Buon compleanno Lamborghini
UN SOGNO DIVENTATO REALTÀ. Oggi è un grande giorno, per la Lamborghini. Il 7 maggio del 1963, esattamente sessant’anni fa, Ferruccio poggiava la prima pietra del castello di sogni che nella sua mente esisteva da tempo. Una fortezza volutamente inaccessibile ai non sognatori che il creatore della “casa del toro” costruì con passione, perseveranza e coraggio da una costola dell’impero dei trattori che aveva fondato una quindicina d’anni prima a Cento, a due passi dalla frazione di Renazzo, dov’era nato nel 1916 da una famiglia di lavoratori della terra. Tra i mille modi per celebrare questa ricorrenza ne esiste uno che suggerisce una riflessione, o meglio una considerazione: quanta strada ha percorso, in un tempo tutto sommato breve, la fabbrica di Sant’Agata Bolognese. E quanto ha saputo affrontare a muso duro, nonostante i grandi stravolgimenti che periodicamente hanno destabilizzato i suoi sottili equilibri di costruttore di auto diverse da tutte le altre, i periodi meno luminosi, tenendo lo sguardo sempre proiettato verso orizzonti lontani.
DA SEMPRE AGGRAPPATA ALLE SUE RADICI. Oggi la Lamborghini è una sessantenne scintillante, con la sua bella fabbrica circondata da aiuole verdi, i reparti tirati a lucido in cui tecnici e operai operano come chirurghi, in un contesto altamente tecnologico nel quale ogni singolo passaggio in catena di montaggio è un piccolo step verso il raggiungimento di un’eccellenza necessaria per rimanere tra i big delle auto da sogno. Ma di questa fabbrica dei sogni unica al mondo, la cosa realmente sorprendente è un’altra, e cioè il come sia riuscita, pur venendo accolta sotto l’ala di giganti dell’auto sempre più grandi e potenti, dalla Chrysler al gruppo Volkswagen di cui fa parte oggi, a non perdere mai il contatto con le sue radici più profonde. Se oggi una Lamborghini sa di Lamborghini, insomma, se la sua guida rude e travolgente, se la potenza delle sue forme così audaci, sono rimaste quelle di un tempo, è perché in chi lavora in Lamborghini, il mito del passato continua ad ardere e a essere alimentato costantemente, senza sosta.
UNA GRANDE FAMIGLIA. Oggi che le Urus escono dai cancelli di Sant’Agata al ritmo di migliaia ogni anno, nessuno tra le mura di quella fabbrica si sognerebbe di dimenticare com’era dura agli inizi, negli anni ’60, quando lì dentro, tra quelle stesse mura, senza guardare l’orologio, ci si rimboccava tutti le maniche e delle notti trascorse in officina si perdeva presto il conto. Chiedere conferma a Valentino Balboni, il collaudatore dei collaudatori della Lamborghini, che in azienda, nel 1968, era entrato coi gradi di apprendista meccanico, folgorato dalla bellezza accecante della Miura, un’auto che di lì a poco avrebbe imparato a conoscere come le sue tasche. Pare che costruirla fosse una vera impresa, perché quelle lamiere così favolosamente modellate dal genio di Marcello Gandini, celavano una meccanica nobile e sofisticata come poche altre.
IL RITO DELLA CONSEGNA DELLA MIURA. Quando c’erano da fare gli straordinari, nel cuore della notte spesso era Ferruccio stesso a spronare i suoi ragazzi, confortandoli nello spirito, ma anche nel palato. Un panino, quasi sicuramente con la mortadella, un must da quelle parti, e qualcosa da bere per tirare il fiato e riprendere da dove ci si era fermati con rinnovato entusiasmo. Finché le macchine, ultimata la finizione, finalmente potevano lasciare il reparto per essere consegnate al cliente. Pare che quello fosse un momento ieratico, per Ferruccio, che raccoglieva a sé i suoi, non appena il fortunato proprietario del suo ultimo bolide si era calato al posto di guida e aveva chiuso dietro di sé lo sportello. No, non bastava sentire accendersi il motore, per tirare un sospiro di sollievo: si stava tutti lì, a guardare allontanarsi quella Miura fiammante, fino a vederla scomparire all’orizzonte. Prima, seconda, terza, quarta, quinta. Ingranata l’ultima marcia, si era certi che tutto avrebbe funzionato bene. E Ferruccio – non c’è dubbio che chiunque l’abbia conosciuto da vicino è pronto a scommetterlo – dentro di sé doveva pensare che così sarebbe stato per sempre…