La Lancia Stratos fuori dai rally: l’auto stradale
Al Salone di Torino la Strato’s Zero (qui per saperne di più) lancia un grande e pesante sasso nello stagno: agita le acque e crea aspettativa. Ma è irrealistica: non tanto per il motore piccolo ma per la posizione di guida fuori dalla logica. È troppo bassa e troppo distesa: per sedersi è necessaria un’operazione ai limiti del ridicolo. Eppure quell’astronave così bassa e inverosimile ha provocato qualcosa. Lancia e Bertone non mollano il colpo e ‘da qualche parte’ vogliono arrivare. Nuccio può contare su due aspetti positivi del suo operato: ha disegnato la Lamborghini Miura (che ha motore posteriore-centrale) e ha a disposizione il V6 della Fiat Dino Coupé. Poiché le sportive Fiat e Ferrari iniziano la ‘discesa’, Pierugo Gobbato chiede a Maranello i motori a sei cilindri. Enzo Ferrari risponde positivamente così il progetto può partire: una Lancia da Rally tutta nuova, un modello con cui costruire una grande e ‘massiccia’ gloria per il marchio torinese. A disposizione di Cesare Fiorio c’è un team straordinario. Tra i membri Francesco de Virgilio (già componente del team tecnico della D50, ‘regalata’ a Ferrari nel ’55 dopo la morte di Ascari), Sergio Camuffo, Gianni Tonti (Direttore Tecnico della Squadra Corse Lancia), Claudio Maglioli e Sandro Munari. Trascorrono 365 giorni e nel novembre ’71 il concept statico della nuova Lancia Stratos debutta a Torino. È un capolavoro, una forma mai vista: passo corto, frontale piccolo e affilato che si armonizza con i passaruota. Il parabrezza, molto inclinato e avvolgente che ingloba anche il montante anteriore e prosegue nei vetri laterali dotati di un andamento ascendente verso il tetto. Questo cade verticalmente sul piccolo lunotto avvolto dal gigantesco cofano motore con apertura ‘a scrigno’. Il prototipo di Torino è statico ma, sotto, la meccanica è completa. Il V6 Ferrari di 2,4 litri è pronto per i collaudi. I piloti, infatti, hanno chiesto una macchina a suo agio su strada, pista e sterrato.
I TEST. Nel febbraio ’72 la Stratos inizia a girare ed evidenzia difficoltà un po’ dappertutto: sullo sterrato il comportamento è accettabile ma su asfalto è problematica, cambia dal sotto al sovrasterzo continuamente. Nonostante le difficoltà il 4 novembre debutta al Tour de Corse ma si ritira per problemi alle sospensioni. E c’è un problema ben più complesso. La CSI, per l’omologazione in Gruppo 4, esige almeno cinquecento esemplari stradali. La Stratos, nata come prototipo (sono previste sì e no dieci unità) deve essere un’auto da corsa ma anche stradale. Uno scenario non facile: la Lancia da sola non può farcela e va considerato che, all’epoca, il successo della Fulvia non piace ai vertici FIAT. Gobbato chiede i motori a Ferrari ma il Drake (probabilmente frenato dai ‘piani alti’ di Torino) osteggia l’operazione invocando una serie di problemi. Allora, su permesso dell’Avv. Agnelli, si rivolge a Maserati (di proprietà Citroen), che offre il V6 3 litri della Merak. Sembra fatta ma quando Fiat viene a saperlo magicamente Ferrari fa dietrofront. La Lancia Stratos, quindi, accoglie il V6 Dino. L’1 ottobre 1974 l’omologazione in Gruppo 4 è perfezionata (la scadenza è fissata nell’82).
LA VERSIONE STRADALE. Costruita attorno a una struttura in acciaio con telai ausiliari e carrozzeria in vetroresina la Lancia Stratos stradale era equipaggiata con sospensioni indipendenti, anteriori a triangoli e posteriori a quadrilateri. Il cuore è il sei cilindri a V di 2418 cc di provenienza Dino, che in configurazione stradale eroga circa 190 cv e 220 Nm di coppia. La trazione posteriore è abbinata a al cambio a cinque marce e freni a quattro dischi, senza servofreno. Accreditata di un peso inferiore ai mille chili, la Stratos Stradale scatta da 0 a 100 orari in meno di 7″ e supera 230 km/h di velocità massima. Commercialmente non la si può definire un successo di vendita. La Lancia, interessata solo all’attività sportiva, non le costruisce attorno una adeguata campagna marketing. Resta un’auto di grande nicchia, molto costosa (oltre 10 milioni di Lire a metà Anni ’70), scomoda, essenziale, un’apoteosi di spartanità. Al punto che un anno e mezzo dopo l’inizio della commercializzazione il limite dei 500 esemplari viene diminuito a 400. Iniziata nel ’73 la produzione si conclude nel ‘75 dopo 492 unità.