Bimotore. Uno davanti più uno dietro fa 4×4
LANCIA TREVI BIMOTORE (1984). La stagione ’83 del Campionato Mondiale Rally è improntata al dualismo: la trazione posteriore (Lancia 037, Opel Ascona e Manta, Nissan-Datsun 240 e Toyota Celica) è il male; la nuova trazione integrale (dell’Audi Quattro) è il bene supremo. Hannu Mikkola vince il titolo Piloti con l’Audi, ma la Lancia 037 porta a casa l’alloro per i costruttori. Ma la situazione è chiara: le quattro ruote motrici sono il futuro. Nell’inverno del 1983 il reparto sperimentale del Gruppo Fiat comincia subito i test di un progetto messo su in un mese. Il merito è da ascrivere a Giorgio Pianta, pilota-collaudatore di grande esperienza e sensibilità. Questi lavora su una Lancia Trevi Volumex (con compressore volumetrico) da 130 cavalli. Al retrotreno viene aggiunto, ruotato di 180 gradi, un secondo motore incastonato in un telaio di rinforzo. Vengono poi saldate le porte posteriori: a metà fiancata e sui deflettori posteriori vengono create aperture che vanno verso il motore centrale-posteriore. La Trevi Bimotore ha un unico pedale della frizione (e un’unica leva per gestire le due trasmissioni). Naturalmente sulla caratteristica plancia ci sono due pulsanti di accensione, due contagiri e un sistema che gestisce l’erogazione. Si può, così, variare la potenza al retrotreno. Va da sé che la singolare Trevi a otto cilindri si trova a gestire un layout del peso problematico, con la massa del motore al retrotreno. L’obbiettivo finale non è quindi volare tra fango e sterrato alla ricerca delle prestazioni. La Trevi Bimotore è ‘un piombo’ su quattro ruote: serve solo come auto-laboratorio per test dinamici e prove con gomme Pirelli speciali. Da questo bozzolo primordiale sboccerà la magnifica Delta S4.
MERCEDES A 190 TWIN STUDY / A 38 AMG (1998). La Mercedes Classe A entra in produzione nel ’97, ma gli inizi non sono semplici a causa dei noti problemi con il test dell’alce. Risolto il guaio e iniziato il ciclo di vita, si profila l’ampliamento della gamma anche a versioni super-veloci. Nel 1998 parte l’iniziativa per una Classe A super sportiva. Il meglio disponibile è la A190, ma l’architettura della macchina non consente libertà. Allora si opta per un’operazione di raddoppio: al quattro cilindri sistemato obliquamente verso l’abitacolo se ne aggiunge un altro in posizione posteriore: sotto il pianale, sul modello della Smart ForTwo. Nasce la A 190 Twin Study: il motore anteriore guida le ruote davanti, il posteriore quelle dietro. I due motori non hanno collegamenti meccanici, anzi: di norma funziona solo il propulsore anteriore; però con un pulsante si aziona quello posteriore. La potenza di ognuno è di 125 cv con 180 Nm. Complessivamente forniscono 250 cv e 360 Nm, buoni per 230 km/h e 0-100 in 5″9.
CITROEN 2 CV SAHARA (1960). Nel 1954 un tale Bonnafous di Savoy trasforma la sua 2 CV in una versione molto speciale: con l’aggiunta di un motore posteriore all’unità anteriore da 375 cc già presente ottiene una 2 CV bimotore e, soprattutto, trazione integrale. L’anno successivo riesce ad omologarla e a ottenere le targhe per la normale circolazione. Bonnafous percorre con lei 100mila km, durante i quali monta due nuovi motori da 425 cc ma, soprattutto, la macchina viene notata in zona. La voce arriva a un concessionario locale Citroën e da qui fino ai vertici della Casa Madre, che rimangono molto incuriositi. Viene organizzato un incontro ufficiale con Bonnafous, durante il quale gli emissari dell’azienda fanno una prima valutazione del veicolo e trovano interessante l’opportunità di produrla in serie con destinazione soprattutto il Nord Africa per attività di supporto militare. Nel marzo del ’58 viene presentato il primo prototipo. Desta un certo interesse ma rimangono aperte alcune questioni importanti come, ad esempio, il problema di surriscaldamento del motore posteriore. Citroën presenta un secondo prototipo a una fiera parigina il successivo novembre e un terzo nell’estate del ’59 accompagnato con una dimostrazione pratica. Nell’autunno ’59 ecco un prototipo semi-definitivo e, finalmente, nel dicembre 1960 la 2CV Sahara (la denominazione viene coniata proprio in quest’occasione) entra in produzione. Negli anni successivi riceve diverse denominazioni (fino a quella definitiva di 2Cv 4×4) oltre a uno spostamento del suo sito di produzione in Spagna. Il suo ciclo di vita si conclude nel ’65 dopo quasi 700 esemplari costruiti.
