Il misticismo e l’esagerazione: Bugatti 18/3 Chiron
Il misticismo è una condizione in cui si raggiunge la coscienza ultima, uno stato di estasi, un potere di realizzazione finale. Meravigliosi, gli Anni ’20 e ’30 del Motorismo: la capacità di sperimentazione era totale, la tensione verso un risultato definitivo era un viaggio nell’ignoto, straordinario nel suo fascino infinito. Era piacere indefinito poiché scoprivi continuamente che ogni traguardo ne aveva un altro più lontano. E raggiungerlo diventava un imperativo. Meravigliosa anche l’epoca moderna: qualche tempo fa la sperimentazione ha riacceso una fiamma che sembrava spenta, diventando presto un fuoco impetuoso. E infine oggi, mentre siamo soggiogati da continui “messaggi di pericolo” (clima impazzito, risorse sempre più scarse…) nuove sperimentazioni sembrano… il “diavolo”. Ma attenzione: è pericoloso poiché potrebbe piacerti. In questa seconda puntata la protagonista è una fenice, la Bugatti 18/3 Chiron.
LA SECONDA RINASCITA. L’ultimo respiro di un marchio straordinario nella storia del motorismo era stato esalato nel 1965: la Bugatti Type 101C e il suo improbabile design avevano decretato la chiusura di un’azienda storica. Da quel momento era cominciato un lungo periodo di oblio durato oltre venticinque anni ma alla fine degli Anni ’80 il marchio riparte su iniziativa dell’imprenditore trentino Romano Artioli, personaggio straordinario e con un’energia oltre l’immaginabile. Mette in piedi un progetto faraonico: un’azienda all’avanguardia a Campogalliano, vicino a Modena, e un’automobile magnifica. Ma l’EB 110 dura poco e a metà degli Anni ’90 la Casa dichiara fallimento (la berlina-coupé EB112 è rimasta un prototipo). Nel 1999 il progetto viene acquistato da Ferdinand Piëch, Amministratore Delegato del Gruppo Volkswagen. Il manager tedesco, personaggio di grande bravura, coraggio e visione in avanti, ha un desiderio preciso: costruire una nuova Bugatti e mettere in produzione la sportiva più formidabile del mondo, un prodotto ben oltre Ferrari F50, McLaren F1, Porsche 911 GT1 e ulteriori sfidanti.
COME NESSUNA. Al Salone di Francoforte del settembre ’99 la direzione intrapresa dal nuovo marchio Bugatti è seriamente indicata dall’eterea Bugatti 18/3 Chiron. Già il nome è un’apoteosi e si ispira al suo pilota più prolifico, il monegasco Louis Chiron. Questa impressionante hypercar è un “oggetto” desueto, qualcosa che è ingiusto chiamare banalmente “automobile”. Si potrebbe restare imbambolati all’infinito con lo sguardo posato sulle sue forme eteree e i volumi proporzionati alla perfezione. Immensa, bassa, larga, niente ali e motore a vista. Sul suo piccolo cofano il marchio ovale di Molsheim che sovrasta la griglia a forma di ferro di cavallo incrementa il suo fascino all’infinito, carica la sua immagine all’inverosimile. E Appunto, il propulsore (315 kg di peso): tre bancate, due disposte a V, la terza in posizione orizzontale, formano un’unità a 18 cilindri di 6255 cc e 555 cv. Il telaio deriva da una Lamborghini Diablo VT ed è equipaggiato con trazione integrale.
LE BASI DEL SUCCESSO. Il design opera dell’Italdesign di Giugiaro, ha sbalzi molto corti e proporzioni sono entusiasmanti. La caratterizzano il rigonfiamento lungo tutta la parte centrale della carrozzeria (come le Aerolithe e Atlantic e i cerchi ispirati alla Type 35. La linea del posteriore è pulita, solo un’ala retrattile “rovina” lo spettacolo quando l’auto è in movimento mentre l’estrattore inferiore è integrato nel paraurti. Gli interni sono un trionfo di pelle e tessuto in tinta blu Bugatti, un cockpit piccolo e raccolto da cui osservare, in movimento, oggetti che scorrono via molto lenti. L’accoglimento della Bugatti 18/3 Chiron è molto favorevole ma è solo l’inizio: al Salone di Los Angeles di poche settimane dopo va già in scena il secondo atto: la 16-4 Veyron (16 cilindri, 4 turbocompressori): apriti cielo!