L’intrigo internazionale: 40 anni fa nasceva la GS
Fine Anni ’70. Monaco di Baviera. Un telefono che squilla. Ormai lo stabilimento sta per chiudere. E in ufficio le segretarie sono già andate via. Hans-Günther alza gli occhi al cielo, “proprio questa sera che devo andare al cinema…”. Ma ormai la vita del signor von der Marwitz è cambiata già da un po’. Da quando poi è diventato responsabile tecnico del reparto Motorrad di BMW non riesce più a pianificare niente. E il successo della /5, la moto che trasformò il boxer bavarese in una naked finalmente sexy, come se non bastasse ha anche peggiorato le cose. Prima di alzare il ricevitore, che non ha ancora smesso di suonare, Hans sbuffa: “Guten Abend, buonasera, qui Hans…”. Non fa a tempo a finire di presentarsi che l’americano dall’altro capo del filo e del mondo, lo travolge come un fiume in piena. Hans, però, adesso non sbuffa più, ma annuisce pensieroso. Questo yankee merita rispetto, lui è l’importatore delle bavaresi negli States, e se BMW vende tutte quelle moto, be’, il merito è anche suo. La telefonata va per le lunghe. Dev’essere una cosa seria. Quando finisce Hans ha già dimenticato il cinema, l’ora tarda e di non aver acceso la luce dell’ufficio. E quindi, a tentoni, cerca il numero di quel suo amico italiano… “Maledette segretarie, dice, mai che ci siano quando hai bisogno di loro…”.
MONACO DI BAVIERA – BREGANZE. E RITORNO. Intanto a Breganze è passata l’ora del prosecco al bar. Fra poco si cena. Massimo è appena arrivato a casa. E il telefono comincia a suonare proprio in quel momento. Per fortuna, perché se squillava giusto un minuto prima il rumore della sua Porsche 911 non gliel’avrebbe fatto sentire. Massimo è in piedi, in entrata, e risponde al volo. “Pronto…”. Hans non deve presentarsi. I due, che sulla carta dovrebbero essere spietati concorrenti, in realtà sono grandi amici. Il tedesco ha una gran voglia di raccontare al vicentino della telefonata dall’America. Massimo ascolta e sorride. La sera del giorno dopo, sempre a Breganze, Giuseppe Andrighetto, collaudatore storico delle arancioni, sta parlando col titolare dell’azienda. Massimo Laverda, appunto. In quel momento ai cancelli della fabbrica arriva un tedesco, in sella a una BMW R60. Il centauro bavarese è partito da Monaco quella mattina stessa, con il preciso ordine di consegnare la moto solo al signor Laverda in persona. E di tornare indietro in qualche modo. Il guardiano lo guarda perplesso. “Siamo la Laverda, si dice, mica un concessionario BMW”. Ma fa il suo lavoro, e va a chiedere del capo. Pochi minuti dopo la sbarra si alza. E la R destinata a diventare la prima G/S, entra in Laverda.
DA R A G/S. MA SEMPRE BOXER. Tecnicamente, esperimenti di boxer da arrembaggio erano già stati fatti prima. Il motore a cilindri contrapposti, che aveva fatto furore sulle moto naziste durante l’ultima guerra, aveva almeno due doti di quelle che piacciono ai fuoristradisti. Il baricentro basso e la facilità della manutenzione. Per questo privati, piloti e preparatori avevano già provato a tradurre la R in G/S. Ma questa volta è Hans-Günther von der Marwitz in persona, che si muove, con tutta la BMW dietro. La famigerata telefonata americana diceva, sostanzialmente, che il mercato si stava spostando verso le tuttofare, moto che i giapponesi cominciavano già a sfornare in gran quantità e che anche gli italiani avevano provato a importare, ma con scarso successo. Insomma, se BMW voleva continuare a vendere negli USA, bisognava che si buttasse nella mischia. Per questo il pensiero di Hans va subito a Massimo Laverda. A Breganze, infatti, avevano già fatto fuoristrada per altri, anche se di cilindrate più piccole. E poi lavoravano bene, in Veneto, e avevano quella cosa che ai tedeschi mancava: la capacità di arrangiarsi. Indispensabile se lavori a un prototipo partendo da zero. E così, quella sera, von der Marwitz non era dovuto impazzire con spiegazioni e dettagli, “ti mando giù una R – aveva detto – tu tieni solo il motore, per il resto mi fido di te…”.