MTM BIMOTO 2007. Roland Mayer non è uno sconosciuto (almeno negli ambienti motoristici). Nel ruolo di ingegnere all’Audi ha avuto una parte molto importante nello sviluppo del cinque cilindri turbo della Quattro per il Gruppo B. Uscito dall’azienda, Mayer ha fondato la MTM (Motoren Technik Mayer) e fin dagli Anni ’90 si è dedicato al tuning di auto del Gruppo. Ma nel 2002 Mayer sente l’esigenza di creare qualcosa di grande e speciale che spinga la percezione dell’oggetto automobile verso limiti inesplorati. Nasce il progetto Bimoto. Nella scocca di un’Audi TT vengono installati due quattro cilindri 1.8 turbo con cambio a sei marce ciascuno: uno anteriore, il secondo sull’asse posteriore. I due motori non hanno parti in comune; quando vai a fare la spesa con la Bimoto si fa così: ti cali in abitacolo, accendi il primo motore, accendi il secondo, premi la pesantissima frizione, metti in prima e via. L’Audi TT bimotore ottenuta è un jet da guerra con 370 cv (ma si possono superare i 500) e una raffinatezza tecnologica non da poco visto che il funzionamento dei due motori deve convergere verso una gestione armonica. La macchina diventa subito famosa, presentata e raccontata in tutte le riviste del mondo. Si parla di lei anche nella prima edizione del programma TopGear con Jeremy Clarkson. Nel 2007 MTM matura l’intenzione di dare un senso a un’Audi di questo livello: raggiungere 400 km/h. Il magazine tedesco Auto Motor und Sport organizza una sessione sull’anello di Nardò: oltre alla Bimoto, nel frattempo ulteriormente sviluppata fino a 1000 cavalli, anche altre supercar più o meno in allestimento di serie. La TT atomica non raggiunge 400 km/h ma le strapazza tutte (Sportec 997, Edo Competition Murcielago…) con una punta di 390 km/h.
MINI TWINI. Il tentativo di aggiungere un secondo motore nel corpo vettura già abbastanza compatto della Mini di Issigonic è stato messo in pratica almeno due volte. Nel ’65 per cercare di risolvere almeno una parte dei problemi della Mini Moke (scarsa altezza da terra e trazione anteriore) oltreché sondare la possibilità di darle un futuro in ambito militare, viene allestito un prototipo con un motore aggiuntivo in coda, alloggiato nel piccolo baule. La Mini Moke bimotore con guida a destra ha due leve del cambio; però queste si azionano utilizzando un unico pedale della frizione e un solo acceleratore. La velocità massima era di 75 miglia orarie, pari a 120 km/h. Si racconta che John Cooper, deus ex machina della Cooper Car Company, durante una visita alla BMC l’avesse provata e ne fosse rimasto così entusiasta da lanciare subito un progetto per la costruzione di una Mini bimotore sportiva. In sole sei settimane Cooper allestisce un prototipo marciante: una piccola bomba, una Mini Cooper bimotore con 180 cavalli e, soprattutto, trazione integrale. I punti chiave sono i rinforzi alla scocca nella zona sotto le porte e in coda per sostenere il secondo motore. Dal punto di vista dinamico, se i motori erano messi a punto la macchina era perfetta. Viceversa se funzionava un solo motore diventava fortemente sovrasterzante e imprevedibile. Questa disomogeneità di funzionamento, sempre in agguato è forse la causa di un pauroso incidente in cui rimane vittima John Cooper e che lo costringe a un lungo ricovero. Ce n’è abbastanza per cancellare il programma Mini Twini. Un vero peccato perché la macchina ha un potenziale nei rally gigantesco. Molti anni prima che nasca l’Audi Quattro.
