Adriano Olivetti, storia di un biglietto da visita
La scena è questa. Venezia, angolo piazza San Marco e un gruppetto di persone. La cosa di per sé non è sospetta. La gente, qui, è abituata ai turisti e non ci fa caso. Orde di macchine fotografiche puntate su chiesa, campanile, o piccioni che svolazzano sono la normalità. Anche negli Anni ’50. Eppure c’è qualcosa che incuriosisce: aspetta, sono girate dall’altra parte. E per di più, le uniche macchine che hanno in mano sono quelle da scrivere. Il mistero si infittisce quando, ai passanti più attenti, salta agli occhi che quello col cappello a tesa larga e la sigaretta in bocca, è l’architetto Carlo Scarpa. Proprio l’icona veneziana nota per aver conquistato più volte lo spazio, con una spiccata ossessione per dettagli. E lo sguardo fisso sul futuro. Che in questo caso è lì davanti. A forma di Adriano Olivetti. Già, proprio quell’Olivetti: il visionario, il pedinato speciale (la CIA ha un dossier su di lui), l’industriale piemontese della ‘fabbrica dei sogni’, insomma il papà della macchina da scrivere in chiave pop. Tutto questo per ricordarti che Adriano Olivetti nasceva 120 anni fa, a Ivrea. Ma questo lo sai già, perché te l’hanno ricordato tutti quanti. Chi riproponendo la biografia quando, giovanissimo, fu mandato dal padre Camillo alla scoperta dell’America (per ritornare a casa con la consapevolezza di come non doveva diventare la sua fabbrica…), altri analizzando specifiche tecniche di macchine da scrivere che hanno motorizzato gli influencer che furono (i giornalisti e gli scrittori dal dopoguerra agli Anni ’80). Ma noi ti vogliamo raccontare una storia più veloce di questa: quella del suo biglietto da visita.
LO SHOWROOM DELLE IDEE. Veloce sì, ma complicato. Del resto il biglietto da visita, gesto di sintesi per definizione, non poteva essere una cosa semplice per uno come Olivetti. Come si presenta un genio? Oggi puoi scrivere quello che vuoi, gli americani hanno sdoganato perfino evangelista, ma allora su quel pezzo di carta più che Ing. Dott. e Prof. non si metteva. Figuriamoci visionario, poi. Ecco, quella mattina di metà Anni ’50, all’angolo della piazza più fotografata del pianeta, quel gruppetto stava pensando proprio a un modo per presentare al mondo Adriano e la sua Olivetti. E siccome non c’era vetrina migliore di questa affacciata su San Marco, dove tra un festival del cinema e una biennale d’arte l’oriente incontra l’occidente, non è un caso che quest’assembramento di creativi si sia fermato proprio qui, davanti alle Procuratie Vecchie. Olivetti, per immaginare questo monumentale biglietto da visita, vuole Scarpa: parlano la stessa lingua, guardano dalla stessa parte. E così, l’architetto veneziano, immagina un negozio che non venda cose, le mostri. Un posto che, se non sembrasse un gran bel museo, sarebbe un perfetto showroom, un antro dove si entra in punta di piedi pensando di assistere a un qualche miracolo della tecnica e invece si viene folgorati dalla luce del design. Industriale: incastonato tra scale asimmetriche, mensole volanti e veneziane (per i pavimenti) riviste e corrette con manciate di vetro di Murano. Succede quindi che quella che sembra un’esposizione di macchine da scrivere curatissime (e qualche calcolatrice), le varie Lettere, Valentine, Studio e Divisumma, in realtà è una timeline, una cronologia di quella meccanica fatta per parlare, scambiare idee, preventivi e capitolati. Anticipando di 70 anni quel futuro che oggi ha messo un cellulare nelle tasche di tutti. Questa carellata di immagini è un omaggio a quel che succede quando due geni si incontrano. Oltre che un invito alla visita, visto che il Negozio Olivetti, grazie alle Generali e al FAI, è lì che ti aspetta. Un compleanno così importante si merita una sorpresa. Indovina a chi è dedicato il veloce15 che uscirà a metà mese? A Olivetti, certo, e a tutti gli altri visionari che tra le tante macerie del dopoguerra si son presi la sua stessa contagiosa malattia. Quella per il futuro.
Carlo Scarpa fu mirabile nel creare spazi architettonici in grado di far risaltare opere d’arte ed artefatti in architetture storiche.
Questa combinazione, una vera e propria alchimia tra spazio, arte, architettura ed uomo, si chiama genius loci.
Gli spazi allestiti da Carlo Scarpa hanno tutto ciò: il genius loci.
Nei Suoi spazi, nei Suoi allestimenti, nelle Sue ambientazioni coesistono e risaltano l’interazione tra il luogo, inteso come spazio architettonico, le opere e la Sua identità. Un’identità precisa, connotata, riconoscibile anche in un singolo dettaglio.
Questo è ciò che immediatamente si percepisce negli spazi architettonici progettati da Carlo Scarpa.
Da architetto ho invidiato fin dal primo istante questa Sua capacità di creare dal nulla il genius loci.
È l’Architettura, quella più elevata, quella che Calvino definirebbe persistente.
Passano anni, si succedono generazioni, ma l’influenza di Carlo Scarpa e qui. Sempre.
I dettagli dell’opera di Scarpa, i materiali impiegati e lavorati sono ciò a cui guardiamo costantemente nel nostro lavoro.
Non c’è Architetto che non cerchi Scarpa, che non voglia ripercorrere le Sue opere dai Suoi segni, dai Suoi alfabeti per riuscire ad arrivare al Suo pensiero, per impadronirsi del Suo ragionamento da quei disegni, sofferti, ripensati, rielaborati, diventati anch’essi segni ed opere di creazione compiuta.
Inutile citare opere, spazi, inutile citare suggestioni.
Scarpa va rivissuto.
Sempre, ovunque.
Ci vorrebbe uno come Adriano Olivetti, diciamolo pure.
L’uomo che converti la macchina da scrivere nel personal computer iniziando una svolta epocale.
Adriano, fu l’uomo capace di leggere il futuro.
Adriano Olivetti era un personaggio scomodo, costituiva un problema sia per i gruppi industriali che per la superpotenza USA.
Fiat, con l’ing. Vittorio Valletta non si astenne per favorire General Electric con cui avevano rapporti industriali e debito verso il governo USA.
Guido Carli, direttore della Banca d’Italia, impose a Olivetti una forte restrizione al credito.
Quando nel 1964 le azioni Olivetti crollarono passando a 1.500 lire dalle 4.000 che valevano l’anno precedente, il dado era tratto. Il socialista utopista ebreo rivoluzionario e destabilizzatore Adriano Olivetti era finalmente alle corde.
Enrico Cuccia, Vittorio Valletta e Bruno Visentini, Mediobanca, Fiat, IMI, Pirelli lo costrinsero per 20 miliardi di lire di credito a cedere l’innovazione nella ricerca elettronica ed informatica agli americani.
Olivetti come una superpotenza, era diventato protagonista nel settore più strategico: quello dell’elettronica.
Adriano Olivetti fu obbligato a cedere la Divisione Elettronica Olivetti che passò a General Electric Information System per 8,5 miliardi di lire e a porre fine a quella ricerca dell’innovazione che era diventato lo scopo della sua vita.
Vittorio Valletta disse: “La società di Ivrea è strutturalmente solida, sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico”.
Il nostro futuro tecnologico, la nostra ricerca di innovazione, era per Fiat “un neo da estirpare”.
Non riesco ad immaginare cosa avrebbero potuto fare insieme: Fiat, Olivetti e Mario Tchou.