Copia e incolla: 6 auto con una parente famosa
“Diffidate dalle imitazioni”. Quante volte lo si sente dire dalle aziende dei settori più disparati, in difesa dei loro prodotti e del diritto d’autore. Non per forza, però, una copia dell’originale deve assume un significato negativo. La storia dell’automobile è una materia molto interessante in tal senso, ed è piena di esempi che lo dimostrano, perché i modelli prodotti in joint-venture, o su licenza, rimarchiati previ accordi firmati e controfirmati, non si contano sulle dita di due mani. Noi ne abbiamo selezionati sei, a volte praticamente identici agli originali, a volte no, ma quasi sempre accomunati da una carriera vissuta in chiaroscuro, all’ombra delle parenti più famose.
OPEL SPEEDSTER. Su alcuni componenti interni della sua leggerissima scocca in materiali compositi, a seconda dei motori – entrambi a quattro cilindri: un 2.2 aspirato da 147 cv e un 2.0 sovralimentato da 200 cv – compaiono i nomi di Lotus Skipton e Tornado. Così nella fabbrica di Hethel, 150 chilometri circa a nord-est di Londra, era stata ribattezzata in codice la Speedster, che la Lotus su richiesta della General Motors assemblò per la Opel dal 2001 al 2006. Strettamente imparentata con la Elise di seconda generazione, con alcune modifiche al telaio in alluminio volte ad accogliere dietro l’abitacolo a due posti secchi i più grandi propulsori del colosso americano, fu concepita nella seconda metà degli Anni ’90 per colmare il vuoto nella gamma della casa del fulmine creatosi con il pensionamento delle Opel Calibra e Omega Lotus. Con il motore turbo superava i 240 km/h e scattava da 0 a 100 km/h in meno di cinque secondi, mettendosi dietro sportive ben più potenti e blasonate. Una vera supercar in formato tascabile.
CADILLAC XLR. Cofano chilometrico, muso spiovente, coda corta e rastremata… Osservandola, e neanche troppo attentamente, non è difficile intuire le proporzioni della Chevrolet Corvette. Solo un’impressione? Nient’affatto, perché la Cadillac XLR – che per sette anni, dal 2003 al 2009, ha ricoperto il ruolo di sportiva di punta della casa di Detroit – poggiava sulla stessa piattaforma Y che la General Motors aveva progettato per la cugina più famosa. Prodotta nello stabilimento di Bowling Green, nel Kentucky, la XLR montava lo stesso V8 Northstar da 4,6 litri dell’ammiraglia Seville, rispetto alla quale poteva però contare su una ventina di cavalli in più, per un totale di 320. Fu realizzata anche una versione roadster, che montava un tettuccio in alluminio ripiegabile elettricamente sviluppato in joint-venture dalla Mercedes e dalla Porsche.
SAAB-LANCIA 600. C’è stato un tempo, più o meno una decina d’anni fa, in cui le Lancia altro non erano che modelli Chrysler rimarchiati. E pensare che trent’anni prima, agli albori degli Anni ’80, avvenne sostanzialmente il contrario, anche se con un brand diverso. Consapevole che l’avventura della solidissima ma obsoleta 96, sulla breccia dal 1960, stava per giungere al capolinea, la Saab prese contatti con il gruppo Fiat, con il quale nel 1979 aveva stretto un accordo per portare l’Autobianchi A112 con marchio Lancia in Svezia e qualche anno dopo avrebbe collaborato per il pianale Tipo 4 da cui sarebbero nate la 9000 e le cugine italiane Fiat Croma, Lancia Thema e Alfa Romeo 164. Per sostituire la 96 alla base dalla gamma agli svedesi il modello giusto parve la Delta, che con poche modifiche, tra cui i tergifari, all’epoca obbligatori per legge nei paesi nordeuropei, sbarcò in Svezia, Norvegia e Danimarca. Con la griffe di Giorgetto Giugiaro e i collaudati motori della Fiat Ritmo le premesse erano ottime, ma la scarsa qualità delle lamiere le rendeva estremamente vulnerabili al sale sparso sulle strade dei paesi nordici nei mesi invernali. Un problema che pregiudicò in maniera irreversibile il successo dell’auto, venduta fino al 1982 – si stima – in circa 2000 esemplari.
SAAB 9-2X. Ridisegnarono la calandra, i fari, il cofano anteriore, i paraurti, il portellone con annesso spolier. Accorciarono perfino la carrozzeria di una decina di centimetri. Le provarono davvero tutte, alla Saab, per dissimulare la parentela con la Subaru Impreza wagon di seconda generazione, ma la somiglianza a un occhio esperto rimane piuttosto evidente. La ‘Saabaru‘, come venne ben presto soprannominata, fu prodotta dal 2004 al 2006 dalla Fuji Heavy Industries, società proprietaria della Subaru, nello stabilimento giapponese di Ota-Gynma, e venduta nel solo mercato nordamericano, dove la General Motors (all’epoca proprietaria della Saab e azionista della Subaru) aveva individuato una lacuna da colmare nel settore delle crossover compatte a quattro ruote motrici.
VOLVO C30 T5. Sotto la carrozzeria, che a dieci anni dall’uscita di produzione rimane grintosa e originale, nasconde lo stesso pianale della Ford Focus di seconda generazione, utilizzato all’epoca dalla casa svedese anche per le sorelle maggiori S40 e C70. La versione T5, in particolare, dalla compatta dell’ovale blu eredita pure il potente motore 2.5 turbo a cinque cilindri in linea, che debutta, ponendosi ai vertici della gamma, nel 2008. Con 240 cv, la due volumi in stile coupé della casa di Göteborg corre veloce fino a 240 km/h, toccando i 100 all’ora con partenza da fermo in meno di sette secondi.
MITSUBISHI LANCER EVO IX SW. A differenza dei modelli raccontati sopra, non è una ‘reincarnazione’ di un’auto famosa, ma, più semplicemente, la sua versione station wagon. Non c’è dubbio che il terzo volume, chiuso com’è dal taglio praticamente verticale del portellone, rosicchi una buona parte di grinta all’auto rimasta famosa per le sue apparizioni nei rally che contano, ma poco importa: si tratta comunque di una familiare ad altissime prestazioni, con un Dna da vera sportiva e una ‘faccia’ che, nel 2006 come oggi, si riconoscerebbe tra un milione. Sotto il cofano pulsa lo stesso quattro cilindri turbo da 280 cv della berlina, dalla quale la Evo giardinetta eredita in blocco anche il cambio manuale a 6 marce e la trazione sulle quattro ruote.