be che dire auto fantastiche ,anche se alcune mai passate alla produzione pero vi siete dimenticatoi dei esempi ,cha hanno realizzato una lupo da al anteriore DOP Motorsport che ha piazzato sotto il cofano anteriore il motore 2.0 TSI di una Golf R, portato alla stratosferica potenza di 900 CV e al posteriore ,secondo propulsore 2.0 TSI, come il primo accoppiato ad un cambio DSG, ma collegato alle ruote posteriori. I due motori agiscono quindi in maniera indipenmdente sui due assali, con trasmissioni separate e portano la potanza totale a quota 1.800 CV, con tanto di trazione integrale.Nonostante le difficoltà in partenza e gli slittamenti sull’asfalto, il miglior tempo nell’accelerazione sul quarto di miglio (402 metri) è di 9,22 secondi, con una velocità d’uscita di 259 km/h. A titolo di cronaca ricordiamo che l’attuale tempo record di accelerazione sui quattrocento metri, categoria “Top Fuel Dragster” è di 4,44 secondi. o della golf che debutto nel 1987 Volkswagen Golf Twin Engine La prima versione era dotata di due motori 1.8 16V preparati da Oettinger, ma essendo degli aspirati la loro potenza calava progressivamente man mano che ci si avvicinava alla vetta del Pikes Peak a quota 4.300 metri. Il terzo posto fu comunque un risultato incoraggiante. L’anno successivo, nel 1986, furono installati due motori turbo 1.3 litri da 250 CV provenienti dalla Polo, ma la loro potenza si rivelò ancora insufficiente e la Golf Twin Engine arrivò quarta.Il terzo posto fu comunque un risultato incoraggiante. L’anno successivo, nel 1986, furono installati due motori turbo 1.3 litri da 250 CV provenienti dalla Polo, ma la loro potenza si rivelò ancora insufficiente e la Golf Twin Engine arrivò quarta.Nel 1987 si decise allora di osare il tutto per tutto adottando due motori prelevati dalla Golf GTI II, due 1.8 turbo 16V che furono dotati di due turbine KKK con pressione a 1.6 bar ciascuno della potenza massima di 326 CV e 292 Nm di coppia, per una potenza complessiva di circa 650 CV. Il cambio, anzi “i” cambi, erano degli Hewland utilizzati in Formula 2. Inoltre vi era la possibilità di utilizzare il solo motore anteriore, quello posteriore, oppure i due insieme, grazie ai quali accelerava da 0 a 100 km/h in soli 3,4 secondi. La velocità massima era di 184 km/h.
La vettura fu stravolta anche nella parte telaistica, adottando una scocca in kevlar, sospensioni da monoposto e un serbatoio da appena 34 litri per contenere il peso in appena 1.050 kg. I due motori inoltre non erano connessi meccanicamente, ma un chip si occupava di mantenerli allo stesso regime. Non sempre tutto andava bene, quindi il team tagliò una decina di cavalli dall’unità posteriore per permettere alla Golf TwinEngine di… rigare dritto.Nell’edizione 1987 all’inizio tutto sembrò andare per il meglio: nelle prove Kleint aveva ottenuto il quarto crono utilizzando un solo motore ed a metà della gara viaggiava con il miglior tempo. Mentre sembrava vicina la vittoria inseguita da due anni, la Golf bimotore di Kleint dovette ritirarsi per la rottura di un giunto della sospensione, ad appena tre curve dal traguardo delle 156 che conducono alla vetta del Pikes Peak.o della Alfa Romeo 16C Bimotore Modificando un telaio della vecchia Alfa Romeo P3, vennero posizionati due motori a 8 cilindri da 3.165 cm³ ognuno, uno davanti ed uno dietro al pilota, accoppiati con un lungo albero, gestito da un unico cambio ed un’unica frizione. Il moto è trasmesso alle ruote posteriori, mediante coppie coniche, da due alberi laterali.Un primo esemplare fu approntato per il collaudo, effettuato sul tratto autostradale Brescia-Bergamo il 10 aprile 1935 da Attilio Marinoni e Tazio Nuvolari che superò velocità di 280 km/h, dichiarando alla stampa d’essere fiducioso di poter raggiungere i 340 km/h con poche modifiche. Tuttavia, la difficoltà di trasmissione dell’elevata potenza erogata ed il precario equilibrio di ripartizione sulle ruote, furono immediatamente rilevati dal collaudatore e riferiti allo staff tecnico.