LA PRIMA VOLTA NON SI SCORDA MAI. A guardarlo oggi, il primo prototipo di G/S, sembra un’endurina maggiorata. Snella, compatta, col serbatoio più giusto per il cross che per il Sahara, gli scarichi alti, che passano sopra ai cilindri, e il portanumero sulla coda. Il pezzo forte è il telaio realizzato da Verlicchi, insieme alle sospensioni Marzocchi, ai mozzi Grimeca e ai cerchi Akront. I comandi sono, ovviamente, Magura, mentre serbatoio e sella sono sempre italiani: di Bernardi Mozzi e Giuliari. Anche se le soluzioni che vedi sanno più di cross che non di schilometrate stradali, è grazie a questo progetto estremo che arrivano i successi che le prime GS hanno mietuto in giro per il mondo. A cominciare da quelli nordafricani della Parigi-Dakar. Il debutto ufficiale dei tre prototipi succede in Boemia, nel 1978. A Benesov, tempio di fango e cunette, si vedono, per la prima volta una di fianco all’altra, le aspiranti G/S. Il primo esemplare della nuova, longevissima specie di bavarese, arriva sul mercato due anni dopo.
L’EVOLUZIONE DELLA SPECIE. La G/S, acronimo dalle iniziali tedesche di terreno (Gelände) e strada (Strasse), poi Sport, è la BMW che ha rivoluzionato la storia della Casa. E compie 40 anni. La prima, con quella sella arancione e il fanale asimmetrico nero, montava un motore boxer di 800 cc, rigorosamente raffreddato ad aria, aveva il cardano (cosa più unica che rara in una moto da fuoristrada) e sfoggiava il Monolever posteriore (che semplificava lo smontaggio della ruota in caso di foratura). Del prototipo Laverda è rimasto poco, vero, a parte le forcelle Marzocchi e quel senso di leggerezza complessiva rispetto alle sorelle più dichiaratamente stradali. Già perché anche se nel look la G/S è una bestia da guado, in realtà il suo animo BMW la rende un’ottima stradista.
RIVOLUZIONARIA, SÌ, MA NON SENZA DIFETTI. Che sono poi quelli delle bavaresi del tempo. A parte la ciclistica che, onestamente, è più equilibrata che nelle altre. La trasmissione finale rigida va imparata, ma ha il grande vantaggio di non soffrire sabbia, acqua e fango. Insomma, te ne dimentichi. La strumentazione, inglobata nel fanale, ha quel design asimmetrico che conquistò generazioni di designer e che Tamburini reinterpretò nel primo Monster quasi venti anni dopo. Oltre a diventare reginetta del deserto, la G/S è le generazioni che seguono (e che si chiamano GS), entrano nel cuore dei mototuristi che ne apprezzano versatilità, posizione di guida e affidabilità. Fino alla metà degli Anni ’90 il boxer, disponibile anche 1000 cc e non solo 800 cc, come la prima serie, è sempre raffreddato ad aria (non ti fare ingannare anche se a un certo punto è comparso un radiatore per l’olio montato sul paracilindro di destra), l’alimentazione è sempre affidata a due poderosi carburatori e dietro rimane il freno a tamburo, ma il mono diventa Paralever (la trasmissione rigida si ammorbidisce e la sospensione ‘cammella’ di meno). La Paris Dakar, col faro rettangolare e le protezioni del cupolino in tubi di metallo, è la più grande delle classiche: pensa solo che nel serbatoio ci stanno 26 litri di benzina. La vera svolta arriva a metà Anni ’90, quando il nuovo boxer di casa, quattro valvole per cilindro e raffreddato a olio prima e liquido poi, muove una moto completamente reinventata (per la cronaca, le ‘raffreddate ad aria’ andranno avanti fino al ’97). L’ultima evoluzione della specie è l’attuale 1254 cc, con 143 Nm, contralbero di equilibratura, doppio albero a camme in testa, fasatura variabile, ABS integrale e altezza della sella regolabile. E ti domandi ancora perché da moto salta fossi è diventata la preferita da chi ama le vacanze in moto?