La Mercedes 190 ne fa 40 ed è più “cool” che mai
L’AUTO DEL CAMBIAMENTO. A chi di auto se n’intende almeno un po’ potrà anche sembrare strano. Eppure, di anni, ne sono trascorsi esattamente quaranta da quel dicembre 1982 in cui la Mercedes, lanciando la 190, aprì un capitolo completamente nuovo nella sua lunga e affascinante storia. Con la prima vera “baby-Benz”, come affettuosamente la chiamano gli appassionati, tutti i modelli del passato della casa di Stoccarda invecchiarono di colpo di una ventina d’anni. D’altronde, basta guardare la precedente berlina entry-level della “Stella” – la W123 del 1976 – per rendersi conto che sembra appartenere a un’altra era geologica. Ma quali sono le reali ragioni (e i reali meriti) di un salto generazionale così grande?
NUOVA FRONTIERA D’ELEGANZA. Le origini del fenomeno Mercedes 190 (nonché il suo successo, che a livello di numeri recita quasi 1.900.000 esemplari costruiti fino al 1992) risalgono all’insorgere di una nuova “sensibilità” in casa Mercedes. Sull’onda lunga dello shock petrolifero del 1973, il colosso di Stoccarda si rese conto che una vettura più piccola ed “economica” del solito sarebbe servita come il pane per allargare la platea dei clienti, attirando per la prima volta un pubblico più giovane o giovanile. Serviva, in pratica, un’auto anti-crisi e alla moda, elegante e lussuosa come una vera Mercedes, ma al contempo meno “impegnativa” nella gestione e nell’utilizzo rispetto alle ammiraglie tradizionali. Insomma, una modello chic a sufficienza per presentarsi alla prima alla Scala senza patemi d’animo, ma anche abbastanza “trendy” per non fare la figura del cumenda démodé con gli amici del golf club.
PIÙ LEGGERA, PIÙ SICURA, PIÙ AERODINAMICA. Se l’obiettivo di un look acchiappa-sguardi fu centrato in pieno, il merito va in larga misura al “nostro” Bruno Sacco, all’epoca a capo dello stile della Mercedes, vero maestro nell’infondere nella nuova quattro porte compatta lo “spirito” casual che ne avrebbe dovuto favorire l’ascesa sul mercato, oltre che dare una bella rinfrescata generale all’immagine del marchio. Lo stile sobrio ed elegante, insolitamente slanciato per una Mercedes (il Cx di 0,34 era da record) fu favorito da un’architettura più snella e leggera rispetto a quella della “vecchia” W123. Con 280 kg in meno di media che permettevano anche una maggiore sicurezza attiva. In particolare i bracci triangolari delle sospensioni anteriori McPherson molto bassi permisero agli stilisti di disegnare un cofano più spiovente, dando al muso un aspetto più vivace. Un’altra importante novità riguardò il retrotreno multilink: più raffinato del precedente con schema a braccio portante, garantiva una miglior tenuta di strada in curva.
PIACEVA TANTO ANCHE ALLE DONNE. Al lancio due erano i motori disponibili, entrambi 2000 quattro cilindri a benzina: quello della 190 a carburatore forniva 90 CV, 32 in meno rispetto alla stessa unità (ma alimentata a iniezione) che equipaggiava la 190 E. Il loro funzionamento dolce e omogeneo conquistò anche il pubblico femminile. Così la 190, oltre che nuovo status symbol per gli “yuppies”, divenne anche la scelta chic di tante giovani donne in carriera attente all’immagine. Qualcosa di simile, in casa Mercedes, sarebbe poi avvenuto nel 1997 con la Classe A, l’utilitaria di lusso della quale, guarda caso, il top management del colosso di Stoccarda aveva cominciato a parlare proprio nel 1982, quindi nell’anno del debutto della 190.
FU UN PORTENTO ANCHE IN PISTA. La gamma si ampliò nel 1983 con una versione spinta da un motore a gasolio aspirato da 72 CV, ma poco dopo beneficiò anche di un deciso slancio verso l’alto con i motori a sedici valvole della 190 E 2.3-16 (185 CV) e della 190 E 2.5-16 (195 CV). La meno potente delle versioni sportive dimostrò una certa confidenza con la pista già nel 1983, facendo segnare ben tre record di durata sull’anello dell’alta velocità di Nardò. Doti confermate dalla sorella maggiore, che i tecnici della AMG trasformarono in una vera “belva” divora-cordoli: indimenticabile, tra i tanti exploit nei più importanti campionati europei per vetture turismo, la tripletta nel DTM 1992 con i piloti Klaus Ludwig, Kurt Thiim e Bernd Schneider. E chissà quanti altri trofei la Mercedes avrebbe potuto mettere in bacheca, se l’anno successivo, in Germania, non fosse sbarcata l’Alfa Romeo che con la nuova 155 stravinse il titolo spazzando via le avversarie nella “tana del lupo”.