Non c’era il tempo necessario per trovare e sperimentare soluzioni radicali e così si procedette a dotare il secondo esemplare in costruzione con motori di cilindrata aumentata a 3.165 cm³, per una potenza complessiva di 540 CV, nel tentativo di ottenere maggiore elasticità di erogazione.
Il 12 maggio 1935 le due “Bimotore” vennero schierate al Gran Premio di Tripoli, sul circuito della Mellaha, affidate a Nuvolari e Luis Chiron che giunsero, rispettivamente, quarto e quinto, con distacchi rilevanti dalle Mercedes-Benz W25 di Caracciola e di Fagioli e dall’Auto Union Type B di Varzi. I principali problemi di guida consistevano nell’incertezza in uscita dalle curve a causa della difficoltà di dosare la potenza, una forte instabilità sui rettilinei che non consentiva di sfruttare pienamente l’esuberanza dei motori ed un mostruoso consumo di pneumatici. Durante la gara, Nuvolari fu costretto a sostituire gli pneumatici posteriori per 8 volte.Dopo alcune modifiche per migliorare l’assetto, il 26 maggio 1935 le due vetture, con alla guida Nuvolari e Chiron, vennero schierate al “5º Internationales Avusrennen” di Berlino. Ma i problemi non erano risolti e, nonostante la lunghezza dei rettilinei dell’AVUS, fu la Mercedes W25B di Fagioli a tagliare per prima il traguardo, seguita dalla “Bimotore” di Chiron, con un distacco di un minuto primo e trentacinque secondi. Nuvolari dovette ritirarsi.
Fu proprio il pilota mantovano a chiudere ogni speranza di sviluppo, dicendo a Ferrari e Bazzi che la “Bimotore” non era vettura da poter competere in circuito e pretendendo di tornare alla vecchia ed obsoleta “P3”, in attesa di tempi (ed auto) migliori. Si dimostrò buon profeta, rendendosi protagonista della vittoria al “VIII Grosser Preis von Deutschland” del 28 luglio 1935, fra le più famose dell’automobilismo sportivo, battendo le più quotate vetture tedesche.Il progetto “Bimotore”, tuttavia, non poteva essere accantonato senza aver ottenuto qualche risultato di pregio e si decise di impiegare uno dei prototipi per attaccare i record di velocità sulle basi del chilometro e del miglio lanciati.
Sull’autostrada Firenze-Mare, il 15 giugno 1935, Nuvolari conquistò i record europei alle velocità di 321,428 km/h sul chilometro lanciato e di 323,125 km/h sul miglio lanciato, raggiungendo la punta massima di 364 km/h, nonostante durante le prove il pilota, il celebre Tazio Nuvolari avesse rischiato per due volte di schiantarsi per via del forte vento e dell’instabilità della vettura. Conseguito il consolatorio obiettivo, la “Bimotore” venne definitivamente accantonata, per dedicare ogni energia al progetto ed alla realizzazione della futura “Alfetta”.Dei due esemplari costruiti, uno fu venduto a una coppia di piloti inglesi e l’altro, non trovando compratori, fu demolito.
L’esemplare superstite, dopo varie vicissitudini e trasformazioni, fu ritrovato in Nuova Zelanda e restaurato negli anni ’90 da un collezionista inglese. Precedentemente, negli anni ’70, l’Alfa Romeo realizzò una replica della “16C Bimotore”, costruita sulla base dei disegni originali. La replica, voluta da Giuseppe Luraghi per fini principalmente espositivi nel Museo storico Alfa Romeo, è caratterizzata da una “carrozzeria didattica”, con parti trasparenti laterali, in corrispondenza dei due propulsori.La differenza più significativa tra le due vetture, però, consiste nel diverso marchio di fabbrica posto sulla calandra. La vettura replicata reca il marchio Alfa Romeo vigente all’epoca, mentre la vettura originale si fregia del classico scudetto con cavallino rampante in campo giallo della Scuderia Ferrari.
