Classic Team Lotus: fabbrica di storie
STORIE D’ALTRI TEMPI. Cosa non avrebbe fatto, Colin Chapman, pur di veder correre più veloci le sue amate Lotus. Non è una leggenda metropolitana che una volta, al povero Frank Costin, ingegnere-guru dell’aerodinamica, durante un collaudo a tutta velocità toccò di sporgersi in avanti e rimanere aggrappato al cofano di una Mark VIII per vedere se i fili di lana con cui era stata tappezzata rimanessero aderenti alla carrozzeria. A qualche centinaia di metri dalla storica fabbrica di Hethel, di storie incredibili come questa si perde il conto, tra le mura del piccolo edificio che ospita il Classic Team Lotus.
QUI SI SENTE VIVERE LA LEGGENDA. Su e giù per due piani pieni zeppi di auto che, di solito, si vedono solo in fotografia, si cammina facendo attenzione a dove si mettono i piedi. Di fatto la sensazione è quella di trovarsi in un museo dell’auto vecchio stile, di quelli con le macchine affastellate un po’ così, senza un ordine preciso. Un motivo c’è: gli spazi del Classic Team Lotus sono “vivi” e in perenne movimento, animati da storie di grandi uomini e grandi macchine. Storie tenute vive con i racconti di Chris Dinnage, uomo Lotus d’altri tempi, ex capo meccanico di tanti piloti, da Elio De Angelis a Nigel Mansell ad Ayrton Senna e oggi responsabile delle attività del Classic Team Lotus; ma anche con i vecchi attrezzi del mestiere: chiavi, martelli, pinze, cacciaviti, insomma tutto quello che può servire per mantenere in perfetta efficienza le auto storiche con cui la Lotus periodicamente partecipa ai più importanti eventi dinamici del settore, dal Goodwood Festival of Speed al Gran Premio storico di Monaco, solo per citarne un paio tra i più famosi.
UNA PASSIONE SENZA FINE. Tra chiazze d’olio e bordi di alettoni che sporgono un po’ ovunque, per un appassionato è la realizzazione di un sogno “inciampare” in macchine che hanno contribuito a scrivere alcune delle pagine più straordinarie e romantiche dello sport automobilistico. La Lotus le ha conservate o riportate a casa praticamente tutte, a partire, naturalmente, dalle monoposto dei tredici campionati di Formula 1, tra piloti e costruttori, conquistati a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Di Lotus 72 ne esistono solo tre al mondo ed è un’emozione enorme sfiorare con le dita quella con cui Emerson Fittipaldi si laureò campione del mondo nel 1972: l’anno seguente l’auto andò distrutta in un incidente, ma tre anni fa i ragazzi del Classic Team Lotus l’hanno rimessa a posto dal primo all’ultimo bullone. Altro monumento su ruote è la Lotus 79 con cui Andretti vinse il campionato nel 1978. La livrea dorata John Player Special è dipinta a mano e il vassoio della grande ala posteriore è tappezzato di adesivi che ricordano tutte le vittorie e i podi messi a segno in quell’incredibile annata: una specie di rito che, al termine di ogni gara, veniva celebrato da Colin Chapman in persona.
IL GENIO FATTO AUTOMOBILE. Ci sarebbe davvero da scrivere un libro per ogni vettura che, con le sue innovazioni, ha cambiato per sempre il mondo delle corse, stabilendo primati che alla maggior parte dei costruttori rivali sembravano impossibili. Non è certamente un’auto da corsa come tutte le altre la Lotus 56 B che, con Fittipaldi al volante, assaggiò l’asfalto di Monza nel 1971: non ebbe per nulla fortuna, ma il suo motore a turbina alimentato a kerosene, abbinato alla trazione integrale, rimane un unicum nella storia della Formula 1. Un capolavoro assoluto è anche la Lotus 32 B che Chapman ricavò dalla 32 con cui Jim Clark vinse il campionato di Formula 2 nel 1964: unica al mondo, con una visionaria struttura monoscocca e un potente motore Climax da 2,5 litri permise al pilota scozzese di trionfare nella Tasman Series neozelandese del 1965. Sempre a proposito di auto geniali, come non citare la Lotus 88? All’alba degli anni ’80, in piena “febbre da effetto suolo”, per rimanere incollata all’asfalto sfruttava una struttura composta da due telai sovrapposti: quello interno, nel quale è ricavato il posto di guida, è foderato da una scocca in grado, muovendosi su e giù, di aumentare il carico aerodinamico. Ritenuta irregolare dai team rivali, nel 1981 con grande rabbia da parte di Chapman fu bandita dalla Fisa senza poter mai dimostrare il suo valore sul campo.
RICORDANDO AYRTON. Tra le tante star dei circuiti, ecco spuntarne una che nel 2013 si è fatta conoscere anche sul grande schermo: è la Lotus 77 di Mario Andretti utilizzata nelle battute finali di Rush, il film diretto da Ron Howard che ricostruisce il duello tra Niki Lauda e James Hunt nella stagione 1976 di Formula 1. Sotto un diluvio di proporzioni bibliche, nell’ultima gara dell’anno, sul circuito del Fuji, in Giappone, fu Andretti a tagliare per primo il traguardo, mentre a Hunt, con Niki Lauda ritiratosi e quindi fuori dalla zona punti, bastò un terzo posto per conquistare il suo primo e unico titolo mondiale. La rassegna delle auto prosegue e ogni volta è sempre un tuffo al cuore, ma il momento più toccante è racchiuso in una pila di gomme Good Year indurite dal tempo: sono quelle della Lotus 97T con cui il 21 aprile 1985, nel Gran Premio del Portogallo, Ayrton Senna vinse sotto la pioggia la sua prima gara in Formula 1. Al campione brasiliano va il ricordo commosso di Dinnage: “Senna non era solo il più veloce, perché sul giro secco un pilota come Mansell, con la sua aggressività, poteva ottenere lo stesso tempo. Ayrton era prima di tutto molto intelligente: impiegando solo il 60-70% delle energie mentali usate dagli altri piloti riusciva a stargli davanti. Per questo è stato il più grande”.