Ferdinand Piëch: ciao signore della VW. E degli Anelli
Ancora una volta ha colto tutti di sorpresa. Ferdinand Piëch se n’è andato così, all’improvviso. L’ex grande capo di Volkswagen aveva 82 anni. Nato a Vienna nel 1937, da padre avvocato e madre figlia di Porsche, di qui il nome Ferdinand e un avvenire col volante in mano. Il giovane Piëch si forma in Svizzera e poi, finiti gli studi con una tesi su un motore di Formula 1, entra in Porsche. A Stoccarda rimane 10 anni scarsi, fino a quando, cioè, la famiglia si ritira dall’azienda. È per questo motivo che nel 1972 arriva in Volkswagen: una scelta che cambierà la sua vita. A Wolfsburg infatti, il nipote di Porsche diventa il temutissimo manager che tutti hanno ammirato. È proprio lui che in Audi decide di scommettere sulla trazione integrale, che a quei tempi era appannaggio sostanzialmente dei soli fuoristrada. La ‘quattro’ getta le basi perché nel 2011 la Signora degli anelli, nella vendita delle auto di lusso, arrivi a superare Mercedes Benz.
ESPANSIONE VINCENTE. Nel 1993, una volta diventato amministratore delegato, Piëch comincia a lavorare alla sua intuizione. Ferdinand ha capito che, di lì a pochi anni, sarebbero potuti sopravvivere solo i grossi produttori di auto. Come dire, l’idea di Marchionne, ma 20 anni prima. Così comincia a fare uno shopping sfrenato e in 10 anni il gruppo arriva a contare ben 12 marchi (comprati o affiliati). La linea guida è: soddisfare tutte le esigenze. Quelle dei grandi numeri come quelle delle grandi cifre. Dalla Seat alla Bugatti, passando per MANN, Lamborghini e Ducati. Nel frattempo, per rilanciare Volkswagen, Piëch punta su auto fatte sempre meglio, ma meno costose, e, intanto, cerca di mandare a spasso meno operai possibili (mossa, questa, che gli consentirà di farsi amici i sindacati).
PASSIONE. Ma Piëch non era un manager che pensava solo ai numeri. A lui piaceva giocare con le macchinine. Nonostante i molti successi, tre delle sue ‘invenzioni’ entrano a pieno titolo nella classifica dei 10 bagni di sangue più costosi di sempre (un modo gentile per dire flop): l’Audi A2 (la piccola in alluminio), la Volkswagen Phaeton (la superberlina lussuosa per chi non voleva dare nell’occhio) e la Bugatti Veyron (il salasso più potente della storia dell’auto, parola degli azionisti di Volkswagen). Del resto, come ha candidamente scritto nella sua autobiografia, “quando voglio fare qualcosa, la faccio, a prescindere da quello che comporta. Non sono mai stato interessato a creare armonia intorno a me”.
COLPO DA MAESTRO. Da manager, il suo colpo da maestro è stata l’acquisizione della Porsche (2012), una rivincita sull’impertinente cuginetto Wolfgang (Porsche) che quattro anni prima aveva provato a scalare Volkswagen. Con Piëch non si scherzava insomma. Le sue doti? Visione, passione, fiuto e tempismo. Già, tempismo. Un manager vincente deve saper azzeccare anche i tempi, per acquistare, innovare e, perché no, ritirarsi. Come quando uscì dalla scena aziendale nel 2015, giusto un attimo prima che scoppiasse il dieselgate.