Alfa Romeo Tipo 103: avanti tutta

Alfa Romeo Tipo 103: avanti tutta

Un esemplare unico, tre motori e un’esistenza trascorsa più sui taccuini e i tecnigrafi del Portello che nei reparti di produzione della fabbrica. Gli alfisti, affettuosamente, la chiamano ancora Pidocchio, un nome che è tutto un programma, ma di fatto ieri pomeriggio al Museo Storico Alfa Romeo, insieme ai canuti ma arzillissimi ex dipendenti del Gruppo Seniores Alfa Romeo, curiosi e appassionati si sono trovati di fronte a una vera mosca bianca della storia del Biscione.

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UNA SORPRESA, OGGI COME ALLORA. Verniciata d’azzurro, piccola fuori ma grande dentro, la Tipo 103 – questa la sigla definitiva del primo progetto di trazione anteriore Alfa Romeo – ha una faccia simpatica e un’aria sbarazzina. Appare in uno stato di conservazione invidiabile, anche perché il suo ultimo contatto con l’asfalto – se si esclude la recente sgambata nel pistino del museo per arrivare in forma al penultimo appuntamento dell’anno del calendario Dietro le quinte – Backstage – risale al lontano agosto del 1962.

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I CENT’ANNI DI UN VETERANO. Come la protagonista di una favola felice ma finita sul più bello (in Italia a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, proprio mentre la Tipo 103 sarebbe dovuta entrare in produzione la Fiat si aggiudicava con la 600 e la 500 il monopolio di una ghiotta fetta di mercato, mentre in Inghilterra dal genio di Alec Issigonis nasceva la Mini), la Tipo 103 ha incuriosito i più giovani e commosso i più anziani tra i presenti. Che al museo hanno organizzato una grande festa per gli splendidi cent’anni del progettista Bruno Magnaghi, anche lui visibilmente emozionato per il tributo ricevuto da ex colleghi e appassionati e per aver letteralmente riabbracciato le AR 148 e 146, i veicoli fuoristrada soprannominati ‘Magnagona’ e ‘Magnaghina’ da lui progettati a metà anni Ottanta.

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LA MEMORIA STORICA DEL BISCIONE. Sul palco della sala Giulia, accanto alla piccola Tipo 103 e al curatore del museo, Lorenzo Ardizio, si sono alternati anche alcuni dei tecnici che vissero da protagonisti le fasi di progettazione e di sviluppo della vettura. Raccontati dalla viva voce del novantatreenne Bruno Zava uno dei depositari della memoria storica del Pidocchio insieme al coetaneo Angelo Villa, ricordi, aneddoti e retroscena si sono intrecciati fino a tessere quasi completamente le fila di un progetto tanto affascinante quanto semisconosciuto. I preziosi e nitidi frammenti di memoria di Zava, che della Tipo 103 contribuì a progettare il cambio e il telaio, ricomposti e messi insieme hanno quindi fatto chiarezza su molti punti oscuri di una storia il cui lieto fine – se tutto fosse andato secondo i piani del Portello – sarebbe stato la prima vettura economica dell’Alfa Romeo.

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ALTRO CHE UTILITARIA. “I maggiori grattacapi derivavano dal considerevole ingombro del cambio e del motore bialbero, piccolo ma alloggiato in posizione trasversale. Un problema che si traduceva in sollecitazioni troppo forti sulle sospensioni anteriori. Per ovviare all’inconveniente – continua il progettista – a un certo punto si pensò alla soluzione adottata dalla Mini, che aveva il motore davanti e il cambio dietro, collegati da una catena, ma presto ci si rese conto che la rumorosità degli ingranaggi sarebbe stata intollerabile”. Così il Pidocchio, con le sue raffinate sospensioni posteriori regolabili, è sempre rimasto più o meno uguale a com’era stato concepito tra la metà degli anni Cinquanta e l’inizio del decennio successivo. Gli anni del boom economico in cui in Italia – un paese ormai definitivamente risorto dopo le devastazioni della guerra – una macchina come la Tipo 103 avrebbe senz’altro saputo ritagliarsi un ruolo da protagonista.

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