Colpo di coda: le più belle racecar Anni ’60 e ’70 (3)
Nel 1961 Zagato sega via il posteriore dell’Alfa Romeo Giulietta SZ Coda Tonda e crea la ‘Coda Tronca’. Lo fanno anche la Ferrari 250 GTO (1962), la 250 ‘Breadvan’ e la Maserati 151 (’63). Nella metà della decade la filosofia inizia a cambiare e i posteriori si allungano in senso contrario al moto. Dal ’68 in poi il Mondiale Sport è un trionfo di code lunghe. Ecco una sintesi delle più belle tra il 1966 e il ‘73.
PORSCHE 917 CODA LUNGA 1969-‘70-‘71. Il 4 aprile ‘69 la nuova Porsche 917 appena omologata partecipa ai test in vista della 24 Ore di Le Mans. La macchina vola, anche troppo: alle alte velocità la stabilità è precaria. In ottobre mentre viene sviluppata la 917 ‘Kurz’ con coda corta, Ferdinand Piëch fa sviluppare una nuova ‘Coda Lunga’. Stesso tetto e parabrezza della 917K ma muso più largo, modificato il flusso sopra il motore, aggiornati la forma degli archi ruota e la parte finale del posteriore, con un rialzo che crea un piccolo spoiler. La 917 Langheck ‘Coda lunga’ monta anche pinne verticali. Ai test per Le Mans supera 360 km/h ma ha ancora problemi di stabilità: a 320 orari il musetto si solleva. A Le Mans ‘70 Vic Elford e Kurt Ahrens restano in testa per diciassette ore prima di essere messi fuori dalla rottura di una valvola. Vince una 917K. La LH con carrozzeria hippie blu, verde/viola è seconda ma a ben cinque giri. Dopo la corsa riprendono i test: le parole d’ordine per Le Mans ’71 sono stabilità e aumento della velocità in curva. Sono ancora allargati i passaruota posteriori e tutta la coda nonché: modificati gli archi ruota, appiattito il muso, rinnovate prese d’aria anteriori, fari e aggiornato l’assetto. Alla maratona francese la LH n.17 ha telaio con tubi in magnesio e una fascinosa carrozzeria lunga con colori Gulf. Purtroppo L’equipaggio Siffert/Bell rompe il motore.
PORSCHE 917/30 1973. Il pressoché totale dominio Porsche nei prototipi nel ‘71 porta a un cambio per il ’72: solo auto con tre litri. Stoccarda trova un nuovo sbocco nella Can-AM. Si profila una cuccagna: nessun limite alla cilindrata, nessun obbligo sull’aerodinamica. Dopo il tentativo della 917 16 cilindri (da solo 760 cavalli) la soluzione viene trovata nel turbo. A pochi chilometri da Zuffenhausen La Eberspächer lavora sul compressore a gas di scarico fin dagli Anni 40. Nasce il motore 912/50 biturbo con 850 cv. A metà giugno ’72 la 917/10 debutta nella Can-Am e vince il titolo con sei vittorie su nove gare. Durante l’inverno ’72 si lavora allo sviluppo: cilindrata aumentata a 5,4 litri, nuovi turbo KKK e telaio con passo allungabile: da 230 a 249 cm. La potenza del V12, con 1,3 bar di pressione, è di 1200 tumultuosi cavalli ma è un ‘valore base’. La nuova astronave, la 917/30, è maestosa: è di una larghezza pazzesca, un muso senza occhi, con una piccola bocca. A partire dal piccolo frontale, che scende rapido a terra, lo sguardo si sposta verso la coda e le superfici si allungano più velocemente di come si alzano. Il posteriore sembra un’ala di un Antonov 225, elogio del gigantismo, immensa. E lunga. Porsche domina la stagione ’73 della Ca-Am, piazza quattro 917 nella classifica finale di fine campionato e mina alla base la serie stessa.
FERRARI 512S CODA LUNGA. Il 21 giugno 1969 Enzo Ferrari vende il 50 percento dell’azienda alla FIAT ed è più libero di dedicarsi al vero ideale del Cavallino: le corse. Le regole per il Gruppo 5 del Mondiale Sport obbligano a produrre un’auto in almeno 25 esemplari. Nel gennaio 1970 tutta la produzione della nuova 512 S è parcheggiata in officina per l’ispezione dei commissari FIA con foto rituale. La macchina debutta alla 24 Ore di Daytona (3° posto) e alla 12 Ore di Sebring vince. Corre la stagione in versione barchetta o coupé ma alla 24 Ore di Le Mans è in gara in un terzo allestimento con carrozzeria lunga. Bella, sinuosa, grande, larga, con curve che non finiscono mai. Questa maestosa Ferrari guadagna almeno 5km/h di velocità sui lunghi rettifili della Sarthe. Ma non fa meglio del 4° e 5° posto (ironia della sorte: vince la Porsche 917K, con ‘coda corta’).
