Dodici conquiste dell’uomo nello Spazio (2/3)
Che lo Spazio sia il settore strategico su cui scommettere è ormai un fatto assodato, perché in grado di generare crescita, servizi e tecnologie inedite. Anche il Bel Paese, qualche settimana fa, ha fatto un passo avanti nella corsa allo Spazio – quella europea perlomeno – aggiudicandosi un contratto da 1,47 miliardi di euro per la fornitura di sei dei dodici nuovi satelliti del sistema Galileo: merito dell’italianissima Thales Alenia Space, in una joint venture con Leonardo. Ma la partita vera si gioca oltreoceano e i due uomini più ricchi del pianeta, Jeff Bezos e soprattutto Elon Musk, sono già lanciati a tutta velocità. Da un lato c’è Blue Origin con il progetto di un lander lunare cargo previsto per il 2024, dall’altro c’è la più collaudata SpaceX di cui tanto si è parlato lo scorso anno.
UNO SGUARDO AL FUTURO E UNO AL PASSATO. “Fare dell’umanità una specie multiplanetaria” è la promessa di Elon Musk che, attraverso la sua principale società non quotata in borsa e a lungo derisa, ha in realtà già contribuito ad abbassare significativamente i costi di lancio, costruendo un rapporto solido con la NASA e consentendo agli Stati Uniti di riportare gli astronauti sulla ISS — dopo un lungo periodo in cui è stato necessario noleggiare il veicolo russo Soyuz. Musk ha dichiarato di voler portare l’uomo su Marte nel corso di questo decennio e noi di Veloce, un po’ per fiducia e un po’ perché amiamo qualsiasi cosa genere di velocità, vogliamo credergli. In vista dei prossimi aggiornamenti, abbiamo pensato fosse doveroso fare un recap crono-velocistico dei dodici momenti più importanti nella corsa allo Spazio, dal primo satellite mandato in orbita ai giorni nostri. Ecco altre quattro missioni, dal 1965 al 1981.
VOSCHOD 2: 28.000 km/h (1965). Il 18 marzo 1965 ebbe inizio la missione che portò, per la prima volta nella storia dell’esplorazione umana dello spazio, un astronauta a lasciare la propria capsula per eseguire una passeggiata spaziale rimanendo sospeso liberamente nel vuoto. Già durante la prima orbita terrestre venne gonfiata, estratta e posizionata la chiusa d’aria; uno dei due astronauti a bordo, Aleksej Archipovič Leonov, si sforzò ad entrare nella stretta camera, dalla quale successivamente venne fatta evadere tutta l’aria; ca cabina con Pavel Ivanovič Beljaev, ovviamente, rimase invece sotto pressione. Verso le 08.30 UTC, Leonov iniziò ad uscire per passeggiare nel vuoto dello spazio e poco dopo, raggiunta la zona di ricezione delle onde radio VHF delle stazioni di controllo di volo sovietiche, una telecamera posizionata all’esterno della capsula Voschod poté trasmettere a terra le prime immagini filmate di questo storico momento dell’esplorazione umana dello spazio. Leonov rimase all’esterno della capsula per un periodo compreso tra i dieci ed i venti minuti; le varie indicazioni sono decisamente contraddittorie e pertanto risulta quasi impossibile determinare con esattezza la durata complessiva della passeggiata. Quando tentò di rientrare nella chiusa d’aria si dimostrò che tale azione fosse decisamente più difficile di quanto previsto. Infatti la sua tuta spaziale si era notevolmente gonfiata a causa della mancanza di contropressione dovuta al vuoto dello spazio. Pertanto Leonov fu quasi impossibilitato a muoversi e solo dopo notevoli sforzi fu in grado di azionare un’apposita valvola di scarico d’aria dall’interno della tuta spaziale. Completamente stremato riuscì a rientrare nella chiusa d’aria e la tragedia fu sfiorata di poco.
