KTM GS 175, la mamma di tutte le enduro

KTM GS 175, la mamma di tutte le enduro

Per te le KTM sono quelle arancioni, moto austriache con linee modellate da motoseghe scappate di mano a boscaioli d’oltralpe. Ma in realtà, in quel di Mattighofen, la propensione al ‘famolo strano’ l’avevano anche 50 anni fa, quando erano ancora azzurre… Anni ’70, le moto, rispetto alle auto, sono indietro di almeno dieci anni. Quindi leggi ’60: si prova, si sperimenta ancora tanto, ci si diverte a mettere insieme accrocchi strappati all’agricoltura (o alla guerra). Sono gli anni della regolarità, nascono le enduro, ma non se ne accorge ancora nessuno. Insomma, in quegli anni lì sono i teutonici a dettar legge: Puch, Sachs e ovviamente KTM. Che delle tre però è quella che ci crede di più: investe, ricerca, sviluppa. E nel 1972 arriva questa GS 175, una rivoluzione che non passa inosservata. Bastava guardare quell’espansione che gira alta e scompare tra motore e telaio per capirlo. Già, l’espansione. Montando motori a due tempi particolarmente dopati, la marmitta doveva per forza essere panciuta. E in fuoristrada era diventato un problema non da poco. Con le sospensioni sempre più performanti (leggi: escursioni importanti), dopo un bel salto non era raro atterrare proprio sulla marmitta. E schiacciarla. Le provarono tutte (anche a farla passare laterale, ma in moto si piega…), ma è KTM ad avere il colpo di genio. Che poi copiano tutti.

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ESSENZIALE. Per quanto riguarda la ciclistica, invece, l’escamotage per scaricare il telaio dalle sollecitazioni è quello delle saldature interrotte, e dei rinforzi piazzati qua e là. Il motore, marchiato KTM, in realtà è un Rotax (austriaci pure loro), robusto, quasi militare per affidabilità e guidabilità (prova a cambiare e lo capisci subito). I mozzi sono in lega e il serbatoio, rigorosamente azzurro, in materia composita, come pure fianchetti e portanumeri, alta resistenza a urti e vibrazioni (ma non all’età: del resto non erano moto per cento giorni da pecora). E poi comandi CEV e Magura (rigorosamente Made in West Germany) e carburatore Amal inglese. A guardarla oggi fa tenerezza: sottile, spoglia, empirica (col quel terminale scomponibile che sa tanto di Lego), ma accendila e facci un giro e riscopri l’essenza della moto: due ruote e un motore. Tutto il resto è noia.

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