MAUTO: Michelotti, il designer dei designer
Con tredici automobili da sogno, svariati modelli in scala e un centinaio di opere originali tra bozzetti, schizzi, disegni tecnici e figurini a colori, il Museo Nazionale dell’Automobile di Torino accende potenti riflettori su Giovanni Michelotti, decano dei designer torinesi che hanno lanciato il gusto italiano nel mondo. Il genio dello stilista nato a Torino esattamente cent’anni fa, il 6 ottobre 1921, rivive nella mostra ‘Michelotti World‘, che ripercorre la vita dell’uomo e l’intera parabola lavorativa del professionista: il primo, in un’epoca in cui chi per mestiere disegnava automobili lo faceva esclusivamente alle dipendenze delle fabbriche, a lavorare come freelance.
L’AUTOMOBILE NEL DNA. Partì da zero, quattordicenne o poco più, come semplice garzone di bottega, senza niente tra le mani ma con un talento innato, tanta umiltà e una gran voglia d’imparare dagli stilisti a cui, tutte le mattine, faceva trovare pronti fogli e matite temperate. Giovanni Michelotti era figlio di un operaio dell’Itala che “si vantava d’aver tornito l’albero a camme in testa della Pechino-Parigi e di una sarta”, racconta il figlio Edgardo, che affiancò il padre nei suoi ultimi dieci anni di carriera, prima che morisse, il 23 maggio 1980, portato via da un male incurabile. Le automobili, Michelotti, le aveva nel sangue, come il saperle disegnare e scolpire con le nude mani, arte innata in certi uomini che, nella Torino degli Anni ’40 e ’50, parlavano tra loro in dialetto stretto e con un tornio, da un pezzo di legno, sapevano dar vita ai sogni più visionari.
UNA MOSTRA STRAORDINARIA. La rassegna, curata dal giornalista Giosuè Boetto Cohen e resa possibile grazie al prezioso contributo dell’Archivio Storico Michelotti, che custodisce quasi 6mila disegni, 20mila fotografie e dodici tonnellate di piani di forma, mette a fuoco i due volti di un designer con l’arte innata del saper fare e d’insegnare. Eclettico e visionario, ma anche pragmatico e grande imprenditore di se stesso: alle dream car e alle gran turismo più edonistiche, come la Ferrari 195 Inter del 1951 e l’Alfa Romeo 1900 SS ‘La Fleche’ del 1955, solo per citare due dei tredici gioielli che il pubblico potrà ammirare nelle sale del MAUTO fino al 9 gennaio del prossimo anno, Michelotti affiancò modelli di larga serie e grande successo, ringiovanendo di almeno vent’anni l’immagine un po’ démodé di marchi prestigiosi come Triumph (sue, per esempio, la Herald Coupé del 1960 e la TR4 Sport nata due anni più tardi) e BMW (gli stilemi della 1800 Neue Klasse del 1968 e della 2800 CS del 1971, rivisitati, sopravvivono ancora oggi).
DA TORINO ALLA CONQUISTA DEL MONDO. Nella mostra è anche raffigurato il famoso ufficio al dodicesimo piano di corso Francia 35, perennemente invaso dal fumo di mille sigarette (“papà ne fumava fino a 60 al giorno”, racconta Edgardo) e dalla musica di una radio impolverata che non smetteva mai di suonare, “finché un giorno, tutt’a un tratto, stanca di funzionare, svampò e non si accese mai più”. Dalle finestre in alta quota i clienti di mezzo mondo ammiravano le alpi, mentre Michelotti, con la sua voce allegra, squillante e sempre gentile, illustrava idee e progetti. “Lavorando con lui – rivela Edgardo – s’imparava e ci si divertiva molto. A volte giocavamo perfino a hockey coi modelli. Rimase fino all’ultimo un uomo modesto: non gl’importava di sapere se su sulle auto che aveva disegnato comparisse il suo nome, ma solo che fossero belle e funzionassero bene”. Così, con l’umiltà dei grandi, Michelotti, designer senza confini, conquistò il mondo.