#bigwednesday. La Scuderia Italia e il sogno Formula 1
Il 26 settembre 1993, nella terz’ultima tappa del campionato di Formula Uno, nel circuito portoghese dell’Estoril, terminò definitivamente l’avventura della BMS Scuderia Italia (acronimo di Brixia Motor Sport). Si concludeva così il sogno di Giuseppe Lucchini che, con le monoposto sviluppate da Dallara e motori Ford-Cosworth (poi Judd nel 1991 e Ferrari nel 1992 e 1993) aveva preso parte a sei stagioni complete in Formula 1, dal 1988 al 1993.
LA SCUDERIA PRENDE FORMA. Ma torniamo indietro ai primi Anni ’80 quando l’imprenditore bresciano Giuseppe Lucchini, in collaborazione con alcuni appassionati, decide di partecipare al Campionato Italiano Sport creando per l’occasione una piccola ma efficiente organizzazione (Mirabella-Mille Miglia) arricchita da collaboratori tecnici esterni (della Mirabella Racing) per la gestione in pista. Nel corso di quegli anni il team ottiene i primi risultati in diversi campionati sport prototipo in Italia e in Europa. Nel 1984 i successi raggiunti con le prime partecipazioni a diversi campionati sport prototipo in Italia e in Europa consento al giovane team di arricchirsi di una vera e propria squadra tecnica. Nasce così la Brixia Motor Sport (BMS), che subito porta a casa il suo primo grande successo: il primo posto assoluto nel campionato europeo di auto storiche FIA con una Alfa Romeo Tubolare Zagato 1600cc, condotta dallo stesso Lucchini. Ancora, prima di approdare in Formula 1, la scuderia ottiene altri successi nel CIR (Campionato Italiano Rally) con una Lancia 037 (1985-1986) e partecipa alla 500km dell’Estoril con una Alfa Romeo 75 (ottobre 1986).
L’ARRIVO NEL ‘CIRCUS’. Nell’estate del 1987 si decide per il grande salto nella massima categoria delle monoposto: grazie ai rapporti di stima e amicizia di Lucchini con Gian Paolo Dallara, il patron dell’azienda di Varano de’ Melegari, la BMS Scuderia Italia esordisce in Formula 1 il 3 aprile 1988 nella prima gara del campionato in Brasile. Protagonista una Dallara F3000 condotta dal bresciano Alex Caffi, poi sostituita già a San Marino da una Dallara F188 con motore Ford-Cosworth DFZ V8 3.5. Nel mondiale d’esordio i risultati per la BMS sono molto modesti: Caffi sfiora solo per due volte la zona punti, ma nonostante le prestazioni poco brillanti il team acquisisce tanta esperienza nel circus della Formula 1. L’anno dopo, infatti, la Scuderia Italia si presenta rafforzata portando in pista due monoposto BMS F189, la naturale evoluzione della Dallara F188, ma dotata di un motore V8 Ford-Cosworth potenziato (Ford DFR V8 3.5).
I PRIMI RISULTATI. Per il 1989 i piloti sono il riconfermato Alessandro Caffi, a cui viene affiancato il pilota romano Andrea De Cesaris. Stavolta arrivano i primi punti mondiali e alcune soddisfazioni: nel GP di Montecarlo, Alessandro Caffi conquista un esaltante quarto posto mentre al successivo GP del Canada Andrea De Cesaris arriva terzo, guadagnando il primo podio nella storia del team. Alla fine del campionato la Scuderia Italia conquista l’ottavo posto assoluto. L’anno dopo al posto di Caffi arriva Emanuele Pirro, tuttavia la stagione 1990 è molto deludente: la monoposto F190 si rivela troppo poco competitiva e affidabile con ben 16 ritiri in gara imputabili a noie e rotture meccaniche. Se si esclude il buon terzo tempo in qualifica guadagnato da De Cesaris nel GP degli Stati Uniti, non arriva nessun altro successo. E nessun punto in campionato.