Enzo Ferrari, infatti, sentiva quelle due vetture come di sua costruzione, dato che le aveva ideate e realizzate in sostanziale autonomia, all’interno della sua officina modenese. Decise quindi di far scendere le vetture in pista con il marchio della sua scuderia in sostituzione di quello Alfa Romeo. Inizialmente la cosa non sollevò contestazioni, anche visti gli scarsi risultati in gara, ma quando la vettura conquistò il record di velocità, le foto di Tazio Nuvolari a bordo della “16C Bimotore” con marchio Ferrari furono pubblicate dalla stampa internazionale, causando una forte protesta della direzione Alfa Romeo che sfociò in un furibondo litigio con Enzo Ferrari.
Il particolare riveste una certa importanza storica, dato che si tratta della prima comparsa del simbolo Ferrari quale marchio automobilistico e non come insegna di scuderia sportiva. o della maserati mai nata o Successivamente c’è stata l’artigianale Alfa Romeo Alfasud TI Bimotore Wainer, la sperimentale Lancia Trevi Bimotore Volumex, alcune vetture da corsa per la Pikes Peak come la Suzuki Cultus Twin Engine e altro ancora
ecco la descrizione della maserati bimotore:
Montare due motori sulla stessa auto? L’idea non è nuova e neppure così rara, come dimostrano le molte auto ibride oggi a listino, ma pensare di montare due 4 cilindri al posto del V8 Maserati è tutt’altra cosa! Prima di analizzare questa curiosa proposta vogliamo però ripercorrere brevemente la storia dell’auto bimotore, il cui più famoso esempio resta l’Alfa Romeo 16C Bimotore del 1935, quella ideata da Enzo Ferrari e che Nuvolari portò alla conquista dei record di velocità di classe sul chillometro e sul miglio lanciato (321,428 e 323,125 km/h). Da ricordare è poi la Citroen 2CV Sahara, dotata come l’Alfa di motore anteriore e motore posteriore, ma solo per avere le quattro ruote motrici. Successivamente c’è stata l’artigianale Alfa Romeo Alfasud TI Bimotore Wainer, la sperimentale Lancia Trevi Bimotore Volumex, alcune vetture da corsa per la Pikes Peak come la Suzuki Cultus Twin Engine, per arrivare fino alla più recente Bimoto del tuner tedesco MTM. Nei casi citati il propulsore aggiuntivo viene posizionato al posteriore per dare più potenza o trazione alla vettura, ma per la Maserati GranTurismo Bimotore di cui vi abbiamo accennato all’inizio l’idea è quella di ridurre consumi ed emissioni, oltre che i costi produttivi, mantendo livelli di potenza pari o superiori. Per approfondire l’argomento abbiamo intervistato in esclusiva l’ideatore di questa insolita architettura, l’ing. Mauro Palitto (ex Direttore Fiat Auto), che nel 2009 l’ha proposta senza successo alla Casa del Tridente.
Mauro Palitto: “Bisogna premettere che nel 2009 il Gruppo Fiat stava autonomamente valutando l’ipotesi di un’architettura bimotore, ma il progetto si era arenato per problemi di investimenti e riprogettazione delle teste motore. La mia proposta a Maserati intendeva superare questa “empasse” con la soluzione di due unità a teste separate montate una di fianco all’altra e in senso inverso. In pratica l’idea è quella di prendere il V8 di 4.2 o 4.7 litri ospitato sotto il cofano della Maserati GranTurismo e sostituirlo con due motori a 4 cilindri, entrambi montati all’anteriore. Per meglio capirne la struttura occorre osservare il semplice schema allegato, dove vediamo che il motore “principale” (1) e quello con funzione di “booster” (2) sono montati affiancati con assi paralleli (verticalmente o con V stretto) e possono anche essere traslati longitudinalmente tra loro, in funzione delle esigenze di layout. Per avere i collettori di aspirazione nella parte interna del vano tra i due motori e gli scarichi all’esterno, senza richiedere modifiche ad una delle teste, i due motori sono montati in senso inverso e collegati tra loro attraverso due scatole di ingranaggi (7-8) ed un albero di trasmissione (9). I motori affiancati possono poi essere collegati tra loro tramite una coppa olio unica, fusa in lega leggera, con funzione strutturale portante. La struttura del motopropulsore è poi ulteriormente irrigidita con varie saette che vincolano tra loro la parte più alta dei due basamenti, utilizzando attacchi esistenti. Gli accessori, che sono limitati al compressore clima, al motoalternatore e alla cinghia di trascinament (11-12-13), possono essere montati sugli attacchi previsti, o concentrati su uno dei due motori, o distribuiti, uno su un motore e l’altro sull’altro motore, ma comunque trascinati dalla trasmissione (il grafico prevede il montaggio concentrato)”.
