata grazie all’ingegno di Jorg Moller, un personaggio tanto innovativo quanto geloso delle sue creazioni, al punto da impedire a fotografi e giornalisti la riproduzione delle misure dell’avancorsa o dell’inclinazione del canotto di sterzo, per evitare che venissero copiate dagli avversari. La ‘Zanzara’ di Nieto e Reggiani, montava un motore bicilindrico parallelo inclinato a 35° da 124,68 cc e 44,5 cavalli di potenza, con alesaggio corsa 44 x 41mm e alimentazione a disco rotante, capace di raggiungere i 13600 giri. La GP di Minarelli era leggerissima – pesava solo 80 kg grazie anche ad elementi in magnesio come il carter motore e la piastra di sterzo, e il telaio in tubi di acciaio al cromo molibdeno e titanio dalla massa di appena 11 chilogrammi. A questi si aggiunsero il serbatoio da 14,2 litri e la pompa dell’acqua in materiale termo-plastico (invece che in acciaio), sempre per mantenere la leggerezza del mezzo. Per quanto riguarda la ciclistica, gli steli della forcella sono da 32 mm, accompagnati da un disco da 260 mm, mentre al posteriore troviamo un ammortizzatore con un’escursione di 100 mm, regolabile in dodici posizioni, con un disco più piccolo da 220 mm di diametro ma sempre di 6,5mm di spessore.

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L’ERA GIAPPONESE. L’avventura agonistica di Motori Minarelli si conclude nel 1983, a seguito della scomparsa del fondatore Vittorio Minarelli avvenuta due anni prima. Lasciata l’azienda nelle mani del figlio Giorgio, la società si è concentrata esclusivamente sulla costruzione dei propulsori a due tempi per ciclomotori, arrivando a siglare negli Anni ’80 un importante accordo con Yamaha per la produzione su licenza dei motori della Casa giapponese. Con gli Anni ’90, la magica era degli scooter entra nel vivo e la Motori Minarelli è protagonista: è lei che fornisce i propulsori due tempi alla maggior parte dei produttori europei (MBK, Aprilia, Malaguti, Beta, Rieju). Una capacità produttiva che divenne di grande interesse per la Casa dai tre diapason, tanto da assumerne progressivamente il controllo sul costruttore di Bologna, fino a diventare completo nel 2001. Il grande successo di Motori Minarelli l’ha portata a celebrare nel 2008 la produzione del suo decimilionesimo motore a proprio marchio.

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RITORNO MADE IN ITALY. In questi anni a gestione giapponese l’azienda di Lippo di Calderara di Reno ha subito delle continue ‘montagne russe’ a livello economico e innovativo. Tante crescite a livello ingegneristico e progettuale, hanno portato Motori Minarelli a gestire e ottimizzare propulsori 2 tempi affini alle norme antinquinamento, ma anche a produrre motori a quattro tempi da 50 cc fino a 660 cc. Nello stesso tempo la flessione del settore e le continue crisi europee hanno segnato la Motori Minarelli, causando scioperi e lotte sindacali e arrivando al dimezzamento del personale. Il punto di svolta è arrivato proprio quest’anno, in occasione del suo settantesimo, con l’acquisizione del marchio da parte della Fantic Motor. Il ritorno della casa bolognese sotto un’effige italiana, porta con sé un vento di speranza (in virtù dei fondi portati dal gruppo trevigiano) e lo dimostrano già i numeri con 300 dipendenti operativi, rispetto ai 186 di inizio anno. Questa è la storia di Motori Minarelli, simbolo di un’imprenditorialità e di un settore, che a 70 anni di distanza, mantiene ancora viva l’innovazione del made in Italy nel mondo, e anche, del due tempi. (Testo: Federico Giavardi)

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Un commento su “Motori Minarelli: la storia del due tempi”
  • Alberto Spriano ha scritto:

    Un’altra storia della Dakar è stata scritta da Franco Picco, Mariano Roman e Minarelli.
    Due sessantenni, un campione e un ingegnere animati dalla stessa passione si ritrovano, parlano guardandosi negli occhi e prendono una decisione azzardata: “Ti facciamo una moto per correre la Dakar, però devi portarla in fondo, deve arrivare al traguardo, per questo ti affido i miei due meccanici più esperti.”
    Sono arrivati entrambi, Picco e la Fantic, senza problemi in una competizione dove i giovani campioni schierati dai grandi costruttori hanno rischiato l’inverosimile.
    Il risultato dimostra che ci sono sessantenni che hanno tanta energia, determinazione, inventiva e competenze da sbancare il banco.
    Il risultato?
    84° posto nella classifica finale per Danilo Petrucci che ha rischiato continuamente l’osso del collo impegnandosi al massimo preceduto dal sessantaseienne Franco Picco 72° che aveva la responsabilità di collaudare e portare al traguardo una motocicletta di una piccola casa italiana che non poteva permettersi il ritiro.
    Una responsabilità enorme per il vecchio Picco a cui Fantic dei veneti di VeNetWork ha affidato il risultato del lavoro italiano, una motocicletta che verrà venduta al pubblico a 15.000 euro. Una replica per piloti privati, nostalgici ed affini.
    Ora è calato il sipario. La sabbia è scivolata via, resta questa piccola impresa italiana e un nome: Fantic.
    Fantic rifondata prima come la falange da enduro europea diYamaha ora finalmente autonoma e tecnicamente indipendente.
    Presto arriverà per l’Erzberg Rodeo e l’Hell’s Gate la 300 Six Days di Jan Witteveen, la summa di tutte le conoscenze del Merlino dei due tempi che romperà le uova nel paniere a KTM e il Caballero elettrico per cavalieri metropolitani da ufficio.
    E perché non una famiglia Caballero Racing con lo stesso motore 450 e telaio dell’enduro XEF con sospensioni ribassate?
    Gli intraprendenti lavoratori veneti sposati ai motoristi bolognesi Minarelli hanno ottimizzato il lascito Yamaha e con Witteveen e i giovani ingegneri Fantic tenuti a bada da Mariano Roman, stanno diventando una realtà industriale piccola ma in costante crescita e sempre più scomoda per i grossi gruppi industriali. Non solo sanno fare il prodotto. Lo inventano.

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