#bigwednesday. Lorenzo Bandini il pilota borghese
Lorenzo Bandini e la sua storia sono impressi nel cuore di tanti appassionati e tifosi. Potremmo definirlo un vero e proprio self-made man oltre che un gentleman driver (nell’accezione più nobile e antica), un pilota che ha costruito la sua carriera affrontando tantissimi ostacoli e partendo dal fondo. Lorenzo Bandini nacque il 21 dicembre 1935 a Barce, in Libia, da genitori italiani che si erano spinti a cercare fortuna nelle colonie; allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale la famiglia rientrò in Italia, a San Cassiano di Brisighella: paese d’origine del padre in provincia di Ravenna. L’infanzia di Lorenzo Bandini fu serena: il padre era proprietario di due appartamenti e un albergo che gli assicurarono una discreta agiatezza; quel periodo fu interrotto sul finire del conflitto, quando i bombardamenti distrussero l’albergo di famiglia e il padre fu fatto prigioniero e fucilato. A quel punto la madre prese con sé i suoi figli e riparò nel suo paese di nascita, Cassiano a Reggiolo, per ricominciare una nuova vita. Qui, il giovanissimo Bandini studiò in una scuola di avviamento professionale e cominciò a lavorare come meccanico apprendista.
DA MECCANICO A PILOTA. A soli quindici anni Lorenzo decise di lasciare il piccolo paesino romagnolo e si trasferì a Milano dove trovò subito lavoro nell’officina di Goliardo Freddi, padre della sua futura moglie Margherita, che non solo sostituì quella figura paterna che il destino gli aveva portato via, ma lo indirizzò alla carriera di pilota. Fu infatti grazie a Goliardo che si appassionò al mondo dei motori e delle competizioni: Lorenzo crebbe così affascinato dalle gesta dei grandi come Alberto Ascari, Juan Manuel Fangio e Tazio Nuvolari; nel 1956, con il grande supporto economico e psicologico del suocero, iniziò la sua avventura nella competizioni con una Fiat 1100 TV bicolore appartenuta proprio a Goliardo. La carriera di Lorenzo comincia con la gara in salita Castell’Arquato – Vernasca. Il risultato non fu di grande rilievo così come quello delle altre gare a cui partecipò in quell’anno, ma immediatamente si distinse per grandi e peculiari caratteristiche come la sua modestia e la sua tenacia, ma anche per la sua rinomata saggezza, cose che gli permisero di studiare quei risultati migliorare gara dopo gara. A differenza di altri, non ebbe subito l’occasione per farsi notare dagli ambienti importanti e si impegnò molto in diverse gare prima di giungere a traguardi degni di nota.
ARRIVANO I RISULTATI. Il primo successo davvero rilevante per Bandini arrivò nel 1958 quando, alla guida di una Lancia Appia coupé, si classificò primo nella classe 2000 Gran Turismo alla Mille Miglia. Dopo alcuni altri risultati importanti come il quinto posto nella Coppa Intereuropa a Monza, il terzo posto alla Coppa d’Oro di Sicilia – dove disputò la sua prima corsa in monoposto, con una Fiat-Volpini di Formula Junior – e ancora la vittoria di Classe 500 a Monza nel Trofeo Ascari, finalmente Bandini comincio a farsi notare. Nel 1960 la Stanguellini, una piccola azienda del modenese che partecipava a gare di rilievo con le monoposto, gli offrì un contratto per diventare un loro pilota ufficiale. Al volante di queste auto performanti arrivarono subito due grandi vittorie, la prima al Gran Premio della Libertà a Cuba, la seconda, a Monza, dove conobbe un altro giovane pilota emergente, Giancarlo Baghetti.
LE MONOPOSTO. Nel 1961 la Ferrari aveva messo a disposizione una delle sue macchine a un giovane promettente che si fosse dimostrato all’altezza del prestigioso nome della scuderia di Maranello e Bandini, che aveva come sogno quello di correre in Formula 1, scorse la grande occasione. Nonostante ciò, il prescelto da Enzo Ferrari fu proprio Giancarlo Baghetti, l’amico-rivale di Bandini. Tuttavia i sogni di gloria di Lorenzo non si rivelarono vani perché Mimmo Dei, titolare della scuderia Centro-Sud, gli offrì un sedile di una delle sue monoposto, una Cooper 1500 a motore posteriore Maserati. Al debutto, Lorenzo Bandini, si distinse subito dentro e fuori la pista, come abile pilota, intelligente e calcolatore. Qualità che furono apprezzate sempre di più dai tifosi Italiani e non solo. La sua fama nella massima categoria raggiunse un livello tale che già l’anno successivo Bandini venne convocato direttamente dalla Ferrari, che gli affida un sedile.
