Il Double Chevron compie cent’anni
LA CITROËN FA 100. Cosa che sa più di anniversario che di compleanno, perché quando si arriva a festeggiare un secolo di vita non si scrivono più bilanci, ma capitoli di storia. La Citroën nasce a Saint-Ouen, a nord di Parigi, nel 1919, l’anno dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Sono tempi in cui c’è una gran voglia di lasciarsi tutto alle spalle, di prendere e andarsene via. E per farlo c’è bisogno di auto. Il giovane André, industriale col pallino dell’innovazione, lo capisce al volo e comincia produrle. Per lo stemma sceglie la forma dei denti di un ingranaggio ad alte prestazioni da lui stesso inventato, quella double chevron che è una vera e propria dichiarazione d’amore alla meccanica. La prima auto che arriva è la Type A. Ma è nel 1934 che André cala l’asso che aveva nella manica con la Traction Avant. Un modello che fa subito scalpore e non solo per essere la prima auto a trazione anteriore prodotta in serie. Per dar forma alla propria intuizione Citroën aveva chiamato a lavorare con sé un giovane scultore italiano, Flaminio Bertoni che in Francia si scopre car designer, e che anziché ragionare su disegni e schizzi come si è sempre fatto, preferisce scolpire un modellino in 3D dell’auto. È la Traction Avant. Il testamento automobilistico di André Citroën, che scompare l’anno successivo.
QUELLA PER TUTTI, LA 2CV. Alla fine di un’altra guerra, questa volta è il secondo conflitto mondiale, riaffiora la voglia di evasione. A cui si aggiunge, però, anche la necessità di dover ricostruire. Di rialzarsi. E muoversi. Alle auto di questo dopoguerra si chiedono quindi due cose: versatilità e economia. La risposta di Citroën è la 2CV: essenziale, affidabile, iconica. Una Traction Avant, ma finalmente per tutti. Sempre firmata Bertoni, aveva il motore bicilindrico boxer che si era visto sulle moto dei nazisti, il tetto apribile, e sedili che potevano essere smontati rapidamente per diventare sedie da picnic.
ARRIVA LO SQUALO. Ma è nel 1955 che il matrimonio Citroën-Bertoni è destinato a partorire l’ennesimo figlio, il più prodigio di tutti: la DS. Sono gli anni del boom, delle berline. Pian piano le gite fuoriporta si sono trasformate in villeggiature e le botteghe in fabbrichette. Arriva il benessere. Il comfort di viaggio diventa un requisito importante: la gente si è abituata al salotto. Non è un caso che contemporaneamente, nel resto del mondo, chi può guida le Lancia Aurelia (1950) e Flaminia (1957), le Alfa 1900 (1950) e le Jaguar MK2 (1959). La moda la dettano loro, le tre volumi, con quell’aura elegante che faceva sognare anche chi non se le poteva (ancora) permettere e che, comprando una Fiat 500, al bar diceva di guidare una berlinetta. Caratterizzata dal quel muso lungo che inghiotte motore e ruota di scorta come farebbe un vero e proprio squalo, la DS ha la coda spiovente che si stringe e le frecce agli angoli superiori del lunotto: un po’ vezzo, un po’ sicurezza. Una delle cifre Citroën. Come le sospensioni idropneumatiche che assicurano comfort e tenuta. Alzate permettono alla berlina di andare in campagna come fosse una SUV, senza toccare sotto. Il fatto che fossero autolivellanti, poi, permetteva di cambiare la ruota facendo a meno del cric o di sopravvivere indenni a una sventagliata di mitra, nonostante due gomme bucate. Come successe nel 1962 a Charles de Gaulle.
UNA CANDELINA SULLA TORTA. Ogni artista, ogni azienda, passa alla storia per quello che di più indimenticabile è riuscita a immaginare. O produrre. Che sia la bottiglia della Coca Cola o la Porsche con la 911. La Gioconda di Leonardo e Modugno con Volare. La DS è il capolavoro della casa francese, un inno allo stile, alla qualità, all’innovazione, capace di ispirare generazioni di Citroën e di designer (anche della concorrenza). Il suo ascendente è talmente forte che a più di 60 anni dalla presentazione la sua sigla è diventata addirittura un marchio a sé… Per questo, su Veloce, meritava di essere l’unica candelina sulla torta di questo compleanno speciale.
