Le Mans ’66: rivalità d’altri tempi. Parliamone
Le Mans ’66 – La grande sfida è un gran film: per una folta schiera di petrolhead, senza ombra di dubbio, ma anche per quella vasta porzione di pubblico che non sa nemmeno cosa sia una Ford GT40. I 97 milioni di dollari spesi per la realizzazione di questa pellicola, che racconta la storia del duello per la vittoria alla 24 Ore di Le Mans del 1966 tra il colosso Ford e l’allora imbattibile Scuderia Ferrari, si vedono davvero tutti.
SUPERCAST. L’ultima fatica del regista James Mangold, in un’epoca di blockbuster sempre più in green screen, trainata anche da un cast degno di nota tra cui spiccano Matt Demon e Christian Bale, ha debuttato in vetta al box office. Le Mans ’66 – che oltre oceano s’intitola Ford v Ferrari, come fosse l’ennesima lotta tra il bene il male – riporta sul grande schermo l’azione e l’emozione di un cinema d’altri tempi, sfruttando con astuzia le moderne possibilità di ripresa, ma senza da queste farsi travolgere. Un film da vedere con il volume al massimo, per poter così apprezzare brillanti movimenti di camera e tutta quella serie di prodezze tecniche che regalano a tutte delle vetture in corsa un feeling e un realismo da cardiopalma.
CARDIOPALMA. La storia è nota. Sin dai primi anni Sessanta la totale egemonia di Maranello nelle gare di durata è totale, ma il rifiuto di Enzo Ferrari – qui interpretato dal ‘nostro’ Remo Girone – a vendere la sua Scuderia alla casa statunitense scatena la rivalsa che porta Henry Ford II, aiutato dal lungimirante Lee Iacocca, a vincere – dopo una gestazione di 90 giorni per la creazione della mitica GT40 – la gara sul circuito francese della Sarthe. Nell’anno di grazia 1966, ma anche nei seguenti. Fino all’arrivo della Porsche 917.
PROFITTO VS GLORIA. Le Mans ’66 ricostruisce il dietro le quinte di questa sfida seguendo le strade parallele del prima pilota e poi costruttore Carroll Shelby/Damon – che contribuisce a progettare la vettura della riscossa – e quella del collaudatore che la porta al successo, il britannico Ken Miles/Bale. Un confronto tra due mondi molto differenti, due facce davvero diverse della medaglia automotive: il gigante di Detroit, le cui catene di montaggio sfornano migliaia di macchine al giorno con il profitto come unico obiettivo da un lato, la sartoriale Ferrari che ricama ogni singolo pezzo inseguendo valori più alti come l’estetica o, per l’appunto, la gloria sul campo di gara dall’altro.
NESSUNO È PERFETTO. Un film che racconta amabilmente una delle numerose storie affascinanti dell’automobilismo sportivo, che celebra le uniche pagine in cui il motorsport a stelle e strisce è riuscito a imporsi nella endurance più famosa e dura del globo. Una storia per tutti e che, fino ad oggi, erano in pochi a conoscere davvero. Tuttavia, nell’arco dei 152 sostanziosi minuti ricchi di colpi di scena, motori a 7000 giri e sorpassi, sorrisi e lacrime, personalità determinate e intraprendenti, figure servili e spietate, l’occhio e la mente del vero appassionato sobbalzano repentinamente più volte a causa di alcune incongruenze. Inesattezze storiche che la qualità finale del prodotto riescono a farsi facilmente perdonare. Vediamo quali sono i principali.
PARENTESI INGLESE. È vero: il progetto della GT40 nacque quando la Ford tentò di acquistare la Ferrari nel 1963 – una soluzione rapida per fare proprio il know-how necessario per vincere le corse. Le Mans ’66 lo illustra bene. In verità però, Iacocca non andò mai in Italia, mandò bensì un emissario, il geniale manager e ingegnere Don Frey a gestire la trattativa. Nel film, poi, s’apprende che Ferrari decise di vendere il marchio a Fiat poco tempo dopo. In realtà la fallita acquisizione della Ford avvenne nella primavera del 1963, ma Ferrari entrò a fare parte del gruppo torinese solo nel 1969. Peraltro, la genesi reale della Ford da corsa più vincente di tutti i tempi comincia in realtà a Slough, in Inghilterra, dove Ford aprì proprio nel 1963 la Ford Advanced Vehicles, una piccola sussidiaria dedicata all’ambizioso progetto Le Mans. Qui si trattò con Cooper, Lotus e Lola. Il progetto partì utilizzando come base la Mk6 di quest’ultima, grazie all’intuizione dell’ingegnere britannico Roy Lunn che per primo pensò di installare un motore V8. Questa parentesi inglese è totalmente e volutamente non considerata nella trama cinematografica.
ITALIANI CONTRO. Il dipinto che Le Mans ’66 realizza della compagine italiana che ruota attorno ad Enzo Ferrari – piloti, tecnici e collaboratori in primis – all’interno della pellicola pecca in alcuni punti, leggermente troppo romanzati. Passi che il Drake sia un uomo tutto d’un pezzo, furbo e determinato, ma che il grande Lorenzo Bandini – che nel film appare come uno spietato condottiero senz’anima votato solo a difendere e lottare per il proprio team, senza nemmeno aprire bocca – è sicuramente lontano dalla realtà. Così come lo è la figura del fido Franco Gozzi – sia fisicamente sia caratterialmente, come chi l’ha conosciuto di persona sarebbe pronto a confermare. È inoltre risaputo che Enzo Ferrari, all’epoca delle vicende narrate nel film, abbandonasse Maranello in occasioni più uniche che rare: la sua presenza effettiva al circuito della Sarthe quell’anno è quindi altamente improbabile.
IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI. Per non parlare della Porsche 356 Speedster rossa che Shelby guida all’inizio del film. Fatto che sarebbe potuto effettivamente accadere, ma che in realtà si giustifica solo a livello di produzione: si è deciso che Damon scorrazzasse al volante di una macchina di Stoccarda – in realtà una delle repliche presente sul set, realizzate su base Mazda MX-5 – solo perché particolarmente affidabile e capace di sostenere riprese da angolazioni multiple e più volte nell’arco della giornata senza mai accusare un colpo.
GLORIA POSTUMA. Quando la realtà storica e fattuale incontra la cinematografia Hollywoodiana, si sa, spesso e volentieri deve piagarsi a logiche di mercato più romanzesche, funzionali e sopratutto che incontrino i favori di un’audience molto segmentata. Ciò non toglie che Le Mans ’66 sia un opera molto divertente. Una pellicola che funziona sicuramente meglio per un pubblico motoristicamente meno esperto e che va al cinema più per assistere al grande spettacolo di una storia di corse automobilistiche molto bella e a tratti vivamente sensazionale. James Mangold è comunque riuscito – e riuscirà, per chi ancora non avesse visto il film – a tenere tutti gli spettatori incollati al grande schermo per oltre due ore. Ed è stato così che anche Ken Miles ha – finalmente – ottenuto quella gloria postuma che si è guadagnato in pista a suon di determinazione e sudori freddi.
La GT40 realizzata da Lola per Henry Ford II al secolo “Hank the Deuce” fu soltanto un’entrée.
Dopo questo antipasto, “Hank the Deuce” decise di finire l’opera in Formula 1, dove Ferrari era riparata.
Anche in questo caso, Henry II non badò a spese, per aumentare le possibilità di vittoria incaricò Mike Costin e Keith Duckworth di realizzare un motore vincente da fornire a tutti i team inglesi di Formula 1 per rendere la vita impossibile a Ferrari.
I due realizzarono per Ford il motore Ford-Cosworth DFV (il motore più longevo nella storia della Formula 1) che dominò la Formula 1 tra il 1967 e l’inizio degli anni ottanta (155 vittorie), fino a proseguire sino al 2006, per ricomparire dal 2010 fino al 2013.
Senza quel motore Ford, Lotus, McLaren, Williams, Brabham, Tyrrell e Benetton non avrebbero vinto tutti quei mondiali di Formula 1.
Con la morte di Ford nel 1997 e il cambio dei regolamenti, non ci fu più l’interesse da parte degli eredi Ford a proseguire lo sviluppo motoristico in Formula 1.
Resta la domanda da un milione di dollari: “Se Ferrari non avesse avuto Ford tra i piedi quanto avrebbe vinto?”
L’ing. Forghieri con un budget contenuto progettò e mise in pista contemporaneamente la Ferrari 312 F1 e la P3 nei prototipi. Un’impresa oggi impensabile. Impossibile pensare di affidarla ad un solo uomo.
Di questo era capace Forghieri.
L’ideazione della GT40 si deve al fondatore e progettista della Lola, Eric Broadley.
La Lola GT Mk 6 fu una dei prototipi da corsa più avanzati del tempo, famosa per la performance a Le Mans nel 1963, anche se l’auto non finì la corsa.
L’accordo di Ford con Broadley prevedeva una collaborazione di un anno tra Ford e Broadley e la vendita dei due telai Lola Mk 6 a Ford. Per formare il team di sviluppo, Ford ha assunto anche l’ex manager della squadra Aston Martin, John Wyer.
L’ingegnere di Ford Roy Lunn fu inviato in Inghilterra, fu scelto lui perché aveva progettato la concept car Mustang a motore centrale, Lunn era l’unico ingegnere di Dearborn con esperienza di progettazione di un’auto a motore centrale.
Sorvegliato da Harley Copp, il team di Broadley, Lunn e Wyer iniziò a lavorare sulla nuova vettura presso la Lola Factory di Bromley. Alla fine del 1963 la squadra si trasferì a Slough, vicino all’aeroporto di Heathrow. La Ford fondo’ la Ford Advanced Vehicles Ltd, una nuova filiale sotto la direzione di Wyer, per gestire il progetto.
Dopo una stagione di scarsi risultati con John Wyer, nel 1964, il programma fu consegnato a Carroll Shelby che sviluppò la GT40, ma non la ideo’ ne la progettò.
Se non ci fosse stato Eric Broadley che nel 1963 progettò la Lola Mk VI GT, spinta dal Ford Fairlane V8 non ci sarebbe la Ford GT40.
Fu la visione, il progetto e la realizzazione di Broadley, non quella di Shelby a creare la GT40 sviluppata dalla Lola Mk VI GT.
Nella sfida lanciata alla Scuderia Ferrari, il Ford V8 crebbe di cilindrata a 7 litri contro i 4 litri del V12 Ferrari che non aveva risorse da investire per riprogettare un nuovo motore che sarebbe servito anche nella serie CanAm.
All’epoca Ferrari era impegnata contemporaneamente nei Prototipi e in Formula 1 con l’ing. Mauro Forghieri a dirigere ricerca, sviluppo e progettazione. Ferrari si ritirò dal mondiale Marche Prototipi per concentrare le risorse sulla Formula 1.
Memorabile il duello della GT40 condotta da Ickx vinto in volata sulla Porsche 908.
Porsche si prese non solo la rivincita.
L’anno dopo estinse definitivamente la Ford GT40 con la 917.