Da Capo Nord a Capo Sud: il Museo Alfa Romeo racconta l’Alfetta del raid
Dell’Alfa Romeo si conoscono le imprese sportive sui circuiti, dalla conquista dei primi due campionati del mondo di Formula 1, nel 1950 e 1951, ai numerosi successi internazionali nelle corse per vetture a ruote coperte, ottenuti a cavallo tra gli Anni ’50 e ’90 nelle categorie Sport Prototipo e GT. Assai meno si sa, invece, delle gesta compiute dalla casa milanese lontano dall’asfalto dei campi di gara. Per il secondo appuntamento del ciclo di incontri Backstage 2022, proprio a quest’affascinante e avventuroso filone il Museo Storico Alfa Romeo la scorsa domenica ha dedicato una conferenza d’approfondimento in streaming. Protagonista, direttamente dai depositi della collezione, l’Alfetta azzurro Le Mans targata ‘MI S54134’ che nell’estate del 1973 compì il massacrante Raid Capo Nord-Capo Sud.
IN CAPO AL MONDO. La maratona, 29 giorni e oltre 26mila chilometri dalla tundra fredda e desolata della Norvegia ai verdi e assolati promontori del capo di Buona Speranza, fu raccontata in un lungo reportage dal settimanale Oggi, che affiancò l’Alfa Romeo nel progetto come media partner e partecipò alla spedizione con il giornalista Fabio Galiani, accompagnato dagli esperti piloti Giancarlo Baghetti e Gianni Taroni. La magia, le insidie e i paesaggi mozzafiato di quel viaggio, il cui chiaro scopo era dimostrare la robustezza meccanica della nuova berlina sportiva del Biscione anche in condizioni d’utilizzo estreme, rivive anche in un bel docufilm, realizzato per documentare la seconda parte del percorso, da Siviglia al punto più estremo a Sud dell’Africa continentale. Le immagini mostrano luoghi remoti e ostili, pezzi di mondo raccontati sugli atlanti di geografia e in cui pochi uomini hanno avuto il coraggio e la capacità di avventurarsi.
CONQUISTÒ L’EUROPA E L’AFRICA CON POCHISSIME MODIFICHE. Oggi come ieri, quel che sorprende da un punto di vista tecnico è come l’Alfetta, animale da strada privo d’ogni velleità fuoristradistica, sia riuscita a divorare piste sconfinate fatte quasi interamente di sassi e buche quasi fosse una Land Rover, col suo ruggente motore bialbero sempre su di giri, più forte di sabbia, polvere, fango e persino delle vertiginosi escursioni termiche tra un capo e l’altro della Terra. E la cosa più straordinaria è che la macchina rimase praticamente identica a com’era uscita dalla catena di montaggio. Gli uomini del reparto sperimentale del Portello si limitarono ad aggiungere un paio di piastre metalliche sotto la pancia della vettura, per proteggere la coppa dell’olio e il gruppo frizione-cambio-differenziale, il cosiddetto ‘maialino’ sospeso alla scocca al posteriore. L’allestimento era completato da un ampio paravacche frontale, da gomme tassellate e da un set di filtri antipolvere per garantire un funzionamento ottimale dei servizi ausiliari, con un filtro dell’aria supplementare lavabile a bagno d’olio per dare fiato al motore nelle situazioni di guida più impegnative.
SULLA PELLE I SEGNI DI UNA GRANDE AVVENTURA. Il contachilometri dell’Alfetta, che per tutta la lunghissima tappa africana del viaggio fu scortata da una vettura gemella dello stesso colore, segna 29.286 chilometri. I circa tremila in più rispetto a quelli macinati nel raid sono quelli che separano Milano, da dove partì la spedizione, e Capo Nord. Dopo il raid, la macchina rientrò in Italia via mare e fece ritorno in fabbrica, dove ottenne gloria e onori e si guadagnò l’affetto di tutta l’azienda. Oggi l’Alfetta del Raid Capo Nord-Caspo Sud sonnecchia nei magazzini del museo di Arese, parcheggiata in mezzo a una fitta schiera di bolidi da corsa e prototipi sperimentali. Nelle parti più nascoste della carrozzeria si annida ancora la polvere rossastra accumulata nel viaggio e il baule è ancora mezzo pieno di ricambi. Un cavo di traino, un cric rinforzato e altri pezzi utili in caso di guasti imprevisti nel cuore rovente del deserto del Sahara o nei meandri più selvaggi dell’Africa nera. Là dove i bimbi e le lavandaie si stupiscono ancora di fronte all’uomo bianco e al mezzo meccanico, i leoni dormicchiano all’ombra dei baobab e i babbuini non perdono mai occasione per litigare.