L’eleganza non invecchia e la DS ne è la riprova. Che non sia un’auto da pensionati lo dimostra il fatto che la guidi anche Simon Baker in The Mentalist. Il comfort non si misura solo in decibel o in centimetri di profondità della moquette. Ma anche in visibilità, soprattutto per chi sta dietro; ancora: la coppia non manca neanche a questo quattro cilindri. Che riprende sempre come fosse un monomarcia.
6 ottobre 1948, la 2CV, 3 ottobre 1968, il Mehari e oggi, l’Ami.
Cos’è oggi Citroën, lo sappiamo, cos’era non tutti lo sanno.
Ricordando Flaminio Bertoni.
La 2 cavalli rappresentò durante la seconda guerra mondiale il tesoro nascosto di André Lefebvre e di Pierre-Jules Boulanger.
Allora si chiamava in codice: T.P.V., toute petite volture.
Numerosi prototipi della T.P.V. non vennero smantellati, furono murati vivi ed efficienti negli edifici colonici in campagna e nelle abbazie. Ancora oggi vengono fortunosamente rinvenuti durante lavori quei prototipi ciclopici, perché monofaro con la feritoia per il coprifuoco.
Liberata la Francia, oltre ai prototipi T.P.V. della 2CV c’era l’altro emblema della rimotorizzazione francese, anch’egli nascosto, in un garage a Parigi: il Velosolex.
I ciclope T.P.V. con il suo ronzante bicilindrico boxer fu affidato alle cure dell’esteta di Citroen: Flaminio Bertoni, lo scultore varesotto di Masnago che già aveva disegnato il basso profilo della Traction Avant, la preferita dalla banda dei marsigliesi per la sua tenuta di strada.
Flaminio per trasformare la T.P.V. in 2CV si ispirò oltre all’ombrello rovesciato con 4 ruote, alla vettura disegnata nel 1936 da Le Corbusier, ancora viva nella sua memoria nel 1945. La Voiture di Corbusier aveva il motore posteriore come la Volkswagen ed era più ampia, armonica nelle proporzioni, perché disegnata secondo la sezione aurea e più funzionale ed abitabile della 2CV disegnata da Bertoni.
I contenuti tecnologici della 2CV ne hanno decretato il suo successo.
Le ruote indipendenti con sospensione a interazione a pattini meccanici e a masse mobili all’interno delle ruote (le 4 bottiglie) e il bicilindrico boxer raffreddato ad aria di Walter Becchia da 375 cc derivato dalla moto BMW R12 di Flaminio Bertoni.
La 2CV era un’auto seria, anzi serissima. Era l’unico mezzo di trasporto di milioni di famiglie contadine dopo il carro trainato da cavalli.
La trasformazione della 2CV avvenne nel maggio francese ad opera di Jean-Louis Barrault. Durante la rivoluzione sociale anticonformista, nel 1968, grazie agli strumenti della ditta SEAB, nasce un progetto: Il Méhari, un veicolo con scocca in plastica termoformata.
E fu subito un successo immediato.
Era l’auto anticonformista che i giovani europei stavano aspettando.
A Saint Tropez divenne subito à la page.
Lungo il mediterraneo come in Britannia e in Normandia i Méhari imperversavano sulle spiagge.
Qui in riviera, il cugino maggiore riempiva il suo orange Mehari di amiche sfrecciando per le spiagge. Quel Mehari le attraeva più di una Ferrari Daytona.
Il Mehari era la migliore auto “En plein air”. Ti divertivi spostandoti all’aria aperta con la musica in sottofondo, le amiche e ogni cosa che ti potesse servire sulla spiaggia.
Ti sentivi libero di affrontare qualsiasi viaggio, uscivi dalla strada e andavi ovunque, caricavi ogni cosa e chiunque senza problemi.
Erano estati leggendarie, c’era gioia di vivere, di frequentarsi e di scambiare idee, i pantaloni erano a zampa d’elefante, i capelli lunghi, la musica era Hendrix, i Pink Floyd, i Rolling Stone, la Joplin, le idee avevano potere, l’aria era elettrizzante, ti svegliavi sapendo che insieme si poteva cambiare il mondo perché doveva finire la guerra in Vietnam.
Oggi c’è l’Ami elettrica Giano Bifronte, il passato è passato e si trova anche in Italia, al museo Flaminio Bertoni che espone le automobili, le maquette e le sculture dell’esteta di Citroen a Volandia, dove inspiegabilmente non sono esposti i Deux Chevrons ed è assente il proud sponsor: Citroën.