FORD P68 1968. Le nuove regole sportive per il Mondiale Sport ’68 fanno strage: i marchi che avessero voluto correre in Gr.6 sono obbligati a scendere a motori tre litri. Per le Gr.4 fino a cinque litri, infatti, servono almeno 50 esemplari. Ford America si ritira e affida a Ford UK la creazione della nuova macchina. Nasce il progetto ‘P68’, ‘Ford 3L’ o ‘Ford 3 Litre’. Il programma coincide con l’ideazione del V8 Ford-Cosworth per la F1. Ford Europe e l’inglese Alan Mann Racing creano una monoscocca in alluminio e acciaio e installano il nuovo otto cilindri. Il designer Len Bailey, che già aveva lavorato alla Ford GT40, si occupa dello stile. Il design esalta il contrasto tra la compattezza del musetto e lo sviluppo del posteriore, una lunga coda che avvolge i passaruota sinuosi e finisce tronca con uno sbalzo esagerato. È una forma fascinosa che chiunque esalterebbe; bellissima tanto quanto grandi i suoi problemi. La P68 è velocissima in prova, stabile e agile così da umiliare gli avversari ma deludente in gara. Alla Mille Chilometri di Spa, ad esempio, parte in pole position mangiando quattro secondi a Jackie Ickx su una GT 40. Ma in gara è un disastro. Non finisce una sola gara. Viene fatto un altro tentativo l’anno dopo con una versione spider aggiornata, la P69. Ma dopo il ritiro alla prima corsa il programma viene bloccato.
All’inizio degli anni ’70 Alpine e Renault celebrarono un matrimonio indissolubile.
Creazione vincente del sodalizio transalpino fu la A442 del 1975, progettata e costruita da Alpine sostenuta finanziariamente dalla
Régie Nationale des Usines Renault che ambiva a vincere la 24 ore di Le Mans con un piccolo V6 da 2 litri, turbocompresso da 500 cavalli in predisposizione endurance.
L’autonomia tecnica e finanziaria di Alpine si dissolse un anno dopo quando Renault acquistò da Jean Rédélé il pacchetto di maggioranza.
Con la crisi energetica del 1973 le Alpine stradali non interessavano più nessuno, Jean Rédélé con tutte le sue forze non trovò alternative, Alpine precipitò in una crisi economica irreversibile.
L’acquisizione di Renault non compromise la conduzione sportiva di Jean Rédélé che si ritirò nel 1978 a condizione che la Renault conservasse il posto di lavoro ai dipendenti Alpine per almeno 15 anni.
Fu proprio nell’anno della quiescenza di Jean Rédélé che Alpine colorata di Régie Nationale des Usines Renault vinse la gara più leggendaria: la 24 ore di Le Mans.
Jean Rédélé incaricò Francois Castaing e Bernard Dudot di creare l’Alpine che avrebbe vinto la 24 Ore di Le Mans basandosi sulla A440 con il vecchio V8 aspirato da 2 litri di Amedeo Gordini.
Il telaio della Renault Alpine A442 era incredibilmente corto rispetto alla lunghezza della coda, finalizzata ad ottenere la velocità massima possibile dal piccolo V6 2 litri turbocompresso sul rettilineo di Mulsanne del Circuit de la Sarthe.
Buona la prima. Alla 1000 km del Mugello del 1975 senza collaudi di durata la nuova A442 vinse con Gerard Larousse e Jean-Pierre Jabouille.
L’anno successivo, la A442 non ebbe fortuna. Le due A442 che partirono dalla prima fila alla 300 km del Nurburgring si schiantarono dopo la partenza.
Il debutto alla 24 ore di Le Mans con una sola A442 per Jabouille, Patrick Tambay e Jose Dolhem fu segnato da un ritiro per problemi meccanici già nella prima metà di gara.
Jean Rédélé ritenta la 24 ore di Le Mans l’anno dopo, nel 1977, con tutto il supporto tecnico e sportivo del team Renault Sport per sfidare Porsche.
Delle tre A442 nessuna vede il traguardo è Porsche domina incontrastata.
Nell’anno dell’addio di Jean Rédélé, Alpine e Renault modificano la A442 in A442/B coda lunga con alettone a sbalzo ed air-scope periscopico.
Didier Pironi con Jean-Pierre Jaussaud la spinge come se pilotasse una monoposto da Formula 1 per resistere alla rincorsa delle due Porsche 936 la A442/B resiste e la coppia vince la 24 ore di Le Mans del 1978 con Pironi affranto per lo sforzo.
La seconda Renault Alpine A442 di Guy Frequelin, Jean Ragnotti, Jose Dolhem e Jean-Pierre Jabouille sfiora il podio, è quarta, mentre la terza vettura di Derek Bell e Jean-Pierre Jarier non ebbe fortuna, si ritirò al 162^ giro.
Porsche era sconfitta.