Mauro Palitto: “Nello schema illustrato l’architettura della trasmissione è caratterizzata da due particolarità: in primo luogo può collegare le ruote a tre oggetti (motore principale, motore booster e gruppo accessori che comprende il motogeneratore) e collegare questi tre oggetti fra di loro in qualsiasi combinazione. Questo significa che il motogeneratore elettrico può avviare sia il motore termico principale che il motore termico booster, muovere la vettura, essere attuato dalle ruote, dal motore termico principale e/o dal motore booster e infine attuare il compressore del condizionatore per 2-3 minuti. In pratica si possono utilizzare senza modifiche gli attuali cambi Maserati (automatico tradizionale o elettroattuato AMT), con il regime di rotazione massimo del primario del cambio più alto del 10% rispetto all’attuale regime. Anche il funzionamento dello start/stop esteso alla fase di rilascio rimarrebbe invariato, con le frizioni all’uscita dei motori che mantengono il trascinamento degli accessori”
Mauro Palitto: “Il principale vantaggio sta nella riduzione di consumi ed emissioni, abbinata ad un aumento di coppia e potenza massima. La GranTurismo Bimotore potrebbe infatti avere una potenza di 450 CV contro i 439 CV della 4.7 S e un picco di coppia che sale da 490 a 670 Nm. Altro fattore importante è quello dei costi produttivi ridotti per un gruppo propulsore che sfrutta unità già esistenti e necessita di investimenti limitati, sia a livello di sviluppo che dell’attrezzamento. I due quadricilindrici affiancati possono ottenere consumi anche inferiori a quelli di una Mercedes Classe R, nello specifico la R280 che avevo preso allora a riferimento. Grazie ad una cilindrata ridotta da 3.000 a 1.800 cc e ai rapporti del cambio lunghi e ottimizzati per i due motori congiunti, la Maserati bimotore potrebbe come minimo eguagliare i consumi della R280, pari a 14,9/8,6/10,9 l/100 km. Rispetto alla Maserati GranTurismo 4.7 V8 S si tratterebbe quindi di un abbattimento dei consumi del 40%, 24% e 34%. Tutto questo contribuirebbe ad elevare l’immagine della soluzione bimotore, non più parente povero, ma alternativa di prestigio all’8 cilindri a V”.
Mauro Palitto: “Partiamo dal motore “principale” (1), un 1.800 biturbo a iniezione diretta per cui si possono ipotizzare 200 CV a 5.500 giri/min e 300 Nm a 1.700 giri/min. Questo è il motore principale ed è posto in modo da realizzare la trasmissione più diretta, ai fini di massimizzare il rendimento della trasmissione. Il motore “booster” (2) si propone sia un 2.200 turbo da 250 CV a 6.000 giri/min e 370 Nm a 3.000 giri/min; questo secondo motore viene utilizzato solo per pochi secondi, durante le fasi di accelerazione. Il motore principale consente una velocità di circa 220 km/h, limite che anche sulle autostrade tedesche si può mantenere al massimo per qualche minuto. Le cappelline (4-6) sono quelle di grande serie, così come le frizioni (3-5), mentre le scatole ingranaggi (7-8) possono avere una fusione comune. L’albero di accoppiamento dei due motori (9) può essere esterno, cosa che semplifica anche la flangiatura della puleggia trascinamento accessori (13). Nessuna modifica al cambio (14). Il motoalternatore (15) ha una potenza compresa fra i 4 e i 6 kW (5,4-8,1 CV), alimentabile con 2 normali batterie al piombo da 60 Ah ciascuna. Comportandosi come un microibrido il motoalternatore andrebbe ad eliminare lo starter, simulerebbe il trascinamento di un cambio automatico per spostamenti in pura modalità elettrica fino a 7 km/h e andrebbe a ricaricare le batterie in fase di rilascio. Il circuito di raffreddamento è invece realizzato ponendo in serie i circuiti acqua dei due motori, in modo che entrambi siano caldi, quale che sia il motore in uso. Un’unica pompa dell’acqua elettrica permette la circolazione indipendentemente dal motore attivo. Anche l’impianto di scarico prevede che l’uscita della catalitica prossima ai turbo del motore principale e lo scarico del motore booster siano convogliati nella seconda catalitica, in modo che quando il motore booster viene attivato trovi sempre la catalitica già calda”.