APOLLO 11: 40.000 km/h (1969). La missione spaziale più celebre di sempre: Apollo 11, quella che portò i primi uomini sulla Luna. Gli astronauti statunitensi Neil Armstrong e Buzz Aldrin, il 20 luglio 1969 alle 20:17:40 UTC. Armstrong fu il primo a mettere piede sul suolo lunare, sei ore più tardi dell’allunaggio, il 21 luglio alle ore 02:56 UTC. Aldrin arrivò 19 minuti dopo. I due trascorsero circa due ore e mezza al di fuori della navicella, e raccolsero 21,5 kg di materiale lunare che riportarono sulla Terra. Il terzo membro della missione, Michael Collins – pilota del modulo di comando – rimase in orbita lunare mentre gli altri due erano sulla superficie; dopo 21,5 ore dall’allunaggio, gli astronauti si riunirono e Collins pilotò il modulo di comando Columbia nella traiettoria di ritorno sulla Terra. La missione terminò il 24 luglio, con l’ammaraggio nell’Oceano Pacifico. Il vettore — il celeberrimo Saturn V utilizzato per tutti i lanci americani tra il 1967 e il 1973 — fu costruito da Boeing, North American Aviation e Douglas Aircraft ed era composto da tre stadi. Il primo stadio era spinto da cinque motori Rocketdyne F-1 che con una spinta di 34 milioni di Newton portavano — in circa due minuti e mezzo — il Saturn V a 61 km di altitudine e ad una velocità di 8450 km/h, bruciando qualcosa come 13 tonnellate di propellente RP-1/LOX al secondo. Il secondo stadio era spinto da cinque motori J-2 con una spinta complessiva di 4,4 milioni di Newton che portavano l’astronave a 25mila km/h e a una quota di oltre 180 chilometri. L’ultimo stadio era spinto da un unico motore J-2 che spingeva fino a circa 40mila km/h.
Apollo 15: 40.200 km/h (Saturn V), 14 km/h (LRV) (1971). Apollo 15 è stata la nona missione spaziale con equipaggio del programma Apollo dell’agenzia statunitense NASA e la quarta ad allunare. A bordo c’erano tre astronauti: David Scott, Alfred Worden e James Irwin. È stata la prima missione di tipo J — ovvero quel gruppo di missioni che prevedevano un soggiorno più lungo sulla Luna e una maggiore attenzione all’attività scientifica — nonché la prima ad utilizzare il rover lunare (LRV), il primo veicolo fuoristrada ad essere guidato da un umano al di fuori della Terra. Era un veicolo dotato di due posti, dall’aspetto spartano, con una massa a vuoto di 210 kg e una lunghezza di 3 metri, in grado di trasportare oltre 490 kg di carico utile alla modesta velocità di 14 km/h, grazie a quattro motori elettrici da 200 W – 0,25 cavalli ciascuno – alimentati da batterie non ricaricabili. Il rover di Apollo 15 aveva una targhetta con la scritta: “Man’s First Wheels on the Moon, Delivered by Falcon, July 30 1971”.
STS-1: 27.650 km/h (1981). La Space Trasportation System-1 o STS-1 è stata la prima missione spaziale del Programma Space Shuttle. L’equipaggio era formato dal pilota Robert Crippen e dal veterano John Watts Young che aveva già partecipato alle missioni Gemini e Apollo. Il lancio avvenne dalla rampa 39-A del John F. Kennedy Space Center il 12 aprile 1981 e dopo due giorni l’orbiter Columbia atterrò sul bacino asciutto del lago Rogers nei pressi della base aerea Edwards in California. Gli obiettivi principali riguardavano il test sulla sicurezza in fase di lancio, in fase di atterraggio. Inoltre sono stati registrati ed elaborati i valori di temperatura, pressione e accelerazione nelle varie parti della navicella. Lo Shuttle era composta da tre moduli:
- l’Orbiter Vehicle (in sigla OV): è l’unico componente a entrare in orbita con a bordo gli astronauti, un vano di trasporto per il carico, tre motori principali che utilizzano il combustibile presente nei serbatoi esterni e un sistema di manovra orbitale con due motori più piccoli (OMS);
- due Solid Rocket Booster ovvero razzi riutilizzabili a propellente solido — perclorato d’ammonio e alluminio — che si staccano due minuti dopo il lancio a un’altezza di 66 chilometri e vengono poi recuperati in un secondo momento;
- il Serbatoio Esterno contenente ossigeno e idrogeno liquidi ache servono ad alimentare i tre motori principali dell’Orbiter — questo si stacca dopo circa 8 minuti e mezzo a un’altitudine di 109 km, esplode in atmosfera e ricade in mare senza poter essere recuperato.
