Van Lennep torna sulle strade della Targa Florio
Persino il petrolhead più incallito, persino chi punta la sveglia all’alba per vedere le qualifiche della Formula 1 o chi sa recitare a memoria il listino degli optional della Ariel Atom, potrebbe non conoscere nel dettaglio la storia di Jonkheer Gijsbert van Lennep, detto Gijs, e delle sue gesta alla Targa Florio.
UN VERO MARATONETA. Il primo, per chi non lo sapesse, è un pilota olandese molto in voga negli anni ’70. Classe ’42, in Formula 1 è stato poco più di una meteora, ma nelle corse di durata ha dato spettacolo: nel 1971 ha vinto la 24 Ore di Le Mans con una Porsche 917, ripetendo l’impresa cinque anni dopo con una 936. Ma tra le vette della sua carriera ci sono anche una vittoria di classe nella 1000 km del Nürburgring e la vittoria della Targa Florio nel 1973 al volante di una 911 RSR.
UNA GARA EROICA. Nata nel 1906, la Targa Florio è una delle più antiche corse del mondo. Oggi è una gara di regolarità storica che accompagna i piloti alla scoperta delle bellezze paesaggistiche e architettoniche e della buon tavola dell’antica Trinacria, ma fino a mezzo secolo fa era roba per gente col pelo sullo stomaco: centinaia di chilometri su strade di montagna più o meno dissestate da percorrere a velocità folli, girando in tondo a un anello – il mitico circuito delle Madonie – la cui lunghezza, a seconda delle edizioni, poteva variare dai 72 ai 148 chilometri. La Targa Florio di una volta, per intenderci, aveva qualcosa come 2000 curve e più imprevisti del Monopoli: pubblico, animali da pascolo e selvatici, detriti, per non parlare dell’affidabilità delle auto, messe a dura prova dallo sforzo tanto quanto il fisico dei piloti.
PASSA IL TEMPO, RESTANO LE EMOZIONI. La Porsche, che la Targa Florio l’ha vinta la bellezza di 11 volte, ha deciso di ripercorrere il percorso della gara siciliana con una 911 Targa nuova di pacco, affidandola a Ayhancan Guven, giovane pilota turco classe ’98 già vincitore di due edizioni francesi della Carrera Cup con la sua 911 GT3. Accanto a lui, come copilota e compagno di viaggio sulle strade della Sicilia, proprio Gijs van Lennep, che quei nastri d’asfalto rovente che s’arrampicano sui pendii delle montagne siciliane li conosce come le sue tasche. Cerda, Campofelice, Pietradolce, Palermo, Castelbuono: luoghi che, nel 1973, l’ottantaduenne pilota olandese non ebbe con ogni probabilità tempo di gustarsi, impegnato com’era a conquistarsi il diritto di salire sul gradino più alto del podio della mitica Cursa, come la chiamano, ancora oggi, i siciliani.
VIETATO SBAGLIARE. “Semplicemente, facevamo conto che non accadesse”, spiega candidamente Gijs, quando gli viene chiesto cosa si provasse a correre senza alzare il piede dall’acceleratore tra muretti a secco, case sgarrupate e campi arsi dal sole, sperando che non sbucasse all’improvviso una vacca o un bambino che inseguiva un pallone. “Il rischio di morire c’era sempre – prosegue il pilota olandese -, ma era piuttosto facile in realtà non pensarci: percorrevamo ogni giro dando tutto quello che avevamo e forse anche di più, e semplicemente non potevamo concederci neanche un errore. Nemmeno il più piccolo, perché ciò avrebbe significato perdere la gara e, probabilmente, anche la vita”.