Colpo di coda: le più belle racecar Anni ’60 e ’70 (1)
Nel 1961 Zagato sega via il posteriore dell’Alfa Romeo Giulietta SZ Coda Tonda e crea la ‘Coda Tronca’. Lo fanno anche la Ferrari 250 GTO (1962), la 250 ‘Breadvan’ e la Maserati 151 (’63). Nella metà della decade la filosofia inizia a cambiare e i posteriori si allungano in senso contrario al moto. Dal ’68 in poi il Mondiale Sport è un trionfo di code lunghe. Ecco una sintesi delle più belle tra il 1966 e il ‘73.
PORSCHE 906 LH CODA LUNGA 1966. Ferdinand Piëch entra in azienda nel ’65 e con il suo gruppo progetta l’erede della 904. Nasce la 906, il primo modello ‘tutto da corsa, non stradale‘, le cui evoluzioni hanno il loro punto più alto nella 917. La ‘Carrera 6’ ha un telaio tubolare con carrozzeria in vetroresina e porte gullwing. Il motore è il boxer due litri della 911 ma in posizione centrale e con mezzo quintale in meno: basamento in magnesio, bielle in titanio e cilindri in alluminio. Ai test per Le Mans del 3 aprile ’66 si presenta una buffa 906 che sembra passata per un acceleratore di particelle: Eugen Kolb del team di designer Porsche l’ha allungata in coda e trasformata in una 906 ‘coda lunga’. Di lì a poco vengono costruiti tre esemplari della 906 LH (o Langheck) che conquistano il 4°, 5° e 6° posto sulla Sarthe. La velocità massima è di oltre 280 orari ma è più instabile di una 906 “coda corta”. Le Langheck corrono ancora a Hockenheim un paio di mesi dopo e conquistano il podio.
MATRA MS630/MS640 1968/’69. Alla metà degli Anni ’60 tra i principali contendenti ai titoli internazionali c’è anche la Matra. Il grande Gruppo francese debutta nell’Automobile nel ’61. Nel ’66 sviluppa la MS620 per il Mondiale Sport. È una piccola e profilata coupé con V8 BRM di F1 su cui lo stesso Presidente De Gaulle ripone speranze per rinforzare l’industria e l’immagine nazionali. Ma non ha il successo sperato e si passa alla successiva MS630 per il ’67, purtroppo ancora deludente. Per la stagione ’68 la MS630 adotta il V12 da tre litri della monoposto di F1. Sulla Sarthe viene schierato un esemplare affidato a Servoz/Gavin/Pescarolo. Nelle foto dell’epoca si può apprezzare il design di carrozzeria, con il musetto ancora più appuntito e, in coda, il cofano motore più lungo che aumenta lo sbalzo e migliora la stabilità. Il motore con iniezione Lucas per 450 cv dichiara oltre 320 km/h. L’MS630 parte male a causa di problemi e retrocede fino al 14esimo posto. Le cose migliorano e ‘si arrampica’ fino alla seconda posizione. Ma in uno degli ultimi pitstop nuovi problemi e un principio d’incendio ne causano il ritiro.
Nel 1969 il marchio ci riprova con una spettacolare evoluzione che promette il volo. La nuova MS640 ha una livrea a forma di goccia, coda lunga e pinne verticali. Henry Pescarolo, in prova, decolla e la distrugge. Viene estratto vivo ma finisce in ospedale in gravi condizioni: corsa finita ancora prima di iniziare. Negli anni recenti vengono costruiti due esemplari grazie al ritrovamento di molti pezzi.
FERRARI 312 PB CODA LUNGA 1973. Secondo molti la Ferrari 312 P del ’69 è una delle più affascinanti di sempre. Il modello del ’71 ha lo stesso nome ma, poiché il motore è tutto nuovo (un V12 piatto) oggi è nota come 312 PB. Questa sorta di F1 a ruote coperte con telaio semi-monoscocca corre la stagione ’71 della Serie Prototipi con bassi e alti (a Buenos Aires perde la vita Ignazio Giunti): il primo buon risultato arriva in aprile a Brands Hatch e la prima vittoria in autunno a Kyalami (non è andata a Le Mans perché giudicata poco affidabile). Nella La stagione ’72 è dominio assoluto: vince tutte le gare. Nel ’73 si presenta in versione restyling con passo più lungo e nuova ala posteriore ma la stagione non è trionfale. Alla Mille Chilometri Monza i vincitori Ickx e Redman trionfano con una versione Coda Lunga con un volume maggiorato in coda. Alla 24 Ore di Le Mans corrono tre esemplari: Merzario-Pace, Ickx-Redman e Shenken-Reutemann. La 312 PB Coda Lunga è una specie di ‘vassoio rosso’: piatta e lunghissima con quel posteriore così particolare rispetto al ‘bauletto’ che è la versione corta. Vince una Matra ma la ‘PB’ numero 16 arriva seconda.
CD SP 66 1967. Nel 1938 Charles Deutsch e René Bonnet formano la Deutsch Bonnet (meglio nota come DB) e producono in partnership con Panhard. Il matrimonio si conclude nel ’61 e nel ‘66 Deutsch inizia il progetto di un’auto da corsa con motore Peugeot 204. Il tecnico di aerodinamica Robert Choulet si occupa dello stile. La carrozzeria ha un coefficiente di soli 0.13 e con un motore di circa 110 cv la velocità massima arriva a quasi 250 km/h. Vengono costruiti tre esemplari con diverse configurazioni di carrozzeria (con e senza pinne verticali e coda lunga ‘sganciabile’) che sono iscritti alla 24 Ore di Le Mans ’66 ma tutti e tre si ritirano. Durante l’anno riescono a ottenere qualche piazzamento. Ci riprovano alla 24 Ore del ’67 ma abbandonano. Oggi l’esemplare con n.53 è esposto al museo di Le Mans, la n. 52 è di proprietà Peugeot.