Quando si trova in orbita a un’altezza di circa 380 km la velocità dell’Orbiter è di circa 27.650 km/h. Lo Space Shuttle Columbia effettuò 28 missioni, rimase in orbita per 300,74 giorni, completando 4808 orbite e percorrendo in totale 201.497.772 chilometri, inclusa la tragica missione finale del 2003 in cui, purtroppo, persero la vita sette astronauti.
Il Grand Prix lunare.
Tutto iniziò dopo un’impossibile camminata di 2 ore e mezza sulla superficie lunare durante la missione Apollo 11. Fu allora che la NASA decise che era venuto il momento di preparare un buggy lunare per consentire agli astronauti di esplorare la luna guidando sulla superficie accidentata e polverosa nelle future missioni Apollo 15, 16 e 17.
Il progetto e la realizzazione del Lunar Roving Vehicle LRV fu una sfida tecnologica non indifferente perché oltre a funzionare regolarmente con una diversa gravità, su un terreno accidentato e tra la polvere sospesa, doveva essere trasportato dalla terra alla luna.
Venne eliminata l’ipotesi di un veicolo lunare pressurizzato e autonomo da 4 tonnellate con strumenti e materiali di consumo, in grado di consentire due settimane di esplorazioni a pilota e copilota astronautici. Il mezzo venne comunque approvato dalla NASA nonostante la necessità di doverlo lanciare, in una missione appositamente ideata, con un Saturno V per poi utilizzarlo solo in quella regione lunare.
Prevalse l’esigenza di ideare un mezzo all-in-one. In questo modo gli astronauti potevano arrivare sulla luna portando in ogni missione il Lunar Roving Vehicle per poi consegnarlo definitivamente alla Luna nel rientro.
Decisero quindi i tempi del progetto. In 17 mesi il Lunar Roving Vehicle venne progettato, costruito e collaudato.
Ai requisiti di essenzialità, compattezza nel trasporto, montaggio, semplicità d’uso, leggerezza, affidabilità e robustezza si aggiunsero le specifiche tecniche: un peso di 462 kg, la capacità di trasportare 1000 kg di materiale scientifico in un raggio operativo di sette chilometri dal LEM, Lunar Excursion Module e di percorrere 200 km sulla superficie lunare con a bordo un secondo astronauta.
Altra caratteristica richiesta era la facilità di montaggio che venne risolta suddividendo e piegando la piattaforma in tre settori per poter inserire il Lunar Roving Vehicle nel LEM, Lunar Excursion Module e aprirlo come un letto a scomparsa sulla superficie lunare.
La notorietà scatenata dalla missione interessò diverse aziende aerospaziali e non, tra cui Chrysler e General Motors.
Alla fine, prevalsero Boeing e General Motors con un veicolo elettrico leggero e semplice, in grado di resistere a sbalzi di temperatura estremi tra -328 e 392 gradi Fahrenheit e a tutte le immaginabili sollecitazioni meccaniche terrestri e nel trasporto spaziale. La costruzione del Lunar Roving Vehicle venne affidata dalla Nasa a Boeing e General Motors con un budget di 38 milioni di dollari.
Gli ingegneri Boeing realizzarono il sistema di apertura e di sbarco del Lunar Roving Vehicle semplicemente tirando due cavi d’acciaio, mentre ruote, motori elettrici e sospensioni a doppio braccio oscillante sono stati costruiti da General Motors a Santa Barbara, in California. Boeing costruì a Kent, Washington, la piattaforma in tubi di alluminio incernierati per consentire la piegatura nel trasporto e i due sedili pieghevoli per gli astronauti.