CON IL CAVALLINO IN FORMULA 1. Il binomio di pilota italiano su monoposto italiana, oltre che avere fascino, fu anche ricco di soddisfazioni. Il periodo Bandini- Ferrari è contornato da moltissime vittorie che lo hanno reso famoso e apprezzato in tutto il mondo. Lorenzo Bandini aveva una voglia incredibile di dimostrare a Enzo Ferrari il suo valore e se nel primo anno con il Cavallino le sue performance furono caratterizzate da un periodo di alti e bassi, tutto cambiò nel 1963 quando, alla guida di una Ferrari 172P e in coppia con Ludovico Scarfiotti, Bandini vinse una delle più importanti corse automobilistiche, la 24 ore di Le Mans. Lorenzo divenne così pilota ufficiale della Ferrari in Formula 1 a fianco di John Surteess per la stagione del 1964. In quell’anno, il pilota emiliano ottenne i suoi risultati migliori: giunse diverse volte sul podio (terzo posto in Germania e in Messico lottando con Graham Hill, il diretto rivale per la conquista del titolo di Surtees) e il 23 Agosto 1964, a Zeltweg, Bandini vinse anche il suo unico Gran Premio in carriera. A fine campionato Bandini era quarto e il suo compagno di scuderia John Surtees vinse il Mondiale.
LA TRAGEDIA A MONTECARLO. Le due stagioni successive regalarono poche soddisfazioni in Formula 1 al pilota italiano, che conquistò pochissimi podi in entrambe le stagioni. Diversa invece la storia con le vetture sport, dove trionfò a Le Mans, nella Targa Florio edizione 1966 con Nino Vaccarella, nella 24 Ore di Daytona e nella 1000 Chilometri di Monza 1967, queste ultime in coppia col neozelandese Chris Amon. Nel 1967 Lorenzo Bandini dopo aver conquistato la fiducia di tutta la squadra e del Commendatore divenne la prima guida della Ferrari. Dopo aver saltato il primo gran premio della stagione in Sud Africa, la Ferrari si presentò direttamente alla seconda gara il GP di Montecarlo. Quell’anno tra le strade del Principato Lorenzo Bandini fu subito grande protagonista: mantenne la prima posizione per poco più di metà gara fino a quando una macchia d’olio lo mandò in testacoda. Bandini riuscì a ripartire subito dalla terza posizione, ma all’82esimo giro, per motivi ancora sconosciuti, arrivò lungo alla chicane del porto, e complice una velocità d’ingresso troppo elevata, iniziò a rimbalzare più volte da una parte all’altra della pista prima di alzarsi in aria e capovolgersi. I commissari arrivati subito per soccorrerlo cominciarono a cercare il corpo del pilota in acqua pensando che dopo l’urto fosse stato balzato fuori dalla monoposto (data la mancanza delle cinture di sicurezza). Purtroppo Bandini era invece ancora in macchina, incastrato dalle lamiere della sua monoposto in preda alle fiamme. Fu portato subito nell’ospedale di Montecarlo ma non ci fu niente da fare per il pilota italiano, che, in stato comatoso, morì in ospedale dopo alcuni giorni, il 10 maggio 1967.
UN SIMBOLO. In pochi anni Lorenzo Bandini era riuscito a fare breccia nel cuore di milioni di italiani e come Enzo Ferrari stesso scrive nel suo libro Piloti, che gente “Era diventato ormai un simbolo per l’Italia dello sport del volante. Lo avevano scoperto anche quelle immancabili sostenitrici che affollano tutti i circuiti. Avevano subito il fascino di quel giovanotto dai lineamenti delicati, che spesso Margherita indicava con orgoglio di moglie. Era però rimasto il tipico pilota di affetti e serenità borghese”. Nel giorno del suo funerale, a Milano, la moglie Margherita fu accompagnata da migliaia di persone: segno di quanto Bandini fosse amato dai tifosi della rossa e da tutti gli appassionati del mondo. (Testo: Andrea Casano)
In quegli anni di down force neppure l’ombra.
Erano anni durissimi, la morte era in agguato in ogni curva.
Le monoposto non avevano alettone ed ala anteriore, oltre all’aggravante della portanza creata dalle ruote, soprattutto le anteriori, che in velocità investite dall’aria diventavano portanti, sollevando così la vettura ed alleggerendo lo sterzo.
L’unica aderenza su cui contare erano gli pneumatici gravati dal peso proprio della monoposto sollevata dalla portanza esercitata dalla spinta dell’aria sulle ruote.
Nel set-up si agiva sulla regolazione delle sospensioni, delle barre antitorsione e nella scelta degli pneumatici. La distribuzione del peso restava quella stabilità dal layout di progetto.
Per questa ragione le velocità in curva non erano elevate, ma con oltre 400 cavalli appoggiati dietro la schiena e una sezione frontale senza ala e alettone, nei rettifili le monoposto volavano.
Il radiatore era unico, posizionato sulla bocca nella parte anteriore del telaio e sfogava aria calda sotto e lateralmente al telaio, senza condotti di raccordo fluidodinamico.
Il telaio, quello della 312 B era un passo dietro le monoscocche inglesi, un tubolare rivettato in pannelli in lega di alluminio. Tutto qui.
Ad aggravare la sicurezza passiva, oltre alla mancanza delle cinture di sicurezza c’erano i due famigerati serbatoi laterali che avvolgevano lateralmente il pilota senza alcun involucro di sicurezza.
Ogni impatto poteva essere fatale, produceva un incendio che avvolgeva completamente il pilota.
Quello che accadde al povero Bandini.