Mauro Palitto: “In primo luogo occorre distingue fra le diverse fasi di utilizzo e di guida della Bimotore. Nelle partenze a freddo, fino a quando l’acqua non ha raggiunto i 70°C, i due motori operano congiuntamente in modo convenzionale e non si attiva la funzione start/stop. La partenza da fermo avviene sempre con la spinta del solo motogeneratore elettrico, fino a 7 km/h ed entro i 3 minuti di funzionamento. Subito dopo interviene il motore pincipale che rimane funzionante da solo fino a che non si richiede maggiore potenza, momento in cui la trazione passa (in 0,5 secondi) l solo motore booster; in caso di kick-down il motoalternatore ha la potenza necessaria ad avviare entrambi i motori contemporaneamente. Lo stesso accade quando si viaggia a velocità costante o con lievi accelerazioni, situazione in cui il motore principale viene sostituito dal booster solo quando si richiedono prestazioni maggiori ed entrambi vengono attivati e collegati alla trasmissione quando si preme a fondo l’acceleratore. In fase di rilascio leggero resta attivo solo il motore più adatto alle pretazioni richieste, mentre se si rilascia completamente il gas i due motori a benzina vengono spenti per lasciare il posto al motogeneratore elettrico che ricarica la batteria. Diverso è il caso della frenata, che mantiene funzionanti i due propulsori endotermici per avere il necessario freno motore”.Mauro Palitto: “Quando ci si ferma, ad esempio al semaforo, tutti i motori sono spenti. Solo quando la temperatura dell’acqua o la carica della batteria sono bassi interviene il motore principale, utile anche per riattivare il compressore del climatizzatore qualora si superino i 3 minuti di sosta. Durante le manovre in avanti o in retromarcia ed entro i 5 km/h la Maserati Bimotore accelera e frena con il solo motoalternatore, con il motore principale che si attiva per superare una salita. Lo stesso accade nel superamento di un gradino o di una forte pendenza, dove agisce il motogeneratore elettrico (1 km/h) se il pedale dell’acceleratore è premuto entro la metà della sua corsa e interviene invece il motore principale quando il piede destro del guidatore va oltre”.
o nel caso della alfa sud:
L’Alfa Romeo Alfasud TI bimotore nacque da un’idea di Gianfranco Mantovani Wainer, storico preparatore di vetture da competizione, l’officina Wainer era specializzata nella modifica e preparazione di vetture per le competizioni, collaborava spesso con l’Alfa Romeo e con l’Autodelta.
L’idea di Wainer era: realizzare un’autovettura a trazione integrale 4 x 4 modificando una vettura di serie, egli pensò, piuttosto che aggiungere alberi di trasmissione e differenziali, la miglior cosa da fare era aggiungere un secondo motore che trametteva la forza motrice direttamente alle ruote posteriori.
Occorreva pertanto una vettura a trazione anteriore, la scelta ricadde sull’ l’Alfasud, la trazione anteriore si prestava meglio alla riuscita del progetto, sarebbe stato più difficile trasmettere il moto alle ruote sterzanti, che non alle ruote posteriori fisse.
Un esperimento di autovettura bimotore era già stato realizzato negli anni ’60 dalla Citroen con il modello 2 CV Sahara.
