Mazda RX-7: Wankel in chiave sportiva
C’era una volta la Mazda RX-3, nota anche con il nome di Savanna, che in realtà derivava dalla Grand Familia, venduta pure con il nominativo di Mazda 808. Erano però la Savanna e la RX-3 quelle con il motore rotativo perchè le altre versioni avevano dei più tradizionali propulsori alternativi. Breve premessa prima di arrivare alla RX-7 (codice SA22C), naturale evoluzione della RX-3 appunto. Fedele alla forma da coupé, la RX-7 nasceva con il compito di esaltare le prestazioni del rotativo Wankel, divenuto ufficialmente il tratto distintivo della Mazda. Che proprio su questo motore aveva investito tempo e risorse fino a renderlo affidabile per la produzione in grande serie. Cosa che non erano riusciti a fare né la NSU né la Citroën.
50/50. Storia a parte, la RX-7 venne realizzata dal team capitanato da Matasaburo Maeda, il cui figlio Ikuo avrebbe contribuito successivamente al progetto di Mazda 2, ma soprattutto a quello di Mazda RX-8. La RX-7 traeva ispirazione dalla Lotus Elan; un amore quello per le sportive britanniche che influenzò il costruttore giapponese in più di un’occasione. Peculiarità della neonata coupé, che fece il suo debutto nel 1978, era il perfetto bilanciamento dei pesi, merito, tra l’altro, proprio della compattezza del Wankel. Tanto che gli ingegneri riuscirono a farlo arretrare ‘quasi al centro della vettura’ ben dietro l’asse anteriore.
DAL 1978. Al debutto la RX-7 montava freni a disco anteriori e tamburi al posteriore. Anche l’assetto adottava un’architettura relativamente semplice, formata da un avantreno McPherson e un retrotreno che impiegava un parallelogramma di Watt opportunamente modificato. Il motore era il 12A, lo stesso già presente sulla RX-3, formato da due rotori ciascuno, con una cilindrata complessiva di 1146 cc; tuttavia rispetto a quello montato sulla RX-3 erano state apportate alcune importanti modifiche alle guarnizioni. Potendo vantare un erogazione sino a 7000 giri, ma volendo prevenire eventuali rotture, le RX-7 vennero dotate di un cicalino che indicava l’approssimarsi del limite di cambiata. L’auto, forte di 100 cavalli, raggiungeva i 190 km/h di velocità massima ed era equipaggiata con un cambio manuale a quattro rapporti.
SI MIGLIORA. Già nel 1981 fece la sua apparizione la seconda serie di RX-7 (FB), ovvero, come lo chiameremmo oggi, un restyling migliorativo. Esteticamente vennero modificate alcune modanature così come la linea dei paraurti. Il cambio divenne a cinque marce e aumentò la capacità del serbatoio. Due anni dopo arrivò il pacchetto GLS che portava in dote quattro freni a disco, ma soprattutto un differenziale a slittamento limitato. La potenza del rotativo Mazda intanto era passata da 100 a 114 cv.
PIÙ POTENZA. Con la terza iterazione della prima generazione, arrivò anche un nuovo motore, il 13B-RESI (Rotary Engine Super Injection), che adottava un particolare sistema di aspirazione a due livelli per fornire un effetto simile a un compressore. Era inoltre presente il sistema di iniezione Bosch L-Jetronic. Con questo propulsore la cilindrata totale delle due camere salì a quota 1308 cc e la potenza erogata arrivò a 135 cv. Questa nuova unità era presente sulla versione GSL-SE e non segnò il pensionamento del Wankel 12A che proprio sulla terza serie arrivò ad essere sovralimentato. Con la turbina il 12A arrivò a sviluppare 163 cv di potenza massima e fu montato anche sulle Mazda Cosmo e Luce. Nel 1985 si chiudeva il capitolo della prima generazione di RX-7, ma la storia della coupé sportiva giapponese era solo agli inizi.
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