La Abarth fa 70/3. Bandiera a scacchi
ANCHE PER LE CORSE. In corso Marche, però, non ci si accontenta delle berline da famiglia trasformate in piccole bombe. L’Abarth inizia già nel 1956 a produrre in serie (necessariamente più ridotta, ma sempre serie) tutta una serie di GT berlinette biposto, motorizzate con unità di derivazione Fiat (poi anche Simca) e rivestite con affusolate e affascinanti carrozzerie in alluminio (spesso disegnate da Zagato, ma anche dalla stessa casa dello Scorpione): le più importanti si chiamano Abarth 750 (dal 1960, 700) GT, 750 Bialbero Record Monza, 850 Bialbero, 1000 Bialbero, Monomille, Abarth Simca 1300. Poi ci sono le ‘barchette’ e le coupé per la categoria Sport: le 1000 e 1300 SP, a cui si affiancano anche le OT 1300, 1600 e 2000. E le Sport Spider Tubolare (con telaio a traliccio in tubi progettato e realizzato in corso Marche): a partire dal 1961, si succedono (e si sovrappongono) la 1000, la 1300, la 1450, la 2000, la 3000 (1968). Fino alle più moderne: le sport della serie SE, la 010, la 019, la 021, che tra il 1968 e il 1971 vengono portate alla vittoria piloti quali Arturo Merzario, Johannes Ortner, Jonathan Williams.
PALMARÈS INVIDIABILE. Un’attività agonistica senza pari, e con risultati d’eccezione. Le Abarth vincono (pressoché sempre nelle proprie categorie d’appartenenza, spesso anche nella classifica assoluta) tutte le più celebri gare di velocità e di endurance: 4 Ore e 1000 Km di Monza, 24 Ore di Le Mans, 1000 Km del Nürburgring, Targa Florio, Circuito del Mugello (quello stradale, 60 km su e giù per gli Appennini), Campionato Europeo della Montagna. Nei box le vetture ufficiali e quelle dei piloti-clineti si trovano fianco a fianco con mostri sacri come le Porsche Carrera 6, 908 e 917, le Ford GT40, le Ferrari P3, P4 e Dino, le Alfa 33, le Lola T70, le Chaparral. Oppure, nelle gare Turismo, con le Alfa Romeo Giulia GTA, le Ford Escort e Capri, le BMW 3.0 e 3.3 CSI. Conquistando un palmarès complessivo che ha dell’inarrivabile. In cifre secche: più di 1000 vittorie in gare nazionali e internazionali, 5 titoli mondiali costruttori, 113 record mondiali conseguiti con vetture appositamente allestite (capito da dove viene quella sigla ricorrente Record Monza?).
DIVENTA DELLA FIAT. Fino a quando, nel 1967, il mercato dell’auto comincia a perdere colpi. La Fiat inizia a mostrarsi sempre meno interessata alla spinta e all’immagine che le Abarth possono dare alla produzione di serie, ma anche a sentirsi sempre più irritata dall’ammontare dei bonus da versare ogni anno a quel geniaccio dello Scorpione. Il 26 giugno del 1970 l’assemblea degli azionisti dell’Abarth si vede costretta a varare un aumento di capitale di 750 milioni per portare avanti l’attività, ma siamo alla stretta finale: il 15 ottobre 1971 la Fiat rileva in toto l’Abarth e la trasforma, di fatto, nel proprio Reparto Corse (che, successivamente, darà alla luce le Lancia Stratos, 037, Delta Integrale e S4, e più avanti le Alfa Romeo 155 e 156 GTA… ma questa è un’altra storia).
L’ULTIMO COLPO. Carlo Abarth, relegato al ruolo di consulente di lusso, esce di scena. Non senza lasciare in eredità alla nuova Abarth il suo ultimo colpo di genio: l’Autobianchi A112 Abarth (foto qui sopra). Che lui, per la verità, ha immaginato diversa: trapiantando nella scocca di una delle prime A112 il motore della 1000 TCR con testata radiale, depotenziato (bontà sua) a 107 cv, mette in strada un piccolo mostro dalle carreggiate allargate capace di 208 km/h. Troppo, per avere un seguito industriale. Ma il seme è gettato: la prima A112 Abarth non sarà una vera e propria Derivazione Abarth come la 600 del 1956 (e non sarà accompagnata dalla commercializzazione di alcuna cassetta d’elaborazione), ma lo spirito della serie 750/850 è rimasto, e accompagnerà un modello che avrà successo, nelle sue sette edizioni, fino al 1985. E che, in un certo modo, terrà aperta la via (almeno idealmente) all’attuale produzione Abarth: soprattutto alle 595, 595C e 695, nelle loro versioni (Pista, Turismo, Competizione) e con i loro optional qualificanti (uno su tutti, lo scarico Record Monza). Come dite? Sigle, numeri, nomi già visti? Beh, qualche buona ragione c’è. Grazie, Carlo.