DIFFICOLTÀ E SODDISFAZIONI. I problemi della passata stagione furono imputati al V8 Ford Cosworth e per la stagione 1991 la BMS Scuderia Italia decide di cambiare propulsore. In assenza di case ufficiali disponibili a fornire un motore per la monoposto italiana viene deciso di dare fiducia ad un piccolo costruttore inglese. Così sul progetto di Nigel Couperthwaite nasce la Dallara F191 spinta dal dieci cilindri Judd GV V10 3.5 potente e compatto, che assicurò al riconfermato Pirro e al nuovo acquisto J.J. Lehto piazzamenti entro i primi dieci e risultati di tutto rispetto per quella stagione. Pirro è sesto a Monaco e Letho, sotto il diluvio, giunge sul podio (3°) a Imola, dietro Senna. Tuttavia la delicatezza del motore inglese portò i due piloti a diversi ritiri che alla fine del campionato compromisero il posizionamento in classifica della Scuderia Italia giunta ottava in classifica costruttori).
IL CUORE FERRARI. La stagione 1992 è caratterizzata, finalmente, dall’arrivo di un propulsore potente di una casa rilevante: grazie a un contratto biennale stipulato con Ferrari, la BMS Scuderia Italia si assicura il dodici cilindri della casa di Maranello sviluppato l’anno precedente (Ferrari 037 V12 3.5) per i successivi due mondiali. I piloti sono il riconfermato Letho e l’ex Minardi, Pierluigi Martini in sostituzione di Emanuele Pirro. Nonostante una vettura più performante, buoni piloti e ottime aspettative, la BMS Dallara F192, non ottiene risultati decisivi. La monoposto è più affidabile, ma anche a causa di una sua difficile messa a punto (assetto e aerodinamica), la stagione non frutta i risultati sperati. La BMS Scuderia Italia figura nei primi dieci classificati in dodici occasioni ma sono soltanto due i punti totalizzati alla fine del campionato.Ovvero i due sesti posti conquistati da Pierluigi Martini in occasione dei GP di Spagna e San Marino.
NIENTE DA FARE. Torniamo così al 1993, l’ultimo anno in Formula 1 per la Scuderia Italia. La stagione comincia con la decisione ‘a sorpresa’ di cambiare telaio passando da Dallara all’inglese Lola: molto probabilmente le pessime prestazioni dell’anno precedente avevano scatenato uno scambio di accuse tra Dallara e la Ferrari, costringendo Lucchini a interrompere il sodalizio con Dallara e affidare alla Lola la costruzione della monoposto. Un estremo tentativo forse di trovare una strada che permettesse a Scuderia Italia di rimanere in Formula 1 con un pareggio di bilancio corretto in un momento in cui i costi di gestione sempre più alti stavano diventando un problema anche per molte altre case; al punto da dover cedere i team (come accaduto, per esempio, nel caso della scuderia Benetton). La stagione del ’93 fu una delle peggiori del team Bresciano: la Lola T93/30, equipaggiata con motore Ferrari (040 3.5 V12) e pilotata da Michele Alboreto e Luca Badoer, si rivelò un completo disastro con ritiri ricorrenti e con i piloti in gara sempre relegati in fondo al gruppo.
L’USCITA DI SCENA. I pessimi risultati di stagione e i costi di gestione sempre più alti costrinsero la Scuderia Italia a ritirarsi già prima della fine del Campionato. Un problema che con l’andare del tempo avrebbe colpito anche realtà più grandi della Scuderia Italia sostenute (anche se in parte) da sponsor e colossi di rilevanza mondiale. Nonostante un epilogo sfortunato, ancora oggi l’impresa in Formula 1 della Scuderia Italia viene ricordata come un piccolo grande miracolo italiano nella storia delle competizioni automobilistiche. (Testo: Andrea Casano)