Sulle ruote in alluminio di 80 cm di diametro per una larghezza di 24 cm non vennero montati pneumatici in gomma, ma “donut” in maglia di fili d’acciaio di 81,8 cm di diametro, larghi 23 centimetri con all’interno una struttura interna toroidale a piastrine arcuate e imbullonate sul bordo collegate ad un profilo perimetrale circolare con sezione ad omega.
Il battistrada era formato da piastrine in titanio sovrapposte e rivettate, inclinate e incrociate tra loro.
La ruota lunare così reinventata da John N. Calandro, Norman J. James e Ferenc Pavlics, era alta 114 cm e consentiva al Lunar Roving Vehicle di galleggiare sulle asperità del suolo lunare.
Ogni ruota aveva il suo motore elettrico in-wheel a corrente continua capace di 0,25 cavalli a 10.000 giri al minuto con riduttore cicloidale per riduzione della velocità di 80: 1. Trazione integrale, 1 CV di potenza combinata e velocità massima limitata a 14 km/h.
I motori elettrici, la telecamera, i comandi e la radio di bordo venivano alimentati da due batterie da 36 volt (+ 5/-3 volt) di idrossido di potassio e zinco-argento con una capacità totale di 242 Ah, ovvero 8,7 kWh. Le batterie non erano ricaricabili e garantivano una percorrenza di 90 km.
Niente volante e pedaliera, solo un controller a T-bar tra i due posti, per accelerare, frenare e sterzare le quattro ruote comandate dai due motori elettrici di sterzo che garantivano un raggio di sterzata di 3 metri.
I comandi erano intuitivi, muovendo il T-bar in avanti si procedeva in avanti accelerando, spostandolo a sinistra o a destra, il Lunar Roving Vehicle sterzava fino a ruotare su se stesso, per frenare bastava tirare indietro il T-bar fino al freno di stazionamento.
I moduli di controllo e monitoraggio erano situati davanti all’impugnatura e fornivano informazioni su velocità, direzione, altezza e livelli di potenza e temperatura delle batterie. La navigazione era affidata a un giroscopio e a un contachilometri direzionali che trasmettevano dati su un computer che programmava il percorso di ritorno al LEM.
L’univa misura di sicurezza passiva per gli astronauti erano le cinture con chiusura a velcro per evitare sobbalzi.
Il primo Grand Prix lunare con il Lunar Roving Vehicle fu opera dell’astronauta pilota John W. Young nella corsa del “Lunar Grand Prix” durante la missione dell’Apollo 16 nel cratere Cartesio, un circuito accidentato di 47,73 km di diametro, situato nella parte sud-orientale della faccia visibile della Luna.
Celeberrimo fu il film in 16 mm girato il 21 aprile del 1972 dall’astronauta Charles M. Duke, Jr. che riprese il suo collega John W. Young mentre si divertiva a fare evoluzioni facendo sobbalzare il Lunar Roving Vehicle nei crateri della regione lunare degli altopiani di Cartesio mentre l’altro astronauta, Thomas K. Mattingly rimase diligentemente nel LEM ad aspettare e controllare la situazione. In realtà il “Lunar Grand Prix” era pianificato a tavolino come la terza missione dell’Apollo 16 per mettere alla frusta il Lunar Roving Vehicle, LRV.
Non fu la prima volta. Tanti furono i test terrestri nel deserto, prima della missione Apollo 15, il primo shakedown lunare, ma fu la missione Apollo 16 dove il Lunar Roving Vehicle venne impiegato in un test al massimo delle sue possibilità tecniche in un cratere lunare. Gli unici inconvenienti durante le tre missioni Apollo furono provocati dalla polvere lunare che ostruì i radiatori di raffreddamento delle batterie e la rottura di due parafanghi, riparati sul posto.
I tre Lunar Roving Vehicle delle missioni Apollo 15, 16 e 17 percorsero 91,7 km prima di essere abbandonati nei crateri di allunaggio dei LEM.
Senza di essi le principali scoperte scientifiche di Apollo 15, 16 e 17 non sarebbero state possibili, così la comprensione dell’evoluzione lunare e molto altro ancora.
Addio LRV, hai segnato un’epoca dove tutto sembrava possibile.