Alfa Romeo 75, il regalo più bello
Sia sui giornali sia in televisione la campagna pubblicitaria che accompagna il lancio dell’Alfa 75 ruota tutta attorno al piacere di guida. Ancora oggi infatti, presa al di fuori dal contesto economico, sociale, politico e industriale in cui è nata, l’erede della Giulietta conserva intatta l’immagine di grande berlina sportiva trasmessa così efficacemente dalle réclame dell’epoca. Ma dietro il fortunato slogan ‘la guida creativa’, dietro la ‘scelta di potenza’ naturale per l’automobilista ‘che fa ogni giorno della stessa strada una strada diversa’, affiorano ormai evidenti in tutta la loro drammaticità i segni di una crisi aziendale che presto sancirà la fine dell’Alfa Romeo come azienda di stato. Nel 1985, quando vede la luce, l’Alfa Romeo festeggia i suoi 75 anni di vita. E per questo, il modello in lancio, prese il nome di 75.
LA CRISI DELL’AUTO E DELL’ALFA. L’Alfa Romeo mette in cantiere il progetto della nuova vettura nel pieno di una crisi mondiale dell’auto che l’allora vicepresidente e amministratore delegato della casa milanese, Corrado Innocenti, non esita a definire “la più grande che il settore abbia mai sperimentato dagli inizi del secolo”. Sull’azienda, coi conti in rosso e incapace di sfruttare la propria capacità produttiva, gravano come un macigno i 154 miliardi di investimenti fatti per l’Alfa 33, la nuova compatta a trazione anteriore che gradualmente avrebbe sostituito l’Alfasud. Con l’imminente chiusura dello storico stabilimento del Portello e la fabbrica di Arese impegnata nel vano sforzo di produrre vetture raffinate e potenti ma inaccessibili per la stragrande maggioranza degli automobilisti italiani, la testa di ponte dell’Alfa Romeo diventa Pomigliano d’Arco, dalle cui linee di montaggio, oltre alla 33, esce la Sprint.
PROBLEMI E SOLUZIONI SULL’ASSE MILANO-NAPOLI. Nonostante le mille difficoltà (incluse quelle legate all’accordo con la Nissan per la produzione dell’Arna, assemblata in uno stabilimento costruito per volontà della DC – del cui appoggio l’Alfa Romeo non poteva fare a meno – a Pratola Serra, in provincia di Avellino), nei modelli costruiti al sud la dirigenza dell’Alfa Romeo sembra aver trovato la chiave di volta per riuscire a competere su un mercato sempre più agguerrito. Complice anche una maggior penetrazione dei costruttori giapponesi in Europa e in America, le regole del gioco cambiano rapidamente: l’azienda deve adattarsi in fretta alle nuove condizioni imposte dai mercati internazionali, attraverso una radicale riorganizzazione del lavoro e l’accorciamento del ciclo di vita dei propri modelli. È in seno a questa logica di sopravvivenza e di contenimento dei costi che prende forma e sostanza l’Alfa 75, che pur con investimenti risicati deve riuscire a rinnovare la tradizione sportiva dell’Alfetta (1972) e della Giulietta (1977), replicandone, se possibile, il successo commerciale.
FARE DI NECESSITÀ VIRTÙ. Grazie a una serie di accorgimenti ingegnosi la nuova carrozzeria, disegnata dagli uomini del Centro Stile diretto da Ermanno Cressoni, dissimula bene quei lamierati che, per ragioni di costi, sono mutuati direttamente dalla Giulietta. Il telaio delle portiere, per esempio, è lo stesso della progenitrice, ma è mascherato ad arte da un profilo della fiancata spezzato in tre parti e collegato da una sottile fascia di plastica nera, che unisce la linea orizzontale dei finestrini con il muso, basso e spiovente, e la coda, ascendente e tronca. Anche per la fanaleria i designer sperimentano nuove soluzioni; presto i primi bozzetti di fari rettangolari lasciano il posto a forme trapezoidali sia all’anteriore sia al posteriore, dove i gruppi ottici sono uniti da una barra catarifrangente arancione. Il risultato d’insieme è un amalgama di forme dinamiche molto ben riuscito: la 75 è una berlina in linea con le tendenze stilistiche del suo tempo, ma con una personalità e un carattere più netti e marcati rispetto alle dirette concorrenti.
SOTTO LA PELLE CONFERME E NOVITÀ. Se la trasmissione e il telaio ripropongono, con opportune migliorie, il collaudatissimo schema transaxle dell’Alfetta (con un blocco al posteriore sospeso alla scocca che ingloba frizione, cambio, differenziale e freni a disco), la gamma motori, accanto ai tradizionali quattro cilindri bialbero ad alimentazione singola di 1,6, 1,8 e 2 litri e al 2.5 V6 a iniezione elettronica della Quadrifoglio Verde, presenta anche una versione sovralimentata del 1800: “Finalmente – come recita un arguto slogan della casa – il turbo si merita un’Alfa Romeo”. Un’altra prima assoluta è il sistema Twin Spark, ottenuto mediante l’adozione di una testata stretta con valvole a 46° montata sul vecchio basamento in alluminio a due valvole per cilindro: grazie all’accensione a due candele per cilindro e a valvole più grandi, oltre a un impianto di iniezione-accensione integrato e a un variatore di fase con comando elettroidraulico a controllo elettronico, la potenza massima sale a 148 cv, venti in più rispetto alla 2.0 con due carburatori a doppio corpo.
PAROLA D’ORDINE QUALITÀ. Per non ripetere gli errori commessi con l’Alfasud e con l’Alfa 90 – la prima, nei primi anni, fu afflitta da problemi di ruggine, la seconda da difetti di gioventù che talvolta ne pregiudicavano il funzionamento –, con la 75 l’Alfa Romeo inaugura un nuovo corso nella progettazione e nella produzione: vengono intensificati i controlli sulle materie prime, migliorati i metodi di fabbricazione e i cicli di collaudo. Processi come la saldatura automatizzata della scocca e il bagno di cataforesi offrono ora una protezione efficace dalla corrosione anche nei punti più nascosti.
75 SW: L’OCCASIONE SPRECATA. La prima versione della 75 con carrozzeria station wagon appare allo stand Alfa Romeo al Salone di Ginevra del 1986. Allestita dalla Reyton Fissore di Cherasco e pensata per intercettare il gusto di una clientela sportiva in cerca di maggiore spazio e versatilità d’utilizzo, per volere della Fiat – che all’inizio della stagione delle grandi privatizzazioni aveva acquisito dall’IRI la casa milanese – non supererà mai lo stadio di prototipo. Considerato il successo della 33 Giardinetta e la consistente fetta di mercato conquistata dalle dirette concorrenti, specialmente tedesche, non senza qualche rimpianto.
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