E pensare che voleva mangiarsi Ferrari e Porsche…

E pensare che voleva mangiarsi Ferrari e Porsche…

MERITAVA MOLTO DI PIÙ. Un anno fa, più o meno di questi tempi, ci eravamo messi d’impegno per stilare una lista delle dieci migliori supercar finite del dimenticatoio. Scorrendo questa romantica e malinconica classifica di “splendide perdenti”, nate per impensierire Ferrari, Porsche e Lamborghini ma rimaste tristemente arenate alle pendici dell’olimpo delle auto da sogno, il puntatore del mouse si è fermato su quella che, forse più di tutte, avrebbe meritato un destino diverso dalle 40 unità – si stima – prodotte tra il 2005 e il 2012. Il motivo è presto detto: la Gumpert Apollo – il cui nome altisonante rimanda al dio greco e alla navicella che portò per la prima volta l’uomo sulla Luna – è oggi come allora un’auto letteralmente sensazionale. Ed è per questo che vale senz’altro la pena riscoprire la sua storia.

Gumpert ApolloSCUOLA AUDI. A volere fortissimamente la Apollo fu Roland Gumpert: tedesco, ingegnere, classe ’44, protagonista di una lunga carriera all’Audi, dov’era entrato nel 1969 fino ad assumere, nel 1981, la direzione dello sviluppo dei veicoli speciali e da corsa. All’inizio degli anni 2000 Gumpert decise di mettere il suo enorme bagaglio d’esperienza al servizio del più classico dei sogni che ogni progettista di auto da competizione custodisce gelosamente nel cassetto sin da bambino: costruire con le proprie mani la macchina sportiva “definitiva”.

Gumpert ApolloCOL V8 DELLA RS6. Per realizzare questa impresa, Gumpert chiese aiuto a un altro Roland, quel Mayer che, con la sua MTM, era già allora conosciutissimo nell’ambiente per le sue elaborazioni estreme delle Audi ad alte prestazioni. “Piazzare” dietro l’abitacolo a due posti secchi il 4.2 V8 della RS6, con l’aggiunta di due turbocompressori maggiorati, fu quindi una scelta naturale, oltre che “felice”, dato che quell’otto cilindri era in grado di sprigionare fino a 850 CV. Un valore davvero impressionante per l’epoca.

Gumpert ApolloEFFICACE, MA “BRUTTINA”. Col senno di poi, si può serenamente affermare che decisamente meno “felici” furono le scelte in merito allo stile dell’auto, guidato unicamente dalla funzione e quasi volutamente avverso, per precisa volontà di Gumpert, a qualsiasi “colpo a effetto”. A eccezione delle spettacolari porte ad “ali di gabbiano”. Pervaso da una scientificità provata, dato che vi presero parte anche l’Università tecnica di Monaco e quella di scienze applicate di Ingolstadt, il progetto dell’Apollo seguì unicamente le indicazioni fornite dalla galleria del vento: ne nacque un’auto con una carrozzeria completamente in fibra di carbonio che ricopriva il telaio in tubi al nichel-cromo-molibdeno e andava a nozze coi flussi aerodinamici, ma faceva letteralmente a pugni con gli occhi di una platea inevitabilmente abituata, per intenderci, alle linee mozzafiato delle Ferrari firmate Pininfarina o alla potente e sensuale plasticità delle Porsche.

IN PISTA METTEVA TUTTI IN FILA. Oggi molti esperti concordano nell’annoverare tra le cause principali del flop commerciale della Apollo proprio il suo stile, se non “grezzo”, quantomeno poco “onirico” rispetto a quello delle rivali rimaste più famose. Ma il punto è forse un altro e proprio con la fama ha a che fare. La supercar di Gumpert, in quanto a prestazioni pure, non aveva nulla da invidiare ai bolidi dei più prestigiosi costruttori di auto da sogno europei, ma non poteva certo vantarne lo stesso prestigio: un fattore decisivo, quando si tratta di comunicare con efficacia l’esclusività di una supercar con prezzi a cinque o sei cifre.

Gumpert ApolloRECORD AL ‘RING. Per queste ragioni, la Apollo non riuscì mai a trasferire in concessionaria gli straordinari exploit fatti registrare in pista. Uno su tutti, i 7’11”57 impiegati per “divorare” i quasi 21 km d’asfalto dell’insidiosissimo Nürburgring: un tempo che ne fece l’auto stradale più veloce della sua epoca tra i cordoli dell’”inferno verde”.

Gumpert ApolloMETTEVA PAURA A PORSCHE E FERRARI. Della Apollo, Gumpert e il suo team studiarono più d’una versione, probabilmente nell’intento tanto nobile quanto vano d’intercettare le spesso impalpabili fantasie degli automobilisti più facoltosi ed esigenti. Al principio fu una versione “liscia” da 650 CV a far gridare al miracolo appassionati e addetti ai lavori, ma di quel missile tutto da domare, con la trazione sulle sole ruote posteriori e un cambio manuale sequenziale a sei marce da uomini veri, dal 2005 al 2012 videro la luce varianti ancora più potenti, come la Sport da 750 CV e la R da 850 CV, riservata all’uso in pista.

Gumpert ApolloVELOCISSIMA. La leggenda narra di una velocità massima di oltre 360 km/h, e anche se di leggenda si tratta, poiché quella spaventosa punta non è stata mai rilevata ufficialmente, non è difficile credere che l’Apollo fosse capace di correre così veloce. Non meno spaventosi erano i dati relativi all’accelerazione: da 0 a 100 km/h in tre secondi netti e appena sei in più, sempre con partenza da fermo, per rompere il muro dei 200 all’ora. Insomma: numeri alla mano e nelle mani “giuste”, questa supercar oggi dimenticata avrebbe potuto giocarsela in pista alla pari con la Ferrari Enzo e la Porsche Carrera GT. E sarebbe stato ovviamente un match da brividi. Peccato solo che il destino abbia avuto altri piani…

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