‘Alfasud Bimotore è una normale Alfasud Ti 1200 del 1974, a cui l’officina Wainer aveva trapiantato all’asse posteriore motore, meccanica, sistema di sospensioni e trasmissione, identiche a quello dell’asse anteriore.
Per realizzare l’Alfasud bimotore, venne eliminato il ponte posteriore ad assale rigido, eliminato il sedile posteriore, tagliato il pianale, saldati al telaio tutti i supporti necessari a sostenere il nuovo gruppo motore – cambio -trasmissione, fissati al telaio i rinvii destinati allo sterzo, (le ruote posteriori dovevano rimanere fisse).
Le modifiche esteticamente più evidenti nell’Alfasud Bimotore erano nell’abitacolo, che perdeva 3 posti a sedere, l’Alfasud Bimotore così modificata divenne una 2 posti a tutti gli effetti.
Il sedile posteriore dell’Alfasud di serie venne rimosso per far posto al secondo motore, per l’insonorizzazione venne costruito un coperchio insonorizzato smontabile e rimovibile per facilitare l’accesso e le operazioni di manutenzione, purtroppo la rumorosità all’interno dell’Alfasud Bimotore era troppo elevata.
All’Alfasud Bimotore venne aggiunto l’impianto separato dei gas di scarico per il secondo motore, aggiunta una pompa per azionare la frizione del secondo motore, e collegati i rinvii del secondo cambio alla leva delle marce.
Al quadro comandi vennero aggiunti gli strumenti e i comandi per avviare e tenere sotto controllo il secondo motore, modificato l’impianto elettrico e l’accensione dei 2 motori avvieniva tramite 2 pulsanti separati.
La linea della carrozzeria dell’Alfasud bimotore è rimasta quasi invariata rispetto al modello di serie, eccetto l’aggiunta delle 2 prese d’aria laterali nere, ricavate nelle fiancate posteriori, dove erano collocati 2 radiatori con elettroventilatore, per raffreddare il secondo motore, venne aggiunto anche un radiatore per il raffreddamento dell’olio.
L’alfasud bimotore aveva carrozzeria a 3 porte, colore rosso alfa e scritte laterali bianche “Alfasud Wainer Bimotore”.
L’aggiunta del secondo motore garantiva all’Alfasud bimotore un’ accelerazione da 0 a 100 km/h in 8,2 secondi, e una velocità massima di 215 km/h.
L’Alfasud bimotore aveva 2 motori a 4 cilindri boxer da 1186 cc, e potenza di 79 cavalli ciascuno, alimentati ognuno da carburatore a doppio corpo, ogni gruppo propulsore aveva il proprio cambio e differenziale, il motore anteriore trasmetteva la forza alle ruote anteriori, quello posteriore a quelle posteriori, l’Alfasud bimotore era una 4 x 4 a tutti gli effetti.
L’Alfasud bimotore aveva sospensioni a 4 ruote indipendenti di tipo McPherson, freni a disco sulle 4 ruote motrici all’uscita del differenziale come sull’Alfetta.
L’accensione dei motori avveniva con pulsanti separati, era possibile azionare un solo motore alla volta, ma per far marciare la vettura dovevano essere accesi entrambi.
L’Abitacolo dell’Alfasud bimotore aveva 2 posti , 2 porte, posizione di guida come nel modello d’origine, la strumentazione era doppia per la gestione di entrambi i motori.
Accelerazione da 0 a 100 km in 8,2 secondi, velocità massima 215 km/h serbatoio del carburante da 80 litri sistemato nel vano bagagli, l’unica nota dolente dell’Alfasud bimotore era l’eccessiva rumorosità nell’abitacolo.
L’Alfasud Bimotore Wainer era destinata alle corse come la Targa Florio e ai Rally impegnativi come il Safari d’Africa, partecipò a competizioni, ma non ebbe un seguito, rimase a livello di prototipo. L’Alfasud Bimotore è ancora esistente e funzionante, viene gelosamente custodita da Gianfranco Mantovani Wainer, titolare dell’officina Wainer che la realizzò.
L’Alfasud Bimotore suscitò molto interesse all’epoca, il politecnico di Genova richiese al signor Mantovani il modello, e ne studiò le caratteristiche per diversi mesi.