La prima Porsche non si dimentica mai
PASSIONE DI FAMIGLIA. Ci sono passioni così intense e travolgenti da imprimere una direzione molto precisa e spesso sorprendente alla vita di chi riesce ad ascoltarle e coltivarle, trovando in esse un rifugio da tutto il resto. E il rifugio di Alois Ruf – che nel lontano 1960, seguendo le orme paterne, nel garage di famiglia ha cominciato a rimettere in sesto vecchie Porsche 356 – si trova a Pfaffenhausen, in Baviera. Da quell’officina, oggi nota come RUF Automobile GmbH, in sessant’anni sono usciti bolidi divenuti nel tempo veri oggetti di culto, per gli amanti del genere, e ancora oggi, probabilmente, al mondo non esiste posto migliore per veder trasformata la propria Porsche in un autentico animale da corsa.
REGALO DI COMPLEANNO. Ma qual è stata la scintilla che ha acceso in Alois Ruf il sacro fuoco per le sportive della cavallina bianca di Stoccarda? È un giorno di pioggia del 1964 e il giovane Alois, all’epoca quattordicenne, sta viaggiando insieme al padre sull’autostrada che collega Monaco e Stoccarda. Dal finestrino rigato dalle gocce d’acqua della loro Opel Rekord, con la coda dell’occhio vede sfrecciare a tutta velocità una Porsche fiammante color Enamel Blue. Non è una Porsche qualsiasi, ma è la 901 l’ultima novità della gamma (destinata ad essere ribattezzata 911 dopo soli 82 esemplari costruiti per un contenzioso con Peugeot), che il ragazzo aveva visto qualche tempo prima su una rivista di motori. Passano cinque anni, e Alois di anni ne compie 19: come regalo di compleanno, il papà gli consegna le chiavi proprio di una Porsche 901 usata e un po’ malconcia.
IN ATTESA DI TORNARE A SPLENDERE. Nonostante le condizioni dell’auto, il giovane Alois Ruf per un certo periodo se la gode e anche alla grande, macinando una gran quantità di chilometri su e giù per la Germania. Col passare del tempo, però, con il crescere della sua attività di preparatore di Porsche, trova sempre meno tempo per dedicare alla sua prima auto le cure di cui avrebbe bisogno per tornare a splendere come un tempo. Fino a quando, nel 2019, Alois si decide di prendere finalmente il toro per le corna: quella macchina, d’altronde, è troppo bella e troppo importante per continuare a sonnecchiare sotto una coltre di polvere. E poi Ruf, che in materia di Porsche non è certo l’ultimo arrivato, ha sempre avuto la sensazione che quella coupé blu non fosse una 901 come tutte le altre. Beninteso: ritrovarsi in garage, dopo più di mezzo secolo, un esemplare del modello da cui è partito il mito della 911, per un intenditore come lui sarebbe già di per sé un qualcosa di cui andare fieri e felici. Ma quell’auto, Ruf lo intuisce da alcuni particolari, non dev’essere una 901 qualsiasi.
UNA BELLA SORPRESA. L’orologio, per esempio: contiene tutte le cifre, e non solo il 3, il 6, il 9 e il 12, come lo strumento dei modelli di normale produzione. Si tratta quindi di un prototipo? Questo piccolo indizio, unito al fatto che alcune finiture interne sono insolitamente raffazzonate, per una Porsche, sembrerebbe sufficiente a scartare in partenza l’ipotesi contraria. Ogni dubbio residuo si dissolve come neve al sole quando, confrontando il numero di telaio, 13326, con i dati contenuti nei registri di produzione della Porsche risulta una Porsche 901 color Enamel Blue 6403: un’auto di cui la stessa azienda aveva perso le tracce ormai da molto tempo. Si tratta, per la precisione, della sesta 901 costruita, ovvero l’unica, tra le prime sette uscite dai cancelli della fabbrica di Zuffenhausen, provvista del cruscotto con cinque strumenti circolari: le prime cinque e la settima ne hanno solo tre.
UN PASSATO DA STAR. Il restauro di Alois Rif comincia e, facendo saltare un paio di strati di vernice, finalmente il colore blu originale riaffiora. Pian piano, tutte le tessere del mosaico cominciano ad andare al loro posto. Se a 19 anni gli avessero detto che quella coupé un po’ scassata era stata la vedette dello stand Porsche al salone di Earls Court di Londra, nel 1963, Ruf probabilmente avrebbe pensato a uno scherzo. Possiamo solo immaginare la meraviglia nei suoi occhi, quindi, quando ha scoperto che l’anno successivo la sua prima Porsche ha calcato il palcoscenico più prestigioso di tutti, quello del salone di Ginevra, per poi rientrare nelle officine del reparto ricerca e sviluppo e diventare una test car per i collaudi dei pneumatici. Ma mancava ancora un rebus da risolvere: il motore. Il quattro cilindri di derivazione 912, questo Alois l’aveva sempre saputo, era stato montato perché il vecchio proprietario, da cui il padre aveva acquistato l’auto, aveva deciso di tenersi il “flat-six” originale. Evidentemente non si era trovato di meglio, e in ogni caso il Ruf “padre” aveva certamente ritenuto che 90 CV fossero più che sufficienti, per un diciannovenne fresco di patente.
TORNA IL SEI CILINDRI, MA NON É L’ORIGINALE. Ma ancora una volta, è il caso a venire in aiuto. “Ricevetti la chiamata di un bidello di una scuola professionale – racconta Alois Ruf – che doveva rottamare un vecchio sei cilindri boxer Porsche, usato a scuola a scopo didattico. Aveva sentito dire che restauravo vecchi modelli e me lo offrì”. E pur non essendo un originale, il motore donato da Porsche decenni prima si rivela essere il numero 22, uno dei primi sei cilindri.
EX DI FERDINAND PIËCH. Ce ne sarebbe abbastanza per scrivere un libro già così, ma il bello di questa storia ancora deve ancora venire. Congedata dagli impegni in pista, la 901 numero sei venne assegnata come auto aziendale a Ferdinand Piëch, nipote di Ferdinand Porsche nonché tra i più grandi manager di tutti i tempi del gruppo Volkswagen, che ha contribuito a trasformare nel colosso che conosciamo oggi. Che fosse lui, in quella giornata di pioggia battente sull’autostrada, al volante di quella 901 Enamel Blue? Secondo Ruf, a giudicare dalla velocità a cui erano stati “sverniciati” e conoscendo lo stile di guida di Piëch, che in macchina amava andare svelto, è molto, molto probabile…