NON TROPPO NOTO. Se uno ti chiede qual è stato il costruttore di supercar più sognate della storia devi stare attento a cosa rispondi. Perché se gli dici Ferrari può sempre controbattere – sì, ma Lamborghini… e perché non Porsche o Maserati allora? Tu digli George Barris. Così, a bruciapelo. E goditi la reazione. Se tutto va bene farà quella smorfia del non-so-cosa-stai-dicendo-ma-non-ti-darò-mai-la-soddisfazione-di-ammetterlo. Adesso decidi tu, puoi lasciarlo rosolare un po’ nella sua ignoranza o dargli quel secondo di tregua per guardare di straforo sul telefono o partire in contropiede con un: ma secondo te è più bella la Batmobile o Supercar? Ecco, hai calato gli assi.
COME DIVENNE IL RE. Già, perché Barris è il papà dei mostri sacri della generazione che le auto non le sognava più guardando il Granpremio la domenica pomeriggio, ma tutti i giorni della settimana, vedendole nei telefilm. Barris aveva un segreto, però, aveva capito cosa serviva a un’auto per essere super. Facile, gliel’aveva detto Batman. Ma partiamo dall’inizio. Siamo a Hollywood e un giorno il produttore della serie TV di Batman, appunto, mette dentro la testa in questo garage alle porte degli Studios e fa: “George, ho bisogno di una macchina per il protagonista del mio prossimo telefilm. Dev’essere un’auto all’altezza di un supereroe…”. Barris non si spaventa, lui la macchina giusta ce l’ha già in mente, l’ha vista a un salone dell’auto dieci anni prima. La Lincoln Futura carrozzata Ghia. Basta aggiungere un po’ di vernice nera, dei filetti arancioni e soprattutto gli effetti speciali. Perché per Barris le supercar si misurano in wow: ecco allora lanciarazzi, reattore posteriore, lampeggianti da luna park e pure il telefono, con cornetta rossa a pipistrello. Siamo nel 1966 e i wow si sprecano.
DA JAMES DEAN AL GENERAL LEE. Sono gli anni della gioventù bruciata, degli attori piloti, di James Dean. “Jimmy era un amico, la scritta Little Bastard su quella maledetta Porsche gliel’ho fatta io…”. Ma il successo della Batmobile dimostra che Barris sa come si fanno le dream car. E così, il suo garage diventa una fabbrica dei sogni. Vent’anni dopo non c’era ragazzino al mondo che non preferisse la Generale Lee di Hazzard a qualsiasi Ferrari in circolazione… La potenza della fantasia non si misura in cavalli. “C’era un problema con quella Charger, era una macchina che doveva continuare a saltare… Bisognava rinforzare il telaio. E allora mi sono detto, saldiamo le portiere”. E s’inventa quell’entrata che tutti hanno provato a fare anche sulla Uno della mamma. Poi arriva Supercar con KITT, la macchina che parla. Nera, con quell’occhio che scruta la strada. Che visto oggi non si capisce se era un visionario Barris o dei fanatici del telefilm quelli che in Silicon Valley hanno pensato alla guida autonoma. Per non parlare della prima auto ecologica della storia delle quattro ruote, una roba che sembra pensata per le domeniche a piedi. Quella dei Flintstones. Sua anche questa.
Chi riesce a far sognare con le auto, di solito, è un pozzo di trovate. Quelle di George Barris erano esagerate, all’americana. Non pensò mai di produrre supercar di produzione, ma fece sognare generazioni di appassionati cresciuti a suon di effetti speciali e telefilm