Non si può dimenticare la configurazione aerodinamica bipinnata della Lotus Mark VIII la prima vettura da competizione con abitacolo chiuso e telaio avvolgente tubolare space frame da 16 kg. progettata da Colin Chapman in collaborazione con gli amici aerodinamici della de Havilland, testata ed ottimizzata in galleria del vento da Frank Costin.
La prima della stirpe, targata SAR 5 con motore MG da 85 cv rialesato a 1500 cc per 521 kg. di peso, fu per lungo tempo la vettura più veloce nella sua categoria ed anche in quelle superiori.
Al Grand Prix di Gran Bretagna a Silverstone nel 1954 con Colin Chapman in persona alla guida, la Mark VIII umiliò niente di meno che la Porsche 550 Spyder ufficiale pilotata da Hans Hermann.
Qui la storia s’intreccia.
Chapman perse uno dei suoi più importanti e facoltosi clienti
oltreoceano che aveva appena ordinato la nuova Lotus Mark X evoluzione bipinnata corta della Mark VIII.
Tal James Dean formatosi da Lee Strasberg nell’Actors Studio che perì proprio alla guida della Porsche 550 Spyder.
Diversa dalle consuete coda tronca o coda di Kamm di cui fu maestro empirico Ercole Spada l’evoluzione concava di Luigi Colani applicata ad una vettura stradale: la Giulietta spider.
Luigi Colani fu l’autore della metamorfosi aerodinamica della Giulietta spider.
Il 1957 fu un anno importante per Lutz Colani, un anno dove mise in atto tutte le conoscenze acquisite quattro anni prima in California presso la Douglas Aircraft.
Prima di tutto Lutz decise di cambiare nome. D’ora in poi si sarebbe chiamato Luigi Colani e per dimostrare quanto valevano le sue intuizioni aerodinamiche prese lei, la vivace ed elegante spider de “La Dolce Vita”, l’Alfa Romeo Giulietta Spider di Orazio Satta Puliga e Rudolf Hruska con il bialbero da 1290 cc per svestirla dal classico stile di Giovanni Battista Farina trasformandola in quella che si sarebbe chiamata per sempre, Colani Alfa Romeo.
Giulietta, la spider della rinascita italiana e Luigi Colani non erano i soli protagonisti dell’impresa. Per realizzare il suo sogno, Luigi Colani da Berlino si accompagnò al viennese Karl Albert Abarth, diventato Carlo a Torino.
Un ménage à trois quello di Luigi Colani, Giulietta e Carlo Abarth, ispirato da una passione ossessiva per l’aerodinamica, allora scienza imperfetta.
Intuizioni, fili di lana e tanto, tanto empirismo.
Biodynamic, così venne chiamata la reinterpretazione di Colani delle forme fluide della natura in aerodinamica. Una svolta stilistica che accompagnerà tutta la lunga, quasi interminabile esistenza di Luigi Colani.
Aerodinamica è raggiungere la maggior velocità possibile in rettifilo e percorrere le curve oltre l’aderenza meccanica creando deportanza. Quell’equilibrio che cercano tutti i piloti per vincere, il bilanciamento tra lift e drag.
Carlo e Luigi sanno come trattare Giulietta. Prolungano a punta oltremisura la presa d’aria anteriore allungando il cofano facendolo precipitare a spiovente verso il basso e praticano la sagomatura a doppia bolla sul tetto. Un artifizio per ridurre l’altezza dell’abitacolo, diminuire la sezione frontale ed alloggiare la sommità della testa degli occupanti.
Ampio, spazioso e luminoso il lunotto curvo che da forma al posteriore che si conclude con un’innovazione di Colani, oltre la coda tronca di Wunibald Kamm, firma delle TZ di Ercole Spada. Luigi Colani incurva la coda all’interno per richiamare dal fondo scocca i flussi d’aria. Un’intuizione geniale ed innovativa.
Una Giulietta quella di Luigi Colani e di Carlo Abarth decisamente prorompente, una forma distinguibile da lontano e da seguire da vicino, sintesi di convinzioni aerodinamiche sperimentali, ma anche mai sperimentate.
I battilastra sagomarono il foglio di alluminio in quelle forme morbide, protese a punta, contenendo il peso in 780 kg che uniti ai 110 CV del bialbero da 1290 cc diedero prova di prestazioni memorabili.
La Giulietta rivestita da Luigi Colani raggiunse i 210 km/h. Fu all’Inferno Verde che la Giulietta Colani divenne una leggendaria Alfa Romeo.
La prima vettura gran turismo ad infrangere il record dei 10 minuti al Nürburgring.
Luigi Colani aveva visto giusto. Insieme a Carlo Abarth creò dalla Giulietta spider una piccola innovativa coupé airflow che divenne una delle Abarth più rare mai costruite, utilizzabile su strada.
Così fu che, proprio da quella Giulietta, Luigi Colani creatore di forme fluide e del Biodynamic design si affermò in ogni campo fino a diventare uno dei più influenti industrial designer a cavallo dei due secoli.