La strage dell’Innocenti. E quella Ferrarina mai nata

La strage dell’Innocenti. E quella Ferrarina mai nata

BYE BYE ENGLAND. La carriera della Innocenti come costruttore automobilistico è stata intensa, breve (37 anni appena, dal 1960 al 1997) e in gran parte limitata a produrre su licenza, con correzioni di dettaglio, modelli Austin-Morris. La sola eccezione a questa regola sono state le ultime cosiddette ‘Mini quadrate’, che abbinavano uno stile autonomo, opera di Bertone, a una meccanica altrettanto indipendente, di origine giapponese. Eppure già all’alba degli anni ’60 l’azienda dell’hinterland milanese aveva tentato di smarcarsi dal ruolo di costruttore di secondo livello immaginando la prima auto tutta sua. Che non solo non aveva nemmeno un bullone in comune con le inglesi: era frutto di una collaborazione illustre. Nientemeno che con la Ferrari.

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CAVALLINI PICCOLI PICCOLI. In quegli anni la Innocenti una sua sportivetta ce l’ha già: è la Spyder, disegnata da Ghia su meccanica Austin-Healey Sprite. Nello stesso periodo a Maranello c’è un gran fervore per allargare la produzione delle vetture di serie, senza però inflazionare il marchio. Già nel 1962 era nata allo scopo la ASA, che per pura coincidenza aveva sede, come la Innocenti, a Lambrate, e che produceva la 1000 GT, conosciuta anche come ‘la Ferrarina’: una piccola coupé con un mille a quattro cilindri. La Innocenti, che da produttore di ponteggi prima, di impianti siderurgici e scooter poi, era da pochissimo entrata a gamba tesa anche nel mercato dell’auto, era l’astro nascente dell’industria italiana e si prestava molto bene alla causa del Drake. Nacque così il progetto 186 GT (1800, sei cilindri). Il suo motore, un V6 monoalbero nato tagliando in due un V12, era infatti un 1788 cc da 156 cavalli abbinato a un cambio a quattro marce più overdrive, capace di far schizzare l’esuberante coupé fino a 215 km/h. La sua carrozzeria, filante e aggressiva, è opera di Giorgetto Giugiaro per conto di Bertone di cui al tempo è ancora un dipendente. La squadra di lavoro dell’Innocenti, capitanata da Dante Arienti e Sandro Colombo, fa la spola tra Lambrate e Maranello. A un primo prototipo con telaio tubolare ne segue un secondo quasi identico nello stile ma con struttura autoportante.

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UNO STOP INATTESO. Lo sviluppo procede con grande velocità, com’è d’altronde facile attendersi quando a cooperare sono aziende relativamente piccole e dalla struttura gerarchica non eccessivamente complessa. Poi, a gennaio 1965, i progettisti ricevono una doccia fredda: il progetto è revocato, e i disegni (come da capitolato iniziale) devono essere consegnati alla Ferrari. Ufficialmente si adduce come pretesto la contrazione del mercato italiano del 1964 (scusa poco credibile); alcuni motivano il ripensamento con la presunta inadeguatezza di una rete di vendita abituata a smerciare Lambrette e utilitarie nel proporre una vettura di elevato lignaggio. La realtà è ben diversa: Enzo Ferrari ha appena bussato alla porta della Fiat per trovare chi gli costruisce alla svelta un motore nelle quantità previste dai nuovi regolamenti sportivi. Avrà origine da qui il progetto Dino. Innocenti non può che prenderne atto. D’altronde, si sa: ubi maior, minor cessat.

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