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L’A112 Abarth rappresentò la palestra dei campioni.
La generazione Munari dopo l’epopea della Fulvia HF, del 124 Spider, della Stratos e della 131 Abarth stava invecchiando, così come accadde per le auto serviva una sostituzione a Munari, Ballestrieri, Verini, Pinto, Cambiaghi, Bacchelli, Tony.
Ma cosa fare?
Serviva una piccola palestra, poco dispendiosa, dove tutti i giovani arrembanti potevano confrontarsi per far emergere il migliore.
E non poteva essere diversamente, se ti ritrovavi con cinquanta/sessanta avversari che avevano l’A112 Abarth identica alla tua e volevi vincere.
Il primo campione fu il compianto Attilio Bettega, che vinse il primo Trofeo A112 Abarth, seguirono Fabrizio Tabaton, Gianfranco Cunico e molti altri campioni.
Oggi, viene da chiedersi perché FCA non abbia in questi anni riproposto l’A112 con il marchio Lancia, un design così accattivante da piacere alle donne più della Y, ma allo stesso tempo maschia e profondamente classica, destinata a restare nel tempo come la 500?
Proprio lei, il problema: il successo della 500 anche nella versione Abarth ha decretato la fine della A112 prima dell’inizio.
Questa fu la gloriosa storia sportiva di questa simpatica macchinetta, così accattivante da aver ispirato altri costruttori per la prossima generazione di city car elettriche, come si conviene.
La sua brutta copia è senza dubbio l’Honda EV-N Concept che potrà trasformarsi da rospo in accattivante Principe, se una volta prodotta in serie, sI ricorderanno di aumentarne la larghezza e il diametro delle ruote, per renderla così irresistibile.
Ma non finisce qui, a distanza di quarant’anni come se il tempo non fosse più passato, si combatte ancora sulla A112 Abarth sulle strade dei impegnativi rally d’Italia nel Trofeo A112 Abarth Yokohama, la leggenda continua.
E se ne avete una in garage, ricordatevi: la passione non ha mai fine.
Manca la perla rara: l’Abarth Formula 1.
Si, perché nel 1967, Herr Karl Abarth considerò il grande salto: la Formula 1.
A partire dal 1967, la ricerca aerodinamica in Formula 1 era finalizzata a ridurre la resistenza nell’avanzamento, riducendo la superficie frontale, mantenendo invariata la superficie dei radiatori per consentire al motore affidabilità e potenza nell’arco di tutta la gara.
L’aderenza era meccanica e ogni progettista cercava il santo gral con successive divagazioni di alettoni e aquiloni sospesi sulla monoposto anche fissati ai portamozzi posteriori.
Il primo problema da risolvere era il radiatore posto nel muso.
Comparvero prese d’aria larghe e generose come quelle della Cooper Maserati T81 di Rindt, strette e circolari come la BRM P138 di Oliver, Rodriguez e Surtees, a punta di freccia come la bellissima Eagle Mk1 di Gurney, con i baffetti come la Ferrari 312 di Ickx, fino alle più convenzionali Lotus 49 del pastorello scozzese Jim Clark e Matra di Steward.
La povera Abarth Formula 1, nel senso che disponeva di soli 4 cilindri, di una cubatura inferiore e che mai corse, era l’esempio di un filone di ricerca aerodinamica insolito e originale: il radiatore era sospeso sul retrotreno dietro al motore e il muso era un cuneo pieno.
In quest’Abarth Formula 1 del 1967, venne ripensata la disposizione del solito radiatore sul muso per adottarne uno posizionato dietro il motore, in alto, lungo e stretto, inclinato e collegato ai due puntoni del roll bar.
Una soluzione interessante perché presentava una minor resistenza aerodinamica frontale, una maggiore superficie radiante e la chiusura strutturale anteriore del telaio non più a sigaro come le altre F1.
Mi risulta fosse stata annunciata per il Gran Premio di Spagna, il 12 marzo 1968, con Jonathan James Williams alla guida.
Il santo gral lo trovò, come al solito, anni più tardi, Colin Chapman che dopo aver reso autoportante e strutturale il Ford Cosworth sulla monoscocca in alluminio della Lotus 49 a tutto vantaggio del pastorello scozzese, s’invento’ la Lotus 72, dimezzando il radiatore, spostandolo dal muso sulle due fiancate dove oggi resta.
Genio di Chapman che hai creato la Formula 1, quanto mi manchi.