Donne e motori. Che Belmondo!
Faccia da sberle. Anzi no, proprio da pugni. Già perché Jean-Paul Belmondo all’inizio, prima di diventare lo Steve McQueen d’Oltralpe, era stato davvero un pugile. “Ho smesso quando ho visto che la faccia nello specchio cominciava a non sembrare più la mia”, precisa l’attore che sulle locandine dei suoi film non compariva mai senza un bolide o una maggiorata. O tutt’e due. Nella (Cine) Città Eterna era di casa e in Via Veneto passava le sue notti romane, più o meno danzanti. È uno dei volti della Dolce Vita, sciupafemmine patentato, ha collezionato le più sognate di sempre, dall’Antonelli alla Welch. E quando la sua faccia non bastava a far cadere ai propri piedi la bella di turno, allora sfoderava le armi da seduttore incallito. O dell’incorregibile spaccone. Come quando pagò la mancia alla guardarobiera che non voleva ridare la pelliccia proprio all’Antonelli. Tra le sue uscite memorabili ci fu quella per cui ‘Sette giorni… Sette notti’ con Jeanne Moreau fu una cosa noiosissima. Sbruffone, ma sempre gentiluomo, per togliersi dall’imbarazzo della scelta recitò sia con la Loren che con la Lollobrigida. E pure con la Cardinale. Nel 1970 nei cinema arriva Borsalino, che non è la solita storia di gangster, visto che sullo schermo compare in coppia con Alain Delon. Un vero en plein, insomma. Belmondo è stata la prova vivente che la crisi del settimo anno esiste eccome. Tanto, almeno, sono durate tutte le sue relazioni. Tra le più paparazzate, quella con la Bond Girl Ursula Andress e la conturbante Laura Antonelli. Come i manici di oltreoceano, anche lui voleva fare lo stunt di sé stesso. E così, quando si doveva preparare per girare una scena col botto, si chiudeva in una specie di ritiro prepartita, perché “fare lo stuntman è un po’ come partecipare a una competizione sportiva”, diceva. Nato in Francia nel 1933, in Italia aveva i suoi antenati, e a Hollywood moltissimi pretendenti. Da cui si fece desiderare. Anche perché non gli è mai andato di imparare l’inglese. “E nessuno mi fa fare quello che non voglio fare”. Chapeau.
GLI OSCAR (MANCATI). Va bene, Belmondo non ha mai vinto la statuetta di Hollywood. Eppure per gli appassionati cinefili ci sono almeno un paio di pietre miliari che l’avrebbero meritato. La prima è Scappamento aperto (1964). Una pellicola con questo titolo non c’è manco bisogno di guardarla per sapere che è un capolavoro, no? Mentre l’altra potrebbe concorrere anche per il Guinness dei primati: il mitico salto con una Fiat Uno, con tanto di atterraggio sulla macchina della Gendarmeria (Irresistibile bugiardo, 1984).
IL GARAGE. Sarà stato il suo sangue vagamente italiano, o il magnetismo che le auto del Cavallino hanno sempre avuto sulle belle donne, fatto sta che Belmondo ha amato particolarmente le creazioni di Maranello. Dalla California degli Anni ’60 in poi. Anche se la sua preferita è stata un’altra 250, la GT Tour de France, con “le marce durissime”. Ma tanto lui era un vero macho. E poi Dino e 308 GTS. Ma visto che la fedeltà non è mai stata una sua qualità, ogni tanto tradiva le rosse con qualche inglesina. Come le Aston DB5 o le Lotus Elan. Chi è senza peccato…