Dalle moto alle chitarre: ci pensa Charlie
La prima volta che ho conosciuto Charlie O’Halon vivevo a San Francisco. E anche lui. Stava in Mission, quando il quartiere a sud di Market era un posto strano, non il covo di hipster che è oggi. “Una mattina faccio per aprire la saracinesca – mi racconta – e davanti c’è uno sdraiato. ‘Il solito ubriaco’, penso, e provo a svegliarlo. È così che ho visto la pozza di sangue. Gli avevano sparato in testa. Benvenuto in Mission, mi sono detto”. Ma Charlie è cresciuto a New York e non è uno che si impressiona facilmente. Nella East Coast aveva studiato arte, sa tutto di fotografia, e gli piace anche la musica. Ma è nel Far West che ha scoperto l’amore: per le motociclette Honda (rigorosamente d’epoca). Comincia a restaurarle per gioco, ma poi diventa un’ossessione. E quindi un lavoro.
L’ESTRO. Attenzione, Charlie non è un meccanico, almeno non solo. Per questo il suo posto, a San Francisco prima e a Los Angeles adesso, non è un semplice garage, ma il Charlie’s Place. È lì che la sua vena creativa, alimentata da giornate passate tra carburatori e serbatoi, telai e freni delle Honda più iconiche (le Four, certo, ma anche le futuribili Dream 305 che non si è fatto mancare neanche Steve McQueen o le Scrambler bicilindriche) gli suggerisce le cose più strane. Come le chitarre: che per un meccanico è un triplo salto carpiato. Ma Charlie, come tutti gli artisti, ha avuto i suoi periodi. Alcuni si sono aperti e chiusi, esauriti in un’opera unica o quasi, come quello religioso: il Buddha fatto con un freno a disco per aureola e uno scarico svuotato come gong, da battere rigorosamente con una pedivella d’avviamento.
LA GRANDE PASSIONE. Ma il ciclo delle chitarre no, quello è ancora ricco di idee, di fuochi d’artificio. E pensare che tutto è iniziato con un serbatoio troppo rovinato per poterlo rimettere su un telaio. “Eppure quel pezzo di design emetteva ancora delle ‘good vibrations’, credimi”. Visti i risultati io gli credo. Per questo rimesso in sesto alla bell’e meglio, Charlie l’ha trasformato in cassa armonica. “Del resto il buco della benzina sembra davvero fatto apposta per amplificare il suono”. Quindi ha saldato un tubo e ha piazzato due pezzi cromati qua e là. E il gioco è fatto. Dopo la prima chitarra, Charlie ci ha preso gusto e la sua fantasia ha cominciato a galoppare. A tal punto che la riconversione del serbatoio gli è sembrata una cosa quasi banale. E così, una sera, a serrande abbassate, è stato visto sparire nello stanzino della saldatrice. Lui e un cerchione cromato sottobraccio. Il giorno dopo della ruota si erano perse le tracce. Ma comunque l’attenzione era tutta per quella scintillante opera d’arte dalla forma spaziale che della ruota non importava più. Anzi nessuno ci avrebbe più pensato. Se non dopo aver guardato attentamente la chitarra e averci riconosciuto quel cerchione, liberamente reinterpretato. “E suona pure bene”, sottolinea Charlie, mentre attacca l’amplificatore e comincia a registrare le corde. Con una chiave a tubo.