Quattro chiacchiere con il Signor Testadoro
Le auto moderne proprio non gli vanno giù: “Troppo piene di plastica”. Per questo quelle che disegna sdraiato sul pavimento del salotto di casa sua e poi fa scolpire con le nude mani ai suoi fidati battilastra sono fatte coi materiali di una volta: alluminio, legno, pelle, vetro. Dario Pasqualini, piemontese, classe ’71, studi artistici alle spalle, è un tecnico della qualità nel settore siderurgico. Nello specifico, si occupa di tubi d’acciaio, ed è proprio la sua specializzazione professionale, unita a una passione divorante per le automobili da corsa del passato, ad averlo condotto, dopo lunghi mesi di ricerca, sulle tracce della Testadoro, antica officina torinese attiva negli anni ’40 nella produzione artigianale di barchette da competizione basate sulla meccanica delle Fiat 1100 e Topolino.
Dario, quando hai scoperto dell’esistenza del marchio Testadoro?
“Era il 2018. Stavo conducendo alcune ricerche sulle carrozzerie e officine meccaniche torinesi ormai scomparse. In particolare, per “deformazione professionale”, avevo ristretto il campo d’indagine alle aziende che realizzavano vetture con il telaio tubolare. Così mi sono imbattuto nella Testadoro…”.
Per te è stato un colpo di fulmine. E alla decisione di rilevare il marchio, ormai caduto nell’oblio, è seguita subito dopo quella di dar vita a un’automobile. Da dove sei partito?
“C’era una macchina rimasta incompiuta, la Barchetta 1951, una piccola sportiva scoperta a due posti secchi basata sulla meccanica della Fiat 1100 degli anni ’40. Sono rimasto folgorato dalla sua forma a goccia, da quelle superfici così sinuose. E poi quei parafanghi ad arco, così pronunciati: un dettaglio dal sapore unico per chi, come me, un’automobile è abituato a contestualizzarla nella sua dimensione artistica, più che industriale”.
Il motore è uguale a quello dell’epoca? Hai già avuto modo di provare l’auto?
“Inizialmente sì, poi la brutta sorpresa: il primo motore, che avevamo prelevato da una 1100 “Musone”, era criccato. Quindi abbiamo optato per un quattro cilindri di pari cubatura leggermente più moderno, quello della 1100 R: ha la stessa potenza dell’originale, circa 55 CV, che a fronte dei 550 chili di peso della macchina sono più che sufficienti per divertirsi. Ho guidato la macchina nella scorsa edizione della Vernasca Silver Flag ed è stato come tornare indietro di settant’anni. Di solito sono uno che in macchina va tranquillo, ma appena ho preso confidenza con la trazione posteriore mi sono concesso qualche curva in derapata, come facevano i piloti di una volta”.
Come immagini il futuro dell’auto a Torino? Pensi che da capitale industriale possa trasformarsi in un polo d’eccellenza artigianale, re-inserendosi nel solco di una tradizione antichissima che in fondo ancora pervade la cultura del fare automobili cittadina?
“Mi auguro di sì. E la mia opinione è che, per chi come me desidera riportare il focus sulle automobili speciali e di pregio, l’occasione è grande. Nel Torinese esistono ancora le maestranze per creare questo tipo di vetture. Col carbonio sono capaci quasi tutti, voglio dire, mentre tutt’altra cosa è realizzare una macchina da zero interamente a mano, battendo col martello un foglio di lamiera”.
La mostra-performance “Arte di Boita”, che rimarrà aperta per sei mesi al Museo Nazionale dell’Automobile di Torino, punta i riflettori su un mestiere duro e affascinante. Ma quanti ragazzi sognano davvero di fare i battilastra da grandi?
“Ho parlato con alcuni giovani in occasione della mostra e molti di loro sono attratti dal mondo che ruota intorno alle auto d’epoca e al lavoro dietro le quinte necessario per rimetterle a nuovo. Ovviamente, quello del battilastra è un mestiere duro, che richiede una grande passione e un grande impegno. Ma è anche un’opportunità enorme per i ragazzi che decideranno d’intraprendere questa strada: c’è spazio per almeno dieci nuovi artigiani dell’alluminio all’anno, solo in Piemonte. Inoltre stiamo parlando di una professionalità che, col passare degli anni, sarà sempre più richiesta non solo in Italia, ma anche all’estero”.
La Barchetta 1951 è già realtà e la Essenziale, una berlinetta sportiva dal look rétro su base BMW Z4, prenderà forma nell’officina allestita al Mauto. Quali novità ha in serbo la Testadoro? Vedremo una o più piccole serie di automobili?
“Non è questo il nostro obiettivo. Quello che ci interessa davvero è costruire un singolo esemplare per ciascuna delle nove vetture realizzate dall’azienda nel suo breve periodo di attività, tra il 1946 e il 1949. E sarebbe bello realizzare queste nove macchine ogni volta in un museo diverso. Dopo Torino, potremmo andare in Francia e poi, chissà, magari al Metropolitan di New York. In ogni caso, lo sforzo sarà sempre quello di pensare a vetture capaci d’intercettare il gusto degli appassionati di arte, prima